La fiaba è ambiente che tutto di
noi accoglie. L'inconscio, emergendo dal profondo, s'imprime nelle sue forme
nitide ed elementari di racconto universale. La coscienza, ad ogni età, vi
ritrova luoghi familiari; l'immaginazione vi spazia, incalzata dalle paure,
richiamata dai desideri e si riconosce nuova là dove gli opposti trovano
dimora. Percorrendo le vie della fiaba la volontà viene maternamente educata
dalle peripezie e prove che l'eroe o l'eroina fiabica devono affrontare per
resistere alla ferocia e respingere gli agguati del male; ma soprattutto il cuore
s'accende di speranza al cospetto di magici aiutanti, pronti ad offrire doni
preziosi al viandante e la possibilità di far ritorno a casa dopo che il
desiderio più alto è stato realizzato.
La fiaba svela il momento
maestoso, solenne della vita fissando i paradigmi dell'esistenza: la meta per
ogni uomo è la felicità; premio ambito e impegnativo che conquista chi supera
lo sgomento dello smarrimento e trova il senso di quel perdersi che è
condizione d'origine e soglia segreta di ogni rivelazione. Avventurarsi verso
l'ignoto, attraversare i paesaggi fiabeschi è dunque essenziale: è entrare in
una dimensione arcaica che rende paradigmatici i racconti. Lo spazio
rappresentato nella fiaba – la casa, la strada, il castello - è generico,
ricondotto al tipico e all'essenziale, è realistico e astratto al tempo stesso,
ha forma archetipica, quasi onirica che gli conferisce un carattere sempre
significativo e universale.
Seguendo i percorsi ben tracciati
della fiaba incontriamo ambienti a lungo considerati inospitali, ostili,
desolati - le foreste e gli alti monti, le isole lontane e i deserti - quali
momenti salienti di un viaggio di esplorazione, intimamente connesso con i moti
più elevati della coscienza, che è spaesamento, discesa agli inferi,
presupposto di ogni possibile elevazione. Perturbanti e simbolici, silenziosi e
solitari quegli stessi spazi avvicinano
i protagonisti delle fiabe, e assieme a loro i lettori, al cospetto della
grandezza della natura, a scoprire la dimensione luminosa o notturna
dell’incommensurabile e dello smisurato presente nella realtà terrena.
In questi spazi, lontani dalla
civiltà, inquietanti ma anche promettenti, perché dotati di una forza e
profondità che avvince e incanta, il protagonista fiabico misura le sue forze,
prova fino in fondo la paura, la vulnerabilità, il rischio. In questa sfida si
fortifica, scopre un mondo numinoso, s’appropria di tesori.
È interessante rilevare che, nel
repertorio fiabistico, i luoghi selvaggi sono spesso emblemi del meraviglioso
che atterrisce ed esalta, che incute terrore o genera stupore, che scuote
l’anima e la solleva a contemplare le vette dell’esistente. "La
lontananza geografica sembra dunque essere per la fiaba l’unico mezzo legittimo
per esprimere ciò che è spiritualmente diverso. [...] Ciò che è differenziato
spiritualmente viene proiettato su di un’unica linea e la lontananza interiore
viene espressa nella distanza esteriore".[1]
Nella fiaba il viaggio diviene la metafora di quell’andare al di là di quanto
si conosce, di ciò che si è, in terra straniera, ardua e lontana, conquistata
con prove di iniziatico valore per attingere ad un sapere che resta nel tempo.
Ci sembra allora che le fiabe e i
loro paesaggi selvaggi (dalla forte caratura simbolica ma dal significato
accessibile anche ai bimbi, agli illetterati e a tutti coloro che la vita ha
costretto ad una dimensione angusta) abbiano potuto costituire, attraverso la
parola che turba, rapisce, fortifica vie di accesso all’arduo, esemplare mondo
del sublime.
Sublime, lo sappiamo, significa
“eccelso”, “in senso spirituale, intellettuale, morale, ed estetico”, indica
“la manifestazione della bellezza e della grandezza nel loro più alto grado” [2],
origine e conseguenza di un “movimento verso l’alto”, di una “elevazione” che
non è solo l'espressione di un desiderio e di una disposizione del soggetto, ma
l'effetto dell'azione di un agente che consente di trascendere la condizione
emotiva ordinaria.
