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The Mission of Memory. Christian Herrmann sulle tracce dell’ Olocausto nascosto

23 Settembre 2022
The Mission of Memory. Christian Herrmann sulle tracce dell’ Olocausto nascosto
Il fotografo e blogger tedesco Christian Herrmann documenta testimonianze, tracce e luoghi dimenticati dell'eredità ebraica in Europa orientale.

La missione della memoria. Christian Herrmann sulle tracce dell’’Olocausto nascosto’  *

The Mission of Memory. Christian Herrmann on the traces of the ‘Hidden Holocaust’  * (Please find the English version)

Il fotografo e blogger tedesco Christian Herrmann (v. il suo blog Vanished World) documenta testimonianze, tracce e luoghi dimenticati dell'eredità ebraica in Europa orientale.
Per la sua attività volta a contrastare la caduta nell'oblio nel 2021 è stato insignito di un’importante onorificenza, la Bundesverdienstkreuz tedesca (Croce federale al merito). 


   Esiste un’area che attraversa in verticale l’Europa dell’est e include territori che lo storico americano Timothy Snyder ha chiamato nel suo libro eponimo “terre del sangue” (Terre di sangue. L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin, Rizzoli 2021). È qui che la megalomania e le mire imperialistiche di Hitler e Stalin si sono manifestate con maggior ferocia. Christian Herrmann ha viaggiato a lungo in queste terre catturando con la sua macchina fotografica tracce di una storia geopolitica fortemente repressa nella storia dello scorso secolo: le sue foto nell’Europa orientale mostrano patrimoni culturali di storia ebraica in abbandono, cimiteri spesso divorati dalle erbacce, rovine di sinagoghe al cuore o ai margini dell'Ucraina, nonché fosse comuni da pochi ricordate: tutto ciò attesta un passato che i libri di scuola menzionano a malapena e talvolta omettono completamente: sono le tracce, per riprendere le parole di padre Patrick Desbois, della “Shoah per pallottole” o de “l'Olocausto nascosto” (Patrick Desbois, Fucilateli tutti, 2009).

 I confini dei paesi visitati da Christian sono stati ripetutamente spostati, ricreati o eliminati. La Galizia e la Bucovina appartenevano all'Impero Austro-Ungarico. Dopo la sua dissoluzione entrarono a far parte della Polonia e della Romania, mentre la Podolia passò dal governo della Russia zarista all'Unione Sovietica. Oggi la Galizia orientale, le regioni settentrionali della Bucovina e della Podolia appartengono all'Ucraina, mentre la Galizia occidentale e la Bucovina meridionale appartengono alla Polonia e alla Romania.

Volessimo risalire più addietro, troveremmo le vestigia di numerose altre dominazioni quali l'Impero Ottomano, i Cosacchi e i Tartari. La diversità multietnica ha caratterizzato queste terre per secoli: ucraini, polacchi, rumeni, russi, cechi, ungheresi, tedeschi, ebrei, rom e armeni formavano uno straordinario melting pot. Oggi, le immagini di Herrmann (ri)portano alla luce – e alle nostre memorie – morte, distruzione e genocidio. Ci mettono di fronte al profondo e tragico dilemma insito nella celebre frase di Terenzio (Heauton Timorumenos, I,1,25): “Homo sum, humani nihil a me alienum puto" (“Sono un essere umano, nulla di ciò ch’è umano ritengo a me estraneo”).

 Furono gli ebrei a pagare il prezzo più alto, vittime di stermini che proseguirono il genocidio consumatosi ad Auschwitz, Buchenwald e in altri campi di concentramento. Tuttavia in questo caso, scrive Christian, non si dettero consimili 

 “uccisioni anonime, industriali. Per la maggior parte gli ebrei galiziani furono ammazzati nelle loro abitazioni e non nei campi di concentramento. A una prima ondata di pogrom da parte di gruppi nazionalisti e popolazioni limitrofe, seguirono i massacri di massa perpetrati dalle Einsatzgruppen delle SS. Tali delitti non avevano nulla di industriale o anonimo. Si uccise con armi da fuoco e a distanza ravvicinata; con l’ausilio di asce, seghe e persino a mani nude; oppure si morì di fame e di tifo. Assassini e vittime si trovavano faccia a faccia”.

