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Semi venuti da lontano

23 Maggio 2021
Semi venuti da lontano
Oltre ad avventurieri, pirati, colonizzatori, ricercatori e scienziati, anche le piante viaggiano. Lo fanno grazie ai semi, straordinario strumento di diffusione, ed alla capacità di adattamento alle condizioni climatiche ed alle fasce altimetriche.

A mio padre 

 “Nei giorni di pioggia tappato in casa con le carte stese sul tavolo, attraversavo mari, studiando la rotta impossibile. Ma quale era la forza che mi spingeva a partire, a gettarmi verso un destino che con la forza mi obbliga a rompere con tutta questa normalità? Forse sento la necessità di dimostrare che non tutto è perduto, che c’è qualcuno ancora capace di sognare, romantico e visionario?“ 

Questo breve passaggio è contenuto in un doppio libro di viaggi ed avventura scritto da Vito Dumas. Si tratta di “Verso la Croce del Sud – I quaranta ruggenti” che racconta la sua incredibile sfida al mare: un primo viaggio in barca a vela compiuto nel 1931, dalla Francia a Buenos Aires, durato quattro mesi. Ed un secondo, compiuto dieci anni dopo, durante il secondo conflitto mondiale, che lo portò in solitaria a fare il giro del mondo seguendo una delle rotte più difficili, se non impossibili, alle latitudini australi. Lo spirito del viaggio è, forse, contenuto in questo senso di sfida e di rottura degli schemi. Il viaggio che nasconde insidie e meravigliose scoperte. Indissolubilmente legato al mare. Uno spazio sconfinato da attraversare, che divide e, al tempo stesso, collega continenti e popoli. Superate le colonne d’Ercole cosa ci sarà? La domanda è rimasta senza risposta per molto tempo. Colonne d’Ercole che rappresentano le nostre paure ed i nostri limiti. L’ignoto attrae e spaventa al tempo stesso. E quando le prue si sono dirette finalmente a Ovest per vedere cosa ci fosse un po’ più in là, India o confini del mondo, si sono aperte nuove possibilità. A Cristoforo Colombo furono sufficienti una somma di circa 60.000 degli odierni euro, molta fortuna ed un presupposto di partenza sbagliato per cambiare per sempre le dimensioni del mondo ed aprire la strada a schiere di circumnavigatori e opportunisti. I secoli d’oro della navigazione a vela sono popolati, in effetti, da uomini coraggiosi e audaci che riusciranno a scoprire nuove terre, culture, prodotti alimentari e specie forestali e animali. Furono nuove frontiere di sfruttamento e possesso e non sempre ciò che incarna il “progresso”, in una certa fase storica, si è rivelato facile o accomodante. 

 Nel giro di tre secoli oltre a avventurieri, pirati e colonizzatori fecero, però, la loro comparsa anche i ricercatori e gli scienziati. Anch’essi animati dal desiderio di andare oltre e di sobbarcarsi viaggi lunghi e perigliosi pur di accrescere il bagaglio culturale dell’umanità. Cosicché numerose spedizioni hanno consentito di portare in Europa specie esotiche che hanno trovato una ricollocazione molto lontano dal loro areale di provenienza. L’elenco è davvero lungo e riserva qualche spunto interessante. Nell’Orto botanico di Padova, ad esempio, è conservato un esemplare di magnolia grandiflora che risale al 1786. E’, forse, il primo albero di questa specie importato in Italia, non sappiamo da chi, che ha viaggiato dalle regioni meridionali degli Stati Uniti fino alla città patavina. Oltre a destare la curiosità dei botanici, la magnolia ha conosciuto un periodo di notevole successo negli anni ’60 del secolo scorso, in quanto utilizzata per abbellire, come albero ornamentale (spesso insieme al cedro), i giardini condominiali di centinaia di palazzi costruiti durante il boom economico. 

 A David Douglas, botanico scozzese, invece, si deve la scoperta e lo studio di numerose specie di conifere del Nord America, agli inizi dell’Ottocento. Per il suo impegno e i suoi meritevoli studi gli è stato dedicato un abete (la douglasia o abete di Douglas), anche se vanno ricordati, rigorosamente con i loro affascinati ed evocativi nomi scientifici, anche la Picea Sitchensis, il Pinus lambertiana, il Pinus monticula, il Pinus ponderosa, il Pinus radiata e l’Abies grandis. Douglas importò queste specie in Inghilterra dando vita ad una stagione silvicolturale di grande interesse in un Paese di per sè non particolarmente ricco dal punto di vista della varietà forestale.

