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nel parco Albino Pierro

Gli Scenari

"Mia terra, aspra d’agavi e sassi, non avevo che te nel fiume denso dei mìei candidi passi Ma c’è ora Vesilio"
Albino Pierro 

L’etimologia del nome di Tursi è incerta. Alcuni storici fanno derivare Tursi da turris con chiaro riferimento alla torre del castello gotico attorno al quale nasce il primo nucleo del paese verso il IV-V secolo d.C.Più affascinante, ma anche più sostenibile, sembra l'analisi del Glossario Ducange, in cui si afferma che probabilmente Tursi proviene dal greco e precisamente da torre, ovvero da torcia o torsia nel significato di “argini a rattenere le piene invernali”.  

Tursi, cenni storici

Gli studi sui reperti archeologici presso il Castello hanno dimostrato la presenza di insediamenti umani risalenti al XII secolo a.C. Tursi si ritiene fondata dai Goti dopo il 410 d.C.. i quali, dopo aver distrutto la vicina Anglona, costruirono un castello sulla collina ove si originò il primo nucleo abitato. Il governo dei Goti durò 77 anni, dal 476 al 553. Nel 554 subentrarono i Bizantini. Gli Arabi Saraceni, provenienti dall'Africa, tra gli anni 850 e 890 occuparono l'esistente nucleo abitativo e stabilirono la loro base attorno al castello e durante la loro breve permanenza il nascente borgo fu denominato Rabatana, nome che proviene dall'arabo Rabhàdi. Molti fanno risalire l'origine di Tursi ai Saraceni ma tale interpretazione è dovuta soltanto alle impronte che questi hanno lasciato sul luogo.

La Rabatana, infatti, durante la loro permanenza, era già un importante borgo di religione cristiana. Nel 890 i Bizantini sconfissero i Saraceni e rioccuparono l’ormai notevole borgo che crebbe ulteriormente e cominciò ad estendersi verso valle, lungo i pendii dell’altura assumendo il nome di Tursi che si fa derivare da turris (torre), con riferimento alla torre del castello o, secondo altri, da Turcico o Turcicus, suo probabile fondatore. Nel 968 Tursi divenne sede di Diocesi con Cattedra Vescovile presso la Chiesa della Rabatana e Capoluogo del Thema di Lucania, che confinava con quello di Longobardia e di Calabria. Dopo la distruzione di Anglona, nel 1400, la popolazione di Tursi aumentò ad opera dei fuggitivi di Anglona. Nel 1500 contava 10.000 abitanti e 40 dottori in legge.
Normanni, Svevi, Angioini, hanno contribuito alla crescita di Tursi. Nel 1552 Andrea Doria ricevette da Carlo V il ducato di Tursi; Carlo Doria, che a sua volta ereditò il ducato dallo zio, denominò la dimora di Genova, ‘Palazzo Tursi’. Il 1769 il ducato dei Doria finì e i terreni, furono acquistati dalle famiglie Donnaperna, Picolla, Panevino, Camerino, Brancalasso, che si ingrandirono. Al termine del conflitto mondiale anche per Tursi scoccò l'ora della rinascita: la ricomposizione delle famiglie, la ripresa delle attività agricole ed artigiane, consentirono, dagli anni cinquanta in poi, un notevole sviluppo civile ed economico del paese

 LA RABATANA ( 'A RAVATÈNE')
La Rabatana (da 'Rabhàdi', borgo), è situata nel punto più alto del paese ed è letteralmente circondata per ogni lato da profondi e inaccessibili burroni che costituiscono il fantastico mondo delle 'Jaramme' di Albino Pierro. Situata a 305 m/slm, domina il suggestivo paesaggio ionico della valle dell'Agri e del Sinni.
Il rione è stato il primo nucleo abitativo di Tursi.
Per la sua posizione dominante e distaccata dal resto del paese, ha saputo conservare il dialetto e i costumi più genuini del popolo di Tursi. Fino a pochi decenni è stato un centro vitale molto popolato e importante, custode di tradizioni e propulsore di cultura. Rappresenta la memoria storica di Tursi, le radici di ogni Tursitano.
Le origini della Rabatana risalgono alla costruzione del castello da parte dei Visigoti di Alarico nel V sec.d.c. I Goti infatti, dopo aver semidistrutto Anglona, si ritirarono nella zona alta di Tursi costruendo prima un castello e poi un villaggio ove si rifugiarono anche i profughi di Anglona. Fu abitata in seguito da arabi Saraceni, che hanno dato il nome al villaggio.