 Un milione e mezzo di ebrei furono uccisi nel solo territorio dell'Ucraina tra il 1941 e il 1945 (per la maggior parte nell'Ucraina occidentale). E, dopo il bagno di sangue dei nazisti e dei loro alleati, la dominazione sovietica proseguì le distruzioni e cercò di cancellare ogni traccia costruendo ex novo o trasformando siti già esistenti di rilevanza culturale: cimiteri talora sostituiti da edifici in cemento o calcestruzzo, sinagoghe trasformate in cinema, piscine o strutture simili, ecc. Con il loro ingombrante silenzio queste rovine sono lì a parlare di un passato intollerabile, tanto più se represso e negato.

In particolare Christian mi ha indicato due foto che ritiene particolarmente rilevanti: la prima mostra una strada innevata a Trachimbrod (Trochenbrod) in Ucraina, che porta ad una terra di nessuno. Al posto di questo deserto c'era una città che è stata completamente distrutta. Oggi non ne rimane alcuna traccia. La seconda raffigura un bosco vicino a Lwiw (Lemberg) a Lisinitschi in Galizia. Furono i tedeschi a piantare gli alberi dopo aver massacrato 90.000 persone, fra le quali molti ebrei. Oggi ci vanno famiglie con bambini a farci il barbecue, ignare della tragedia lì consumatasi; a commemorazione di essa infatti non esiste a tutt’oggi alcun memoriale.

 Nei ritmi interattivi della nostra società postmoderna, sempre più cibernetica, lo spazio sembra liquefarsi (direbbe Zygmunt Baumann) a scapito del tempo. Invece, nei luoghi visitati da Christian “si diventa – dice - dolorosamente consapevoli dello spazio”. Entrando nelle rovine di sinagoghe, cimiteri e corti chassidiche, si percepisce che “il tempo non è un movimento lineare in avanti. Può anche funzionare al contrario e può farci viaggiare nel passato”. Questo è il grande valore dei viaggi di Christian attraverso paesi – e città come Riga, Varsavia, Wilna, Cracovia, Lemberg – che non appartenevano alle classiche tappe del Grand Tour compiuto dai rampolli dell'aristocrazia e della borghesia dell’Europa pre- e post-romantica.

 Le straordinarie spedizioni di Christian sono riportate nel suo blog “Vanished World” – un riferimento al libro eponimo del fotografo ebreo polacco-americano Roman Vishniac del 1983 (Un mondo scomparso, 1984) che documenta la vita degli ebrei in Germania immediatamente prima dell'Olocausto. Il lavoro di Herrmann rende omaggio a questo libro e le sue foto, in un certo senso, vanno a integrare la documentazione precedente.

*** 

La famosa frase "un'immagine vale più di mille parole" è qui particolarmente appropriata. Si rimane afoni davanti a queste immagini, davanti al senso tangibile di silenzio che circonda tali rovine, terre, cimiteri. Mostrano le tracce di un percorso che scava nelle radici insanguinate di guerre, totalitarismo e nazionalismo. Queste immagini ci chiedono disperatamente di ricordare.

 Ricordare deriva – come lo spagnolo “recordar” – dal latino “re-cordari” che significa “riportare al cuore”. In francese invece “souvenir” indica una memoria che sale dal basso, da sotto (“sub-venire”), dunque forse dall’inconscio (d’altronde l’espressione “apprendre par cœur” come pure “to know by hearth” significano mandare o sapere a memoria). Un processo dunque che assume differenti connotazioni a seconda delle diverse lingue (l’inglese “remember” viene da “rememorari”, ossia richiamare alla mente) ed indica la necessità di attraversare, ma anche oltrepassare, la mente “cartesiana” per andare a scavare nella psyche profonda.