Con l’espandersi dell’Impero britannico, aumentò di pari passo il numero di specie forestali scoperte, classificate e importate nel Vecchio Continente. Si venne a creare la “botanica economica”, finalizzata ad arricchire la prosperità della Gran Bretagna. Su impulso della casa regnante, presero forma in breve tempo i Kew Gardens che diverranno nel 1840 Orto botanico nazionale. Oggi, hanno raggiunti 130 ettari di estensione e contengono una spettacolare collezione di esemplari arborei, nonché semi di diverse provenienze. Un inestimabile patrimonio di biodiversità, arricchito nel tempo con donazioni provenienti da tutto il mondo, inclusa l’Italia. Dai Kew Gardens si diffonderanno anche proposte di abbellimento delle città europee, per favorire l’impiego di specie forestali diverse. Le palme esotiche, ad esempio, otterranno notevole successo a partire dall’epoca vittoriana e troveranno largo impiego in numerose capitali, impreziosendo piazze, giardini e lungomare.

 Anche l’Italia ha conosciuto periodi di interesse e “infatuazione“ per le specie forestali non autoctone. Parte di questo interesse discende anche dalla lunga tradizione degli orti botanici, diffusi su tutto il territorio nazionale. Luoghi deputati alla conservazione e allo studio del mondo vegetale che, per decenni, hanno rivestito il ruolo di motore propulsore della ricerca nonché di scambio delle conoscenze. Nati, in origine, per consentire la coltivazione delle piante destinate alla medicina, presso gli orti botanici sono stati messi a dimora (e conservati) alberi fino a quel momento ignoti. In particolare, nel “secolo dei lumi” gli orti botanici hanno conosciuto un rinnovato impulso e riorganizzazione, grazie alle nuove scoperte scientifiche ed all’introduzione del metodo di classificazione dovuto a Linneo che ha rivoluzionato le metodologie per studiare la natura. Oltre a Padova, già citata, si affiancano e crescono di importanza gli orti di Torino, Palermo, Roma, Cagliari, Pisa ed altri ancora. Cui si affiancheranno, in breve, altri luoghi di fondamentale importanza: gli arboreti sperimentali.
In un’epoca in cui l’utilizzazione per fini produttivi era ancora nettamente predominante, l’introduzione di specie esotiche nel nostro Paese è stata studiata, soprattutto, per sviluppare specie a rapido accrescimento o con particolari caratteristiche tecnologiche, da impiegare in ambito selvicolturale o nella produzione della carta. E’ per questo motivo che, per un certo periodo, l’attenzione è stata rivolta, ad esempio, alle specie forestali di provenienza Nord americana, incluse le sequoie, di cui numerosi esemplari fanno bella mostra di sé in giardini, arboreti e ville, o a quelle di provenienza australe, in special modo gli eucalitti.

 Per questi ultimi, occorre dire, che la loro diffusione era iniziata in Italia fin dai primi anni dell’Ottocento (si trovano descrizioni di esemplari messi a dimora presso la Reggia di Caserta) e l’interesse sarà talmente significativo, specie in Campania, da classificare una specie, l’Eucalyptus camaldulensis, facendo specifico riferimento alla partenopea collina di Camaldoli, che ospitava l’omonimo Hortus. Sotto questi buoni auspici, gli eucalipti troveranno ampia diffusione per vari motivi, in primis di ordine sanitario. Si riteneva, infatti, che potessero rendere salubre l’aria e eliminare la malaria, una malattia che affliggeva una parte consistente del territorio. In realtà, tale effetto era dovuto ad un’azione indiretta: queste piante erano una sorta di idrovora naturale e in tal modo potevano contribuire in maniera significativa a prosciugare i terreni paludosi, riducendo di fatto l’habitat in cui si riproduce l’anofele, insetto responsabile della malattia. 
Già nel 1892 lo studioso Hehn scriveva: “L’Eucaliptus globulus dell’Australia, trapiantato da qualche anno nell’Agro Romano promette di paralizzare i miasmi febbriferi di quei luoghi”. Gli entusiasmi iniziali perderanno via via vigore e, come si vedrà successivamente, solo grazie all’azione di bonifica operata con manovalanze e la realizzazione di opere di drenaggio, si riuscirà a debellare in via definitiva la malaria, trasformando in maniera radicale aree considerate per secoli mortifere. Ciò non toglie che, per svariati decenni, gli eucalitti entreranno a far parte del paesaggio italiano. Saranno piantati, in particolare al Sud, per abbellire stazioni e lungo la costruenda rete ferroviaria, tanto che la loro diffusione procederà di pari passo con l’implementazione della strada ferrata; saranno condotti studi per sfruttarne il legno per la realizzazione delle traversine e delle punterie da utilizzare come sostegni in miniera; infine, sarà dato ampio spazio all’utilizzazione di diverse specie quali frangivento a protezione delle colture. L’Agro Pontino si rivelerà, in questo senso, un interessante campo di sperimentazione. Aldo Pavari, studioso e forestale, descriveva così le considerevoli potenzialità associate alla specie: “l’eucalitto è risultato il trionfatore della situazione per moltissime prerogative … prodigiosa facoltà di ripresa dopo i danneggiamenti dovuti ai venti salati ed alle basse temperature ma anche per la rapidità di accrescimento … di rigettare vigorosamente dalla ceppaia”. Le fasce frangivento dell’Agro Pontino furono, quindi, concepite come fasce multifunzionali che dovevano proteggere le colture agricole dai venti e dalla salsedine, ma anche fornire legna da ardere e paleria per le popolazioni rurali.

