“Le livre est parti parfaitement au hasard, sans aucun personnage. Le
personnage était l’Arbre, le Hêtre.”
Jean Giono, Un roi sans divertissement
Se un bel giorno vi ritrovaste a Villa Borghese, o in un qualsiasi giardino di qualsiasi città del mondo, e scopriste che tutti gli alberi sono stati tagliati, come vi sentireste? O se, tornando a vedere un paesaggio conosciuto, lo ritrovaste ridotto a una desolata e sterile distesa di capannoni, dove non cresce più niente? Ci si può chiedere, dei luoghi frequentati e amati da scrittori e poeti, la stessa domanda: se i paesaggi dove hanno vissuto e che li hanno ispirati fossero sfigurati oltre ogni dire dalla eradicazione di queste forme di vita, come sarebbe stata trasformata la loro opera creativa? O persino, sarebbe esistita in effetti una opera creativa dello stesso livello? Per quanto mi riguarda, di fronte a un tale disastro, assieme allo choc, ribollirei di un intenso miscuglio di emozioni: rabbia, dolore, profonda tristezza e un feroce senso di oltraggio, di essere stata privata con la violenza di qualcosa di prezioso e vitale.
Mi era effettivamente successo
qualcosa di simile, quando decisi di scrivere il mio libro, Noi e l’albero. La
scintilla iniziale fu un piccolo, ennesimo scempio ambientale: un giardino del
mio quartiere, non grande ma pieno di bei alberi maestosi, venne distrutto
per fare al suo posto un parcheggio, con la consueta giustificazione di una
presunta maggiore “utilità” di quest’ultimo.
Sulla utilità relativa di alberi, giardini etc, confrontata a quella di parcheggi,
superstrade, capannoni eccetera, ci sarebbe da scrivere parecchio.
Chiaramente è ridicolo voler ridurre la ricca complessità e la bellezza degli
elementi naturali viventi del nostro ambiente, al solo aspetto della loro “utilità
per noi". Ed è follia ancora più grave pretendere di riportare questa “utilità” al
solo fatto economico, come purtroppo spesso accade.
In ogni caso anche se
per assurdo si facesse questo confronto, vincerebbero gli alberi, e con
ampio margine, non c’è dubbio: c’è chi queste cose le ha studiate e calcolate
meticolosamente.
Eppure, alberi parchi e giardini sono la cenerentola del dibattito politico e sembrano l’ultima delle priorità di legislatori e amministratori; persino oggi, quando ecologia e sosteniblità sono all’ordine del giorno, si declinano quesi concetti quasi solo nel senso di efficienza energetica o digitalizzazione. Chi ha sentito parlare, nelle decisioni dei governi di questa era di crisi e pandemia, di fondi per il verde urbano, i giardini storici, di nuove aree protette, di maggiore sostegno e sviluppo delle realtà esistenti che tutelano e proteggono paesaggio e natura?
Insomma, nelle nostre menti di umani moderni persiste una curiosa dicotomia, dove da una parte l’albero, la natura hanno un ruolo esaltato ed essenziale; vedi il successo di libri sull’ ”intelligenza” del bosco, o di mostre sugli alberi nell’arte, o la folla che riempie parchi e ville al primo allentamento di quarantena. Ma d’altra parte, nella realtà, in molti casi quasi non lo si vede, l’albero: sotto sotto lo si considera un elemento di una scenografia inerte, che non ha influenza su du noi e che di fatto è lecito ignorare. O abbattere.
Una strana alterazione percettiva, forse, ci rende ciechi di fronte
all’evidenza.
Era per tentare di cambiare questa percezione che mi misi alla scrivania; e
alla fine scrissi e pubblicai Noi e l’albero (Corbaccio editore). Perché gli alberi, il verde, i boschi, i
giardini - gli elementi naturali viventi di un paesaggio, insomma - sono
personaggi a parte intera delle storie che vi si svolgono- inclusa la nostra di
esseri umani.
