Osservo sgomenta l’impetuoso fiume di fango che ha attraversato e devastato Bitti e una vasta parte della provincia di Nuoro nei giorni scorsi. Penso alla fragilità del nostro territorio e a quello che i giornalisti continuano ottusamente a chiamare maltempo come fosse un accidente o una fatalità. E mentre guardo queste immagini, sorge in me la voce pacata e implacabile di Don Salvatore Satta Carroni, il protagonista di uno dei grandi capolavori del novecento Il giorno del giudizio. Questo romanzo pressoché dimenticato di Salvatore Satta meriterebbe ben altra attenzione. Nato a Nuoro nel 1902, grande giurista, autore dell’imponente Commentario al Codice di procedura civile, Satta iniziò a scrivere Il giorno del giudizio nel 1970 come fosse un testamento, un romanzo che raduna i vivi e i morti e racconta una Sardegna antica e desolata, dove il tempo si avvolge su se stesso come nel tempo dei miti. La storia della famiglia del notaio Satta Carroni, padre dello scrittore che porta il suo stesso nome, scorre «come in una di quelle assurde processioni del paradiso dantesco {dove} sfilano in teorie interminabili, ma senza cori e candelabri, gli uomini della mia gente».
Nuoro, il suo territorio e la sua gente sono i veri protagonisti del romanzo: «C’erano preti, c’erano avvocati, medici, professionisti, mercanti (…) c’erano gli oziosi, i miseri e i ricchi, i savi e i matti, chi sentiva l’impegno della vita e chi non lo sentiva, ma il problema di tutti era quello di vivere, di comporre col suo essere lo straordinario e lugubre affresco di un paese che non ha motivo di esistere. Di un paese, come del mondo, forse. Perciò non vi era odio, non vi era amore: c’era la contestazione dell’altro che era contestazione di se stessi. L’odio e l’amore si compensavano e si componevano nella necessità di conservare gli altri per conservare se stessi».
Osservo sgomenta l’impetuoso fiume di fango e penso al giorno del giudizio, al potere che la letteratura ha di descrivere e far vivere i luoghi, di raccontarne le ferite e la bellezza e di mantenere vivo il legame tra noi e quei luoghi. Soltanto dal legame può nascere l’attenzione e la cura di cui i territori hanno un bisogno sempre più urgente, quella necessità di conservare per poter continuare a esistere.
Riscoprire Satta e il suo capolavoro sarebbe a mio parere un buon modo per cominciare a guardare quel fiume di fango con meno sgomento e più rabbia, con la consapevolezza necessaria ad ogni principio di azione, per risvegliarsi insomma da un sonno secolare.
Foto di © Dean Moriarty
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