 A distanza di oltre ottanta anni gli esiti di tale progetto sono ancora ampiamente visibili, anche se le fasce frangivento sono state oggetto di danneggiamenti e di forti critiche legate alla modifica sostanziale del paesaggio, operata con specie non autoctone. Senza entrare in una polemica destinata a rilevarsi sterile, va sommessamente fatto notare che le piante … viaggiano. Lo fanno grazie ai semi, straordinario strumento di diffusione, ed alla capacità di adattamento alle condizioni climatiche ed alle fasce altimetriche. Non è un caso se ogni volta che si parla di alberi si utilizza il termine “areale di diffusione”, destinato ad espandersi o contrarsi a seconda di diversi fattori, in cui anche il contributo dell’uomo, come abbiamo avuto modo di vedere, si può rivelare spesso determinante. Moltissime delle specie forestali presenti, oggi, in Italia sono giunte da “fuori”, importate per fini pratici. Specie che consideriamo a tutti gli effetti parte integrante (e fondante) del nostro paesaggio potrebbero essere arrivate da lontano. Non vi è certezza, ad esempio, che l’ ulivo sia autoctono: forse questo albero è originario dei paesi più orientali del bacino del Mediterraneo. Anche il pino domestico, icona nazionale, è di gran lunga tra le specie più “artificiali” impiantate dall’uomo per scopi analoghi a quelli che abbiamo visto associati all’eucalitto, ovvero protezione delle coste e mitigazione degli effetti della salsedine, nonché prosciugamento dei terreni paludosi. 

 A conclusione di questa carrellata che attraversa un arco temporale tutto sommato abbastanza breve, lascio ai lettori una suggestione che ribalta il punto di vista, un po' presuntuoso, di considerare l’uomo come esclusivo artefice dei cambiamenti. In realtà, i “flussi migratori” delle specie forestali hanno trovato nuove vie, sfruttando in maniera opportunistica, i canali commerciali aperti dagli impavidi naviganti. Dimostrando, ancora una volta, l’incredibile abilità di adattamento del mondo vegetale, la sua capacità di espansione e la forza miracolosa associata ad ogni singolo seme. Facciamo parte di un pianeta ove tutto è connesso e fantasticamente complicato e per capirlo bisogna viaggiare. Affacciamoci ancora una volta al mare, come tante volte è stato fatto prima di una partenza, e facciamo nostre le parole di Italo Calvino, riportate nel suo “Barone Rampante”. Volgiamo lo sguardo per cogliere e apprezzare ciò che ci circonda, muta e costantemente si rinnova: “… non più i lecci, gli olmi, le roveri: ora l’Africa, l’Australia, le Americhe, le Indie … in giù la costa è un’Australia rossa d’eucalipti.” 

 Letture consigliate
L’incredibile viaggio delle piante” di Stefano Mancuso – Edizioni Laterza 2018 
I cacciatori di piante. Delle avventure di piante, botanici ed esploratori che hanno arricchito i nostri giardini” di Michael Tyler Whittle – Habitus 2015

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari


Immagine di copertina: Bois de Eucalyptus camaldulensis, Paul Venter, wikimedia


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