E oltre ad essere compartecipi della bellezza che percepiamo
in un luogo, e che ci incanta, interagiscono in maniera concreta con noi,
esercitando una profonda influenza sul nostro organismo, ad ogni livello:
biologico, metabolico, emotivo, affettivo, psichico, spirituale... Persino le
relazioni tra di noi, la società, l’economia ne vengono toccati.
Se si considera la nostra storia evolutiva le nostre esistenze, quella degli umani e quella degli alberi, sono intrecciate da tanto di quel tempo da aver creato un forte tessuto di legami, che persiste a tutt’oggi; che se ne sia consapevoli o, come più spesso accade, no. Annidato da qualche parte in questo intricato tessuto che ci collega c’è anche un qualcosa che riguarda la qualità di stimolare e di ispirare la creatività umana, l’arte, la letteratura.
Il logo dei Parchi Letterari, ha delle fronde che si intrecciano a
formare un tetto vivente; rigoglioso, protettivo e al contempo teso verso il
cielo e verso l’altrove. Si chiamano Parchi Letterari; e in effetti è difficile
immaginare un parco senza alberi; l’albero, il verde gli elementi naturali
viventi nelle loro varie forme - il solitario platano cittadino, il più curato dei
giardini, le campagne coltivate, la vegetazione spontanea e selvatica -sono
aspetti essenziali di ciò che chiamiamo “paesaggio”; ed entrano in risonanza
con qualcosa di molto profondo e radicato nel nostro “paesaggio” interiore e
nella nostra cultura.
Si indovina una grande ricchezza e complessità, in questa relazione tra
umani ed elementi naturali dell’ambiente, tra Noi e l’albero, per dirla
metaforicamente. Una complessità dalle molte sfaccettature.
Esiste per esempio una comprovata risonanza a livello biologico: vedere
alberi, camminare in una foresta, portano a dei cambiamenti nell’organismo
umano, cambiamenti perlopiù positivi, occorre dire.
Il profondo senso di pace,
di rasserenamento che percepiamo più o meno chiaramente quando
passeggiamo in un bosco o in un giardino, è reale ed ha corrispettivi
biologici, fisiologici, neuropsichici.
Si va a fare due passi nel parco “per schiarirsi le idee”; questa esperienza non è un modo di dire, o una illusione, ma corrisponde a un effettiva azione su corpo e mente, sui processi di pensiero, le emozioni e così via (ormai disponiamo, volendo, di una cospicua mole di ricerche in proposito). Insomma, contemplare un albero o passeggiare in un viale di campagna, con le sue querce o cipressi o ulivi, sono azioni che ci riportano verso una armonia fisica, psichica, affettiva. Il che di certo è anche una buone base per poter tirare fuori il meglio dell’intelligenza, dell’emozione e della creatività. Il quadro è molto, molto più articolato, ovviamente.
Descrivere il complesso, travagliato rapporto tra uomo e natura come una asciutta lista di effetti e reazioni sarebbe un esercizio di sterile riduzionismo; e sarebbe pesantemente inesatto. C’è la questione del tempo, per dire, ad aggiungere al fascino e al mistero delle nostre relazioni. Perchè le piante la vegetazione che caratterizzano un luogo sono elementi viventi, e come tali nascono, crescono, evolvono. Ma rimanendo fermi, ne possiamo osservare con più agio i cambiamenti.
Gli alberi in particolar modo: scandiscono le stagioni, ancorandoci al ciclo dell’anno, e al contempo, con le loro vite spesso centenarie, trascendono il tempo dell’esistenza umana e ci ricollegano ai più vasti cicli della natura e del cosmo. Sono una ispirazione e una consolazione, una fonte inesauribile di metafore e simboli. Alberi, boschi, giardini, vigne , campi sono elementi costitutivi dell’identità di un luogo, diventano delle personalità a parte intera che lo definiscono. Possono essere presenze familiari, che rassicurano, creando spazi di libertà per la mente e lo spirito, o entità maestose, che suscitano emozioni più variegate, ma non lasciano indifferenti, alimentando un senso di stupore, di rispetto e meraviglia sempre rinnovati, per chi sa guardare. Per non parlare della loro pura e semplice bellezza. Che tutto sommato è forse fonte e riassunto di tutto ciò.