Come la stessa etimologia
dimostra [3],
il sublime rimanda ad un contrasto: trae origine da una condizione segreta,
sotterranea, inconscia, ma irrompe nella coscienza per effetto di un incontro
con profondità vertiginose e abissi che elevano l'animo. È il pathos una
delle sorgenti fondamentali del sublime, assieme allo slancio esuberante dei
pensieri, ma altri fonti sono date dallo stupore che nasce al cospetto della
grandezza e del predominio della natura. L'irrompere di una dimensione
spaesante, legata al senso del proprio limite e all'esperienza del terrore e
della morte, suscita nel soggetto la coscienza della propria nudità e del
proprio bisogno di autosuperarsi. Così l'esperienza del sublime dà origine
infatti ad un sapere che trasforma e rende intellettualmente e moralmente
diversi, superiori. Un'originale via al sublime ci sembra allora percorrere i
vasti confini del patrimonio fiabistico: la fiaba è luogo d'elezione del
meraviglioso che atterrisce ed esalta, sollecita il desiderio e nutre la mente,
rivelandoci a noi stessi. Così questo universo, affidato alla parola che
risuona nell'intimo del soggetto, rivela la propria efficacia a chi, come il
protagonista della fiaba, riconosce il proprio turbamento, si apre al rischio,
risponde ai desideri, sceglie il viaggio che avvicina alle vette
dell'esistenza.
Ora non potendo prendere in esame
l’intera gamma dei paesaggi sublimi presenti nelle fiabe, ci limiteremo ad
osservare immagini di boschi e di foreste[4],
luogo da sempre di iniziazioni.
La loro rappresentazione li
colloca nell’ambito dei luoghi orridi (loci horridi), sfuggono al
dominio dell’uomo, sono sconfinati e desolati, privi di proporzione e di
armonia, pericolosi e inquietanti. Con le loro ombre e i rami contorti degli
alberi incutono paura, talvolta terrore; mantengono un eco di presenze lontane
e misteriose; percorrendoli ritorna, nel viaggiatore solitario, il tremito
sacro delle selve: sono lo spazio del pericolo, dell’ignoto, degli agguati.
Spesso nelle fiabe il motivo
della foresta si collega a quello della notte, del buio, dell’oscurità, condizioni
che propiziano la scoperta del sublime, come Burke, nella sua Inchiesta, [5]
ha dimostrato. Nell'opera Lo cunto de li cunti di Basile, sono
innumerevoli le immagini che segnalano questo stretto rapporto: “Fu trascinata
in un bosco dove gli alberi facevano da palizzata ad un prato perché non fosse
scoperto dal sole”[6];
“arrivato in un bosco dove sotto la pergola delle fronde le ombre si riunivano
per organizzare un monopolio e allearsi contro il sole”[7];
“un giorno la fortuna lo condusse in un bosco, che aveva preparato uno
squadrone di terra ed alberi fitto fitto per non essere messo in fuga dalla
cavalleria del sole”[8].
Le foreste sono anche il luogo
dell’illecito. Basterà pensare a Cappuccetto Rosso che, propria nella foresta,
impara la necessità di non abbandonare la via maestra, dopo aver fatto
esperienza dell’ambiguità di questo spazio simbolico.
Se il bosco, con i suoi incontri
inattesi che divengono folgorazioni, consente di accedere e leggersi entro la
condizione dell’abbandono, è proprio lo scacco dell’io, che si lega
all’esperienza dell’essere ghermiti, afferrati, la condizione che rende
partecipi dello stupore e dell’incantamento.
Infatti il contatto con la natura
e la sua forza benefica e primordiale, spesso provoca un cambiamento che si
colora di stupore, che consente di sconfiggere il terrore atavico
originariamente provato nell’isolamento del bosco.
