Home Mission Parchi Viaggi Eventi Multimedia Contatti
Il Magazine I Numeri Catgorie Almanacco Contatti
Menu
Categorie
IntervisteLibri ApertiAmbiente e TerritorioPaesaggi SonoriCucina LetterariaStorie in Cammino

Mille primavere: di alberi, confini e umanità

18 Marzo 2021
Mille primavere: di alberi, confini e umanità
Pizzoli ospitò Leone e Natalia Ginzburg nei giorni del loro confino il cui diario fu raccolto da Natalia in “Inverno in Abruzzo”. Un meraviglioso sguardo su un mondo antico con gli occhi di oggi e all'ombra di due monumenti della natura

Per scrivere queste poche pagine mi ero ripromesso di fare un breve e circoscritto viaggio della memoria in un paese dell’Abruzzo di nome Pizzoli. Si trova in provincia di L’Aquila, nella zona della Valle dell’Aterno, lungo la strada che conduce al Parco Nazionale del Gran Sasso e  Monti della Laga. E’ forse sconosciuto ai più, anche se ci troviamo in una zona popolata fin da epoche remote, dove ai piceni ed ai sabini si sono succeduti i romani che fondarono, a pochi chilometri di distanza, la città di Amiternum di cui rimangono, oggi, alcune vestigia ed il ricordo di aver dato i natali allo storico Sallustio.

Pizzoli è un po' più in là, piccolo centro disassato rispetto alla viabilità principale e in una sorta di terra di mezzo, in quanto la vicinanza con la città di L’Aquila attrae interessi, attività e  persone e lascia poco spazio a tutto il resto.

Lo devono aver pensato anche le autorità fasciste allorquando, in un periodo tragico della nostra Storia, vi inviarono al confino, per motivi politici e razziali,  Leo e Natalia Ginzburg ed i loro tre figli. Pizzoli fu, per circa tre anni, il luogo ove questa famiglia di intellettuali condivise con la popolazione locale il vivere quotidiano, semplice e ripetitivo,  scandito dal succedersi delle stagioni. Il mondo contadino, semplice e frugale, accolse e in qualche modo custodì la presenza dei Ginzburg, cittadini, pensatori, oppositori del regime dittatoriale, estranei,  all’apparenza, ad un vivere fatto di duro lavoro, di famiglie raccolte intorno al fuoco in inverno,  di usi ed abitudini diverse. Il diario di quei giorni fu raccolto da Natalia in un breve racconto “Inverno in Abruzzo” che è un meraviglioso e discreto sguardo su un mondo che ci siamo lasciati, ormai, alle spalle. L’incipit del racconto esordisce con: "In Abruzzo non c’è che due stagioni: l’estate e l’inverno” e si dipana in una serie di immagini vivide che colgono l’essenza di volti e persone, ma anche stati d’animo: “ci si riuniva tutti nella stanza dove c’era la stufa, e lì si cucinava e si mangiava, mio marito scriveva al grande tavolo ovale, i bambini cospargevano di giocattoli il pavimento. Sul soffitto della stanza era dipinta un’aquila: e io guardavo l’aquila e pensavo che quello era l’esilio. L’esilio era l’aquila, era la stufa verde che ronzava, era la vasta e silenziosa campagna e l’immobile neve”.   

L’epilogo di quella vicenda fu, purtroppo, tragico. Rientrati a Roma nel 1943, Leo Ginzburg venne arrestato, torturato ed ucciso nel carcere di Regina Coeli. Le parole di Natalia, concludono così il racconto: ”Mio marito morì a Roma nelle carceri di Regina Coeli, pochi mesi dopo che avevamo lasciato il paese. Davanti all’orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo è accaduto a noi, a noi che compravamo gli aranci da Girò e andavamo a passeggio nella neve. Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello  il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so”.

