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Crespi d’Adda, un bell'esempio di villaggio operaio

09 Dicembre 2020
Crespi d’Adda, un bell'esempio di villaggio operaio
Nel 1995 il sito è divenuto patrimonio dell’umanità dell’UNESCO ed è il più completo e meglio conservato del Sud Europa. Di Giovanna Musolino

Lungo le rive dell’Adda si dipana un patrimonio naturalistico e culturale cospicuo e per quantità e per varietà: ciò che la natura ha elargito, l’ingegno umano ha saputo valorizzare. Costeggiando le sponde del fiume, dunque, si assiste a un avvicendamento di santuari, castelli, monasteri, centrali idroelettriche, fortificazioni militari, ponti spettacolari, financo un ecomuseo dedicato a Leonardo. Il genio vinciano compì qui studi in campo idraulico e rimase talmente ammaliato da questi scenari da trovarvi ispirazione per lo sfondo della Monna Lisa e della Vergine delle rocce. Manzoni assegnò al corso d’acqua lombardo un ruolo di primo piano ne I promessi sposi. 

 Nel loro incedere, ora placido, ora impetuoso, le acque dell’Adda, rigenerate dal recente lockdown, lambiscono un borgo assai singolare, Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo, ma a un tiro di schioppo da Milano: nel 1995 il sito è divenuto patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, in quanto “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”
I villaggi operai si diffondono in Italia e in Europa tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: si tratta di insediamenti industriali che hanno lo scopo di avvicinare le abitazioni degli operai alle fabbriche in cui prestano la loro manodopera. Crespi d’Adda nasce dal nulla, verso la fine dell’Ottocento. Gli industriali cotonieri Cristoforo Benigno Crespi, prima e il figlio Silvio, poi, fanno costruire una sorta di città ideale in cui risiederanno gli operai dell’opificio con le loro famiglie, i dirigenti, gli impiegati. Il villaggio viene dotato di tutta una serie di servizi che, all’epoca, saranno stati piuttosto rari, come scuola, ospedale, bagni pubblici, dopolavoro, teatro, spazi sportivi, spacci alimentari e di abbigliamento, un albergo, il cimitero. Razionalità e ordine contraddistinguono l’architettura del villaggio; l’avvicendarsi delle tipologie di edifici sembra seguire un assetto gerarchico: dalle graziose villette degli operai, tutte dotate di giardino, spesso adibito a orto, alle ricche dimore dei dirigenti, fino ad arrivare al fastoso e sfarzoso castello della famiglia Crespi. 
Questa company town è indubbiamente figlia di un paternalismo industriale in cui le regalie hanno lo scopo di esercitare un controllo completo sul lavoratore e accrescerne la fidelizzazione: un do ut des. Sicuramente discutibile secondo la sensibilità moderna, ma più che apprezzabile se contestualizzato e calato nella realtà presente in Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. 

 La Rivoluzione industriale aveva causato un netto e notevole peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Abbandonate le campagne per riversarsi in città, i contadini si trasformano in operai: giornate lavorative anche di 15 ore, una paga infima, ambienti di lavoro malsani e asfissianti, mansioni logoranti e ripetitive, tuguri come abitazioni e squallide bettole in cui trovar “svago”. Nessun diritto, nessuna salvaguardia. Timidi tentativi di tutela del salariato cominceranno ad apparire all’interno della legislazione italiana tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. 
Nel 1886 il Parlamento emana la prima legge italiana a difesa delle donne e dei minori, le cosiddette "mezze forze", con la Legge Berti, che fissava a nove anni il minimo per essere ammessi al lavoro e indicava in dodici anni l'età minima per il lavoro notturno: tale legge, però, non sarà mai applicata a causa della mancanza di presupposti economici e politici! Nel 1907 viene emanata la Legge 489 che istituisce una regolamentazione a protezione del riposo settimanale e festivo dei lavoratori. Nello stesso periodo a Crespi d’Adda i bambini possono contare su un minimo di istruzione, sono garantite le cure mediche, le abitazioni sono più che dignitose. 

 Bisognerà attendere ancora molti anni prima che il lavoro si configuri come diritto. L’articolo 4 della nostra Costituzione recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”; l’articolo 36 sancisce che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Il lungo e tormentato percorso del riconoscimento dei diritti dei lavoratori a un salario adeguato, allo sciopero, al riposo, a un ambiente lavorativo sano e sicuro è fatto di lotte, sconfitte, conquiste, progresso e regresso. 
 Tra gli anni ‘30 e ‘60 del secolo scorso, a Ivrea (iscritta dal 2018 nella lista del Patrimonio UNESCO come “Città industriale del XX secolo"), Adriano Olivetti concretizza un magnifico sogno: un modello lavorativo efficiente eppur rispettoso della dignità del dipendente, produttivo, ma non profittatore. Un’azienda all’avanguardia che il lungimirante Olivetti correda di una complessa e completa rete di servizi sociali per i lavoratori: quartieri residenziali, ambulatori medici, asili, mensa, biblioteca e cinema gratuiti. Olivetti va ben oltre l’esperienza di Crespi d’Adda: nella sua impresa non esiste la divisione netta tra operai e ingegneri, la giornata lavorativa viene ridotta mantenendo il salario invariato. Intende il lavoro come strumento di riscatto, non come “congegno di sofferenza”. Accoglie artisti, scrittori, disegnatori al fine di sollecitare anche l’estro creativo dei suoi dipendenti. Le sue “bizzarrie” si traducono in un consistente aumento della produttività e della qualità del lavoro. “La fabbrica non può guardare solo all'indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia” 1. 

 Il 2019, in Italia, si è concluso con un tasso di disoccupazione intorno al 10% e circa un migliaio di morti sul lavoro. “Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo" 2. 

 1 Adriano Olivetti 
 2 Adriano Olivetti 

 Foto © Stefano Ferrario 

 Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari


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