Nella fiaba Il mercante
tratta ancora dalla stessa opera di Basile, Cienzo, il protagonista, avendo
guai con la giustizia, deve allontanarsi dalla città e dai suoi affetti. Si
inoltra così nel bosco, in spazi sconosciuti e bui dove avviene l’incontro con
la fata: : "e, arrivato ad
un bosco solitario e deserto che ti faceva storcere la bocca tanto era scuro,
trovò una fata sulla riva di un fiume – che per far piacere all’ombra di cui
era innamorato, faceva evoluzione nei prati e le giravolte sulle pietre – e un
branco di malandrini le erano intorno per levarle l’onore"
Anche in Petrosinella (più
nota come Prezzemolina) la parte centrale della storia si svolge in un
bosco, simbolo di isolamento e luogo di incantesimi, che rimandano
misteriosamente alle leggi dell’inconscio: la madre di Petrosinella ha
contratto un debito con un’orca, così questa s’impossessa del destino della
figlia: "L’orca le
afferrò i capelli e se la portò in un bosco – dove non entravano mai i cavalli
del sole, per non pagare l’affitto per quei pascoli delle ombre – chiudendola
in una torre che fece sorgere con un incantesimo, senza porte, senza scale,
solo con una finestrella, dalla quale lungo i capelli di Prezzemolina, che
erano lunghissimi, saliva e scendeva come fa di solito il mozzo nella nave
sulle sartie dell’albero"
La foresta, figura dell'intrico
che suscita paura, in molte fiabe, inverte segno e direzione e diviene specchio
di una natura benefica, teatro di gioia e bontà. Ne abbiamo un esempio in una
fiaba di Luigi Capuana “Il racconta-fiabe” (tratta dalla raccolta
omonima) dove questa metamorfosi è evidente: "Sopravvenuta la notte, si stese
sull'erba, sotto un albero, per dormire, ma non potè chiudere occhio: aveva una
gran paura. Gli pareva che le piante, con lo stormire delle fronde, parlassero
sotto voce fra loro; gli pareva che le bestie e gli uccelli notturni, con quei
loro strani gridi e canti tramassero qualcosa contro di lui. Il cuore gli
batteva forte nel petto, e non vedeva l'ora che fosse giorno. Alla mezzanotte
in punto, che vede? Vede una gran luce nel bosco, e da ogni pianta sbucava
fuori gente che rideva, che cantava, che ballava; e intanto da tutte le parti
venivano rizzate prontamente tante bellissime tende e tavole piene di cose non
mai viste, che luccicavano più dell'oro. S'accorse di essere capitato in mezzo
alla fiera delle fate.".[11]
Le fiabe sono ambiente che consentono di fare
esperienza del sublime quale effetto di un desiderio e dell'azione della parola
che custodisce saperi e crea mondi, sollevando verso l'alto l'animo di chi
attraversa paesaggi incantati e selvaggi
.
Carla Lomi
Immagine di copertina da Emma Perodi, "Le novelle della nonna" (1892)
[1] M. Lüthi, La fiaba popolare europea, Mursia, Milano, 1979, p. 19.
[2] G. Devoto, G. C. Oli, Dizionario della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 1971.
[3] Sublime in greco è ïcow (hypsos), “ciò che è altissimo”; in latino il termine “sublīme(m) composto da sub, inteso da alcuni come super, e limen (genitivo liminis) “limite, soglia”, indica “qualcosa di altissimo che sta sopra l’architrave della soglia di casa”; ma, poiché il termine si fa derivare solitamente da sŭb “sotto” e dall’aggettivo līmus, “obliquo”, significa propriamente “che sale dal basso obliquamente”, “che va sollevandosi, che si sostiene in aria”. È altrettanto interessante rilevare che, secondo altri, l’origine del termine è da ricondursi a sub limo, che significa “sotto il fango”, esprime dunque qualcosa di profondo, nascosto dalla banalità della superficie.
[4] Come la radice etimologica segnala, la foresta è il luogo altro, dove ci sentiamo forestieri. Il termine deriva infatti dal latino medievale foris che significa “fuori” , e indicava in origine i boschi situati fuori dalle mure di un castello o di una città. Nell'India brahmanica il termine sanscrito aranya, tradotto come foresta, deriva da avana (termine sua volta collegato alla radice indoeuropea alius, alter, ille) che significa “strano”. Aranya in quella lingua è l'altro rispetto al villaggio, un luogo coperto di alberi dove non si pratica l'agricoltura. Anche la lingua italiana segnala la connessione tra foresta e forestiero, tra selva e selvatico.
[5] E. Burke, Inchiesta sul Bello e il Sublime, Aesthetica, Palermo, 1985.
[6] G. Basile, Lo cunto de li cunti, (traduzione di M. Rak), I grandi libri Garzanti, Milano, 1998, p. 113.
[7] G. Basile, op. cit. p. 126.
[8] G. Basile, op. cit. p. 817.
[9] G. Basile, op. cit. p. 147.
[10] G. Basile, op. cit. pp. 287-288.
[11] L. Capuana, Tutte le fiabe, Milano, 1983, pag. 142.