In un saggio del 1914 (Ricordare, ripetere e rielaborare) Freud scrisse che al ricordare (“Erinnern”) deve far seguito l’elaborare “Durcharbeiten”. Così, gli elementi rimossi nell'inconscio possono essere portati alla luce e liberati dal "Wiederholungszwang" (la "coazione a ripetere"). Può questo accadere tanto a livello individuale quanto nei processi di elaborazione di eventi socio-politici collettivi? Ci sono buone ragioni per dubitare che la storia sia – come si spera sempre sia – “magistra vitae”. Nondimeno, qualsiasi lavoro svolto sulla memoria, sulla rimembranza e la consapevolezza in accordo con la vasta tradizione del pensiero psicoanalitico – e possibilmente integrato con la tradizione del pensiero critico eminentemente rappresentata dalla Teoria critica della Scuola di Francoforte – può portare a una migliore comprensione della storia collettiva, con i suoi complessi culturali (nazionali e nazionalistici) e le sue manipolazioni operate sia dalle agende politiche sia dai detentori della storia “ufficiale”. Non a caso, la psicoanalista e storica Regine Lockot si è ispirata a questo saggio di Freud per un fondamentale libro sulla storia della psicoanalisi e della psicoterapia durante il Terzo Reich (R. Lockot, Erinnern und Durcharbeiten. Zur Geschichte der Psychoanalyse und Psychotherapie im Nationalsozialismus, 1985).

È sempre il modo in cui viene raccontato il passato – in una parola, il narrare (lo story-telling) e, per così dire, il ri-narrare – che ci permette di capire il presente (e di guardare al futuro). Solo per citare alcuni esempi cinematografici: il film Son of Saul di Lazlo Nemes (2015) racconta l'Olocausto attraverso gli occhi di uno dei cosiddetti “Sonderkommandos”, le unità di lavoro dei prigionieri, generalmente ebrei, che i nazisti costringevano ad operare all’interno del meccanismo di sterminio (Primo Levi ne I sommersi e i salvati li chiamava i “corvi crematori”).È la storia di un non-eroe.

Completamente diversa è la narrazione presentata in Schindler's List di Steven Spielberg (1993); o ne La Vita è Bella (1997) di Roberto Benigni. Il primo narra la vicenda dell'imprenditore tedesco Oskar Schindler, che riuscì a salvare quasi 1200 ebrei dai campi di concentramento; il secondo rappresenta le stesse atrocità quasi come una specie di favola per salvare l'immaginazione – e forse la vita – di un bambino prigioniero proprio in un campo di concentramento.

Si può infine ricordare un libro di Enrico Deaglio su colui che fu chiamato lo “Schindler italiano”, La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca (1991). Il titolo fa da controcanto in modo significativo all'opera che più rese celebre di Hannah Arendt (La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, 1963). Mentre Adolf Eichmann risulta essere la perfetta rappresentazione di una persona completamente priva di fantasia (morale), Perlasca, al contrario, si finse console spagnolo d'Ungheria, e così facendo, tra il dicembre 1944 e il gennaio 1945 salvò oltre 5000 Ebrei dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Nelle sue parole: “Io credo di aver fatto qualcosa di normale perché penso che nella mia situazione chiunque avrebbe fatto la stessa cosa. Non posso immaginare che ci sarebbe stata una persona, al mio posto, che avrebbe rifiutato di farlo.” 

 Lavorare con e sulla memoria è forse l'unico modo di instillare semi di consapevolezza critica e di immaginazione morale, in modo che consimili orrori non si ripetano, anche se in nuove forme, più sottili forse e apparentemente innocue o persino seducenti. Afferma acutamente l'attore e drammaturgo Moni Ovadia: “Fare memoria è uno strumento per costruire il presente e il futuro. (…) Una delle caratteristiche dell’umanità è che non conquista mai una cosa una volta per tutte. Se non vigila, se non lavora su sé stessa rischia di tornare indietro.” 

Avendo ricevuto "il più alto riconoscimento che la Repubblica Federale di Germania conferisce a chi si pone al servizio del bene comune", Christian Herrmann spera con il suo lavoro di contribuire a rivolgere maggiore attenzione all'eredità ebraica dell'Europa orientale. Come scrive nel suo blog, egli desidera "richiamare quei luoghi alla coscienza pubblica e vuole incoraggiare le persone a salvare un patrimonio comune a tutti". 