A questo punto, vorrei spostare l’attenzione del lettore su altri piani, apparentemente distanti. Il mio viaggio fino a Pizzoli, al momento, è solo immaginario, poiché stiamo vivendo un’epoca complicata e al tempo stesso drammatica: l’epoca del Covid. Che non ha alla base motivazioni politiche o ideologiche, non conosce confini amministrativi o barriere linguistiche, ma ha prodotto per tutti noi conseguenze che sembravano impensabili fino a poco tempo fa. Per quanto possa sembrare strano e paradossale, il virus ci ha posti tutti quanti al “confino”. Ha ridotto le nostre attività e i nostri spostamenti, ha chiuso le scuole e gli spazi di scambio culturale, ha inciso sulla salute di migliaia di persone. La socialità si è trasformata in qualcosa di diverso: è stata compressa e negli scambi interpersonali si è aggiunto un elemento di angoscia e diffidenza. Siamo tutti potenziali vettori della malattia. E, dunque, dobbiamo stare distanti, relegati. Persino un abbraccio, una stretta di  mano sono visti e vissuti con sospetto. Queste sensazioni che stiamo vivendo hanno elementi in comune con l’esperienza subita dai Ginzburg, anche se le cause e gli effetti sono chiaramente distinti e diversi. Il loro “confino” politico e il nostro “confino” per motivi sanitari provocano le stesse sensazioni di incertezza, paura, distanza, straniamento. La contrapposizione tra noi e loro. Con la differenza che per quella famiglia essere minoranza e “caso eccezionale”, nucleo da allontanare affinché non diffondesse idee contrarie a quelle del regime,  aveva un peso ancora maggiore e schiacciante. Eppure, come viene vissuta, oggi, dai diretti protagonisti toccati dal Covid l’esperienza di essere definito “paziente zero”, aver contratto la malattia o aver contagiato altre persone?  Queste persone avranno trovato la stessa solidarietà e comprensione che i Ginzburg trovarono nella piccola comunità di Pizzoli, così distante da Roma, dalle decisioni politiche, dai destini che hanno interessato l’umanità ?

A queste domande è difficile dare una risposta. Il parallelo che ho proposto potrà apparire, ai più, azzardato, ma nel mio confino di questi mesi, un viaggio che mi ero ripromesso di fare non può essere compiuto. Non potrò visitare Pizzoli, attualmente zona rossa (come gran parte del Paese), le sue vie strette e silenziose, né soffermarmi davanti alla casa dei Ginzburg, né entrare nella biblioteca Comunale a loro dedicata, che custodisce un bel lascito di libri e scritti. Né potrò raggiungere a piedi i due alberi monumentali, due roverelle, che si trovano nel circondario del paese.  Un piccolo tesoro custodito oltre i muretti di pietre bianche.
Piante longeve, le cérche, cresciute  o messe a dimora  vicino ai centri urbani. Il loro legno duro e tenace era molto utile per le costruzioni, ma soprattutto è un ottimo combustibile. Che dire poi delle proprietà medicinali, riconosciute a questa specie?  L’infuso di corteccia era  usato come febbrifugo e astringente. Il decotto per far guarire le ferite. E nei periodi di carestia la farina delle ghiande veniva usata per preparare il pane.

Il mondo contadino è sempre stato parsimonioso ed attento. E nella Natura ha cercato, in un rapporto di mutualistico scambio, risorse e sostentamento. Rievocando quei tempi distanti viene forse da sorridere, forti delle nostre conoscenze scientifiche avanzate, sui riti arcaici che legavano uomini e piante, specie in ambito di cure. In particolare, in alcune zone dell’Abruzzo era in uso, per guarire dall’ernia, far passare il paziente nudo, attraverso una spaccatura praticata nel tronco di una giovane Quercia. Lo spacco rimarginato, preludeva alla guarigione. Gli esiti, forse, non erano così scontati, ma è innegabile che, almeno da un punto di vista metaforico, la rottura della Quercia va intesa come forza risanatrice:  per una proprietà transitiva le parti rotte del vegetale si sarebbero dovute innestare su quelle del malato. Oggi sappiamo, grazie e numerosi studi scientifici, che le piante in realtà hanno una forza rigeneratrice utilissima anche per l’uomo. Che una passeggiata in bosco ha effetti vivificanti sul nostro benessere e sulla nostra psiche. E che numerosi principi attivi possono essere ricavati dal mondo vegetale e trasformati in medicine, a conferma che i nostri progenitori, per nulla scolarizzati, avevano un contatto ed una capacità di osservare e utilizzare la Natura molto più profondo e chiaro di quanto spesso siamo noi oggi in grado di fare.

Non sarà certo un albero monumentale a portarci fuori dalla pandemia. Né le roverelle di Pizzoli hanno evitato alla famiglia Ginzburg gli esiti funesti della repressione. Ma gli alberi ci possono venire ancora una volta incontro, in questo giorno di primavera, per il loro alto valore emblematico. La loro resistenza, forza, pervicacia, adattabilità, generosità, sono tutte qualità che in qualche modo possiamo riconoscere, mutuare e richiamare negli episodi che ho voluto  raccontare, sia pure in modo così approssimativo. Sono il segno della rinascita, del ciclo vitale che riprende dopo ogni inverno (anche quello delle sofferenze umane). Donano anche frutti  di memoria e di consapevolezza e sotto queste fronde mi piace ricordare Leo, Natalia e tutti quanti noi, sconosciuti spettatori  o protagonisti delle vicende correnti. Potrebbero apparirci estranei  ed, invece, sono come dei silenziosi segnalibri, sorta di pietre d’inciampo che ci aiutano a riannodare fili e a raccontare  storie.  Nei loro anelli sono incisi gli accadimenti del tempo. A loro vorrei dedicare queste ultime parole, tratte dal libro “Il tempo degli Alberi” pubblicato, ormai più di vent’anni fa, da Alfonso Alessandrini, già Direttore Generale del Corpo Forestale dello Stato:

Sono alberi veri, eroi del passato, guerrieri del presente, avamposti della vita, protagonisti della storia e della leggenda, indicatori del tempo, della civiltà, simboli del costume, punti di riferimento per uccelli, pastori, monaci, soldati, amanti, mercanti, artisti, mendicanti, bracconieri e briganti. Sono alberi che non passano inosservati, anche le stelle ed i satelliti li stanno a  guardare”.

Le loro mille primavere sono anche le nostre.

      

Bibliografia
A. Alessandrini “Il tempo degli alberi” – Edizioni Abete Roma - 1990
G. Pirone “Alberi arbusti e liane d’Abruzzo”, pag.-247-250 - Cogecstre edizioni, Penne - 2015
L. Fenaroli – G. Gambi “Alberi – Dendroflora italica”, pag.385-387 - Museo tridentino di scienze naturali, Trento - 1976

N. Ginzburg, “Inverno in Abruzzo” scritto a Roma nel 1944 e pubblicato sulla rivista Aretusa (1944 - 1946)
                       "Le Piccole Virtù", Einaudi, 1962

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Foto:  Comune di Pizzoli e Abruzzo Turismo

Foto di copertina Castello Dragonetti de Torres, Pizzoli. Foto di Eliia • Fogliadini (dalla pagina fb del Comune di Pizzoli)



Torna indietro

Potrebbe interessarti anche

Nel bosco delle fate

Esistono le fate? Noi le abbiamo incontrate in un loro bosco incantato che circonda, pensate, il Santuario della Verna. Sì, proprio là, in quel luogo sacro di incomparabile bellezza e verità.

Il sostegno dei Parchi Letterari ad Aliano Capitale Italiana della Cultura 2024

La candidatura di Aliano a Capitale Italiana della Cultura 2024 si inserisce in un percorso che ha visto negli ultimi anni una piccola comunità crescere e misurarsi con le dinamiche di sviluppo economico, sociale e culturale in Italia e all'estero

Uno sguardo telematico alla topofilia di Lucia nei Promessi Sposi

Per sfuggire alle grinfie di Don Rodrigo, Renzo e Lucia seguono le indicazioni di Fra Cristoforo e abbandonano in barca Lecco. Nel buio della notte Lucia saluta i suoi monti. Ma quali sono e come si chiamano questi monti?

Semi venuti da lontano

Oltre ad avventurieri, pirati, colonizzatori, ricercatori e scienziati, anche le piante viaggiano. Lo fanno grazie ai semi, straordinario strumento di diffusione, ed alla capacità di adattamento alle condizioni climatiche ed alle fasce altimetriche.

Pellegrini, viandanti e viaggiatori a Monte Mario

Mons gaudii, monte della gioia, esclamavano i pellegrini in cammino sulla via Francigena quando arrivavano in cima al Monte e scorgevano la basilica di San Pietro. Monte Mario fu anche cammino privilegiato di scrittori, botanici e musicisti

Paesaggi sublimi nella fiaba. Le foreste tra smarrimento e stupore

Il contatto con la natura e la sua forza benefica e primordiale, spesso provoca un cambiamento che si colora di stupore, che consente di sconfiggere il terrore atavico originariamente provato nell’isolamento del bosco.
I Parchi Letterari®, Parco Letterario®, Paesaggio Culturale Italiano® e gli altri marchi ad essi collegati, sono registrati in Italia, in ambito comunitario ed a livello internazionale - Privacy Policy
Creazione Siti WebDimension®