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Il Parco Letterario Federico II incontra Giuseppe Lupo

Il Parco Letterario Federico II incontra Giuseppe Lupo

Da poco il prof. Giuseppe Lupo ha ricevuto la cittadinanza di Atella. Occasione propizia per il Parco Letterario Federico II di incontrarlo per intervistarlo sul suo ultimo libro “La Storia senza redenzione: Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli"

20 Ottobre 2021

ParkTime Magazine n. 17

 Da poco Giuseppe Lupo, professore di letteratura italiana contemporanea alla Cattolica di Milano, scrittore e saggista, ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Atella, dove è nato e risiede la sua famiglia di origine. La sua permanenza lì è stata l'occasione propizia per il Parco Letterario Federico II di incontrarlo per intervistarlo sul suo ultimo libro “La Storia senza redenzione: Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli”, Rubbettino Editore, aprile 2021. Appuntamento, come di consueto, sotto la luna sulla terrazza Due Pini a Melfi. Giuseppe Lupo ha scritto il libro durante l'anno della pandemia riordinando lavori di anni precedenti e ne è scaturito un saggio straordinario sia per la lucida analisi della letteratura del Meridione dopo l'unità d'Italia sia per l'originalissima individuazione dei canoni di appartenenza.

 Giovanni Verga nei “Malavoglia” racconta la lotta per la vita di una famiglia che vive di pesca e di piccoli commerci; possiede una barca di nome “La Provvidenza”, che naufraga durante il trasporto di lupini comprati a credito da un usuraio. La famiglia va in rovina, una serie di disastri la colpisce senza tregua e finisce quando l'ultimo nipote del capostipite, uscito dal carcere dopo aver scontato la pena per l'aggressione ad una guardia che aveva tentato di sedurre la sorella, capisce di non poter più esser parte di quella vita e di quella terra e abbandona per sempre il paese natale.
 In “Mastro don Gesualdo” racconta il tentativo di scalata sociale di un muratore arricchito che una volta sposata la figlia di un nobile diventa “don” per il popolo e resta “mastro” per gli aristocratici. Finisce male, muore nella malattia e nella miseria.

 La letteratura di Verga è la storia dei vinti, dei perdenti, come anche quella di Carlo Levi che nel “Cristo si è fermato a Eboli” descrive un mondo isolato, tagliato fuori da tutto e dalla storia, misero, senza speranza, immutevole. Trascurato anche da Cristo.

 Al Nord Alessandro Manzoni invece, già molti anni prima, ne “I Promessi Sposi” racconta di una Provvidenza in cui credere, che non affonda, ma viene in soccorso dei più umili. Attraverso il racconto manzoniano si avverte che in quella Milano dell'Ottocento la storia personale e collettiva della povera gente può cambiare, Renzo vince sulla prepotenza dell'Innominato e sposa Lucia, da semplice operaio diventa piccolo imprenditore, incarna il mito della borghesia. In Manzoni c'è speranza, c'è la lettura di una storia diversa che può cambiare.

 Secondo Lupo, questa contrapposizione letteraria sulla visione della storia deriva dalla contrapposizione del modello Angioino rispetto a quello Aragonese.

 È una originalissima chiave di lettura della storia della Letteratura meridionale.

 Il modello Angioino individuato da Lupo si richiama a Giovanni Boccaccio, napoletano di formazione e di animo che frequentava la corte angioina, al quale si aggiunge più tardi Giovanbattista Basile. Aprivano alla fantasia, all'invenzione, alla fiaba, con metafore filosofiche e metafisiche.

 Il modello Aragonese si richiama invece a scrittori che si limitavano a fotografare l'esistente, alla denuncia. Napoli non era più una grande capitale, ma un vicereame e il canone letterario era politico-encomiastico o puramente descrittivo, senza spazio per la fantasia, per la speranza, neppure per la Provvidenza. In questo canone Aragonese si collocano quindi Verga, Tomasi di Lampedusa, Levi, in parte anche Sciascia e, fino ai giorni nostri, Saviano con le sue denunce di una società soggiogata dal potere criminale, senza possibilità di riscatto.

 Ne viene fuori un Sud ancorato all'antico che rifiuta la storia, la modernità che, nelle aree interne, come in Basilicata, fa del miserismo addirittura un valore e celebra in ogni dove “la civiltà contadina”, una civiltà della miseria, plasticamente scolpita a Matera.

 Alla domanda specifica se si potesse intravedere nei giovani scrittori un filone Angioino, Lupo risponde che oggi predominano i “giallisti” ovvero gli autori di romanzi gialli con un finale già scritto fin dall'inizio. Imperversano nelle librerie, sul piccolo schermo e i lettori e telespettatori, inondati di immagini cruente di uccisioni, che ormai non suscitano alcuna emozione, aspettano la cattura del colpevole, che certamente avverrà e ne sono soddisfatti. Restano in quel recinto, non vanno oltre.

 Nessuno di quei scrittori affronta il tema del disagio sociale, del destino del colpevole a pena scontata, del dopo di tutta quella violenza e quelle morti.

 Sembra quindi che la Storia del Sud debba restare ancora senza redenzione. Pochi sono andati oltre il racconto della storia e di una sua visione circolare, a sfondare il recinto ed aprire alla fantasia, al moderno, al nuovo, alla speranza. Tra questi Raffaele Nigro con il suo realismo magico de “I fuochi del Basento” ed altre opere con le quali guarda ad un futuro diverso e all'altra sponda dell'Adriatico ed anche Gaetano Cappelli con il suo racconto disincantato, ironico, all'apparenza salottiero e leggero, ma distante dal vittimismo.

 L'ultimo capitolo del libro è “Il sole della storia”. Lupo invita a sognare la storia, che, essendo il passato, per definizione, non potrebbe sognarsi. Ciononostante invita gli scrittori a sognare e descrivere una storia diversa, ad attraversare il territorio proprio degli storici, ad andare oltre il suo confine, a vincere il mito della civiltà contadina e lo stereotipo del moderno come devastazione dell'uomo e della natura.

 Una grande opera letteraria quella di Giuseppe Lupo, che scende nel tema etico della letteratura e invita alla speranza, alla modernità.

 Francesco Corona

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La Storia senza redenzione, Rubettino editore
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