Riferimenti bibliografici

  • Christian Herrmann https://vanishedworld.wordpress.com/author/cyberorange/ 
  • Christian Herrmann, Spurensuche. Jüdisches Kulturerbe in der Westukraine. Mit Texten von Jürg Wilhelm und Lothar Altringer, Druckhaus Süd, Köln 2015. 
  • Christian Herrmann, In schwindendem Licht | In Fading Light. Jüdische Spuren im Osten Europas | Jewish Traces in the East of Europe. Foreword by Adam Kerpel-Fronius, Lukas Verlag 2018. 

Sul tema

  • Enrico Deaglio, La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca, Feltrinelli, Milano 1991.
  • Patrick Desbois, Fucilateli tutti, Marsilio, Venezia 2009;  vedi anche: -http://www.yahadinunum.org/?lang=en (homepage della ONG Yahad-In Unum presieduta da Patrick Desbois, direttore del comitato della Conferenza episcopale francese per le relazioni con l’ebraismo).
  • https://www.thefhm.org/wp-content/uploads/2016/12/Yahad-In-Unum-The-Holocaust-by-Bullets-Guide.pdf (documentazione su The Holocaust by Bullets).
  • https://www.cbsnews.com/news/hidden-holocaust-60-minutes/ (intervista a Desbois).
  • Jens Hoffmann, "Das kann man nicht erzählen. Aktion 1005“ – wie die Nazis die Spuren ihrer Massenmorde in Osteuropa beseitigten, KVV Konkret, Hamburg 2008.
  • Rafael F. Narvaez, Embodied Collective Memory. The Making and Unmaking of Human Nature, University Press of America, Inc., Maryland 2012. 
  • Anna Reid, Borderland. A Journey Through the History of Ukraine, Westview Press, Boulder, CO 2000.
  • Timothy Snyder, Terre di sangue. L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin, trad. di Lorenza Lanza e Sergio Mancini, Rizzoli, Milano 2021.
  • Roman Vishniac, Un mondo scomparso. prefazione di Elie Wiesel. Trad. S. Incagnoli, E/O, 1984 (ediz. originale: 1947).
  • Leon Weliczker Wells, The Janowska Road. Survival in a Nazi Death Camp (1963), MacMillian, New York 1974.

Riferimenti psicoanalitici ed altre opere e siti internet 

  • Sigmund Freud, Erinnern, Wiederholen und Durcharbeiten. Weitere Ratschläge zur Technik der Psychoanalyse II (1914), in Sigmund Freud, Studienausgabe. Schriften zur Behandlungstechnik/Ergänzungsband, Buchclub Ex Libris Zürich 1977, 205-21; trad. it. (di Cesare Musatti) Ricordare, ripetere e rielaborare, in Opere di Sigmund Freud, Vol. 7 (1912 - 1914), Boringhieri, Torino 1975, pp. 353-361.
  •  Regine Lockot, Erinnern und Durcharbeiten. Zur Geschichte der Psychoanalyse und Psychotherapie im Nationalsozialismus [1985], Psychosozial Verlag, Giessen 2002.
  • Intervista a Moni Ovadia in: http://www.ctrlmagazine.it/il-giorno-della-memoria-non-e-fatto-per-gli-ebrei-intervista-a-moni-ovadia/. V. anche http://www.moniovadia.net/en/ 
  • Primo Levi, Sommersi e salvati (1986), Einaudi, Torino 1991.

Film 

  • Roberto Benigni, “La vita è bella” (1997).
  • Lazlo Nemes, “Son of Saul” (2015).
  • Steven Spielberg, “Schindler’s List” (1993).

* Nota: Questo articolo fa parte di una serie di presentazioni di mostre originariamente tenutesi presso gli Stillpoint Spaces a Zurigo nel 2016. Molte delle informazioni qui contenute provengono dallo stesso Chistian Herrmann che ringrazio, e dal suo Spurensuche. Jüdisches Kulturerbe in der Westukraine. Mit Texten von Jürgen Wilhelm und Lothar Altringer, 2015. Sono grato anche alla compianta Donatella Buonassisi per la sua revisione della versione inglese. 



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