La Rabatana è collegata al resto del paese tramite una strada denominata in dialetto 'petrizze', che spicca dal punto più alto del rione S. Michele verso l'estremo pizzo (piccicarello) della Rabatana, elevandosi imponente fra i burroni del fosso S. Francesco e i burroni del fosso Cattedrale.In dialetto Tursitano si dice 'petrizze' pronunciando la parola con la 'e' muta.

La 'Petrizza' è un'ampia e ripida strada ricoperta da un selciato di pietre che si estende sui burroni per oltre 200 metri di lunghezza. Poggia su un costone di timpa e all'origine era un selciato a gradini interamente costruito in pietre calcare non squadrate, di varie dimensioni, incastrate fra loro spesso senza frapposizione di malta. Ai lati si alzavano robusti muretti di protezione, di pietre, finiti in superficie da un piano di mattoni d'argilla murati a coltello.

I gradini erano molto larghi e bassi, tali da poter consentire agevolmente il camminamento a persone e animali. Oggi la 'petrizze' rimodernata non genera più le emozioni di una volta.
Le balze che circondano la Rabatana creano effetti suggestivi e misteriosi:salendo la 'petrizza' si ha la sensazione che i burroni ruotino paurosamente intorno e che la Rabatana si avvicini quasi a venirci addosso. Scendendo si ha la sensazione di precipitare nei profondi dirupi.

La sua posizione ci consente di godere il paesaggio delle campagne limitrofe ed in lontananza i colori dei paesi circostanti, il mare e i monti del massiccio del Pollino. Carlo Doria, nipote di Andrea Doria, signore di Tursi, nel 1600 la fece costruire a sue spese in sostituzione di un viottolo molto pericoloso. La Petrizza, per volere di Carlo Doria, fu costruita con lo stesso numero di gradini di un suo Palazzo a Genova che in seguito denominò 'Palazzo Tursi'.
Il Palazzo, adibito a municipio della Città di Genova, conserva ancora oggi, questa denominazione. In Rabatana si possono percorrere le strette stradelle dei ruderi del nucleo primordiale e visitare quel che resta delle umili abitazioni, spesso di un solo vano a pianterreno, ove la gente vi dimorava con gli animali domestici: cane, gatto, asino, maiale, galline.
Le case, i vicoli, i palazzi, denotano un'architettura semplice, povera, con appena qualche cenno di barocco nei palazzi signorili di cui si possono ammirare le strutture.
É continua meta di turisti e visitatori, locali, italiani e stranieri soprattutto per merito di Albino Pierro che ha saputo trovare nella Rabatana la fonte ispiratrice di tutta la sua poesia fatta di ricordi della fanciullezza, immagini, evocazioni di momenti irripetibili.
Il mondo di Pierro e la Rabatana sono noti a tutto il mondo. Il poeta è nato in una piccola casa della Rabatana da Salvatore Pierro e Margherita Ottomano, maestra elementare presso la scuola del rione.
E proprio nel suo amato rione ha saputo trovare l'ispirazione di tutta la sua poesia.
L'antico rione Rabatana, luogo compreso e separato dal paese, disposto sull'altura di una zona caratterizzata da jaramme e fossi arsi dal sole.La notte il vento vi s'intrufola generando strani rumori, sinistre voci che risvegliano le civette. L'autore ripensa e rivive quei luoghi, rivede i "Ravetanèse" vivere nella miseria, in promiscuità con la loro scarsa ricchezza "Ciucce e Purcèlle" ( asini e porcelli), ma sono anche capaci di divertirsi al suono di chitarre e mandolini.

 "A Ravatène" è la poesia più significatica, più letta e più conosciuta di tutta la produzione di Pierro. Racchiude perfettamente tutti i motivi pierriani: il paese, il ricordo, il passato, la madre, la fanciullezza.

Itinerario turistico
Il centro storico,molto antico, poggia sui pendii di ampi valloni ed è un eloquente esempio di architettura spontanea con le case l’una su l’altra, le scale esterne, le volte, i vicoli stretti, le ‘‘petrizze’’. Spesso le case iniziano con la facciata esterna in muratura e terminano con profonde grotte scavate nella timpa, al di sotto di strade e di altre case. Partendo dalla centrale Piazza Maria SS. d’Anglona, si incontra la Chiesa dell’Annunziata costruita nel 1400 a ridosso di una chiesetta del 1300, oggi sacrestia. Nel 1546 fu elevata a Cattedrale della “Diocesi di Anglona-Tursi”, oggi Diocesi di “Tursi-Lagonegro”

La notte tra il sette e l’otto Novembre 1988 e la notte tra il dieci e l’undici Novembre 1988, un incendio ha completamente distrutto la Cattedrale e quanto in essa era contenuto. Durante i lavori di restauro, sul lato sinistro del presbiterio sono venuti alla luce due archi recanti sui pilastri tracce di dipinti e la data 1525. La chiesa è stata riaperta al culto nel 2006. Attraversando le vie del centro storico si giunge in Piazza Plebiscito, dove è ubicata la Chiesa dedicata al Santo Patrono San Filippo Neri, di stile barocco, datata 1661. Conserva pregevoli pitture, tra cui un quadro del Santo protettore a firma del pittore tursitano Domenico Simeone Oliva.
Dal centro della piazza si ammira il Palazzo del Barone Brancalasso detto semplicemente "palazzo del Barone", secondo la leggenda fu costruito in una sola notte da diavoli aiutati dagli spiriti delle tenebre. Le tre statue sul tetto simboleggiano la giustizia, la pace e la carità.

Adiacente, ma separata da una stradina, vi è la casa del poeta Albino Pierro (‘U PAAZZE). La casa gode di una suggestiva vista del canale Pescogrosso, del convento di S. Francesco, dei precipizi e della Rabatana, luoghi di ispirazione del Poeta. La casa contenente il patrimonio librario e cimeli del Poeta è gestita dal “Centro Studi Albino Pierro”.

Superata la Chiesa dedicata a San Michele Arcangelo del X sec., chiusa per inagibilità, si è colpiti dalla prospettiva dell’antico rione Rabatana, collegata al rione S. Michele da una gradinata (in dialetto petrizze), un’ampia e ripida strada che si estende sui burroni per oltre 200 metri di lunghezza. Carlo Doria, nipote di Andrea Doria, signore di Tursi, nel 1600 la fece costruire a sue spese al posto di un pericoloso viottolo, con lo stesso numero di gradini di un suo Palazzo a Genova che in seguito denominò “Palazzo Tursi”.

La Rabatana, situata nel punto più alto del paese, è circondata da profondi e inaccessibili burroni. E’ stato un centro popoloso e importante, custode di tradizioni e propulsore di cultura. Per la sua posizione dominante e staccata, ha conservato il dialetto e i costumi più genuini del paese. Qui si trova la Chiesa di Santa Maria Maggiore risalente al X-XI secolo, ristrutturata nella prima metà del secolo XVIII in stile barocco, conserva soltanto la facciata quattrocentesca. Al suo interno è conservata un fonte battesimale con vasca in pietra lavorata e cupola tronco piramidale in legno, del XVI-XVII sec.; un’acquasantiera in pietra lavorata (1518); un crocifisso ligneo del ‘400 e le pitture del coro del ‘900; un trittico trecentesco attribuito alla scuola napoletana di Giotto che raffigura la Vergine in trono col Bambino e scene della vita di Gesù e della stessa. La Cripta della Chiesa risale al VII-VIII secolo e custodisce un altare dedicato a Santa Maria Maddalena, un sarcofago in pietra con lo stemma di San Giorgio della famiglia De Giorgiis, passato poi alla famiglia Doria e un presepe di pietra (1547-1550), attribuito ad Altobello Persio (1507-1593). Sulle pareti della cripta si ammirano pregevoli affreschi (1547-1550) attribuiti a Giovanni Todisco. La Chiesa è stata restaurata il 1994.

Percorrendo la Strada Prov.le Tursi-Policoro si attraversa il suggestivo scenario dei calanchi dall’aspetto lunare, e dopo 10 Km si giunge sul pianoro della collina dove si erge solenne il Santuario di Anglona. Monumento nazionale dal 1931, tra i più importanti della Basilicata, è il luogo di culto più significativo della Diocesi di Tursi-Lagonegro. La Chiesa è stata elevata a Pontificia Basilica Minore dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 17 Maggio 1999 a ricordo del Sinodo dei Vescovi.

Il Santuario è ciò che resta dell’antica città di Anglona che, si presume, sorse sulle rovine di Pandosia, poco prima dell’era cristiana. L’attuale struttura della Cattedrale di Anglona, è datata tra il sec. XI ed il sec.XII e costituisce l’ampliamento di una prima chiesetta, risalente al VII-VIII sec.. Il prospetto è arricchito da un nartece. Sul frontale del portale si trovano formelle di tufo calcareo con bassorilievi che raffigurano l’agnello, i simboli dei quattro evangelisti ed altre figure simboliche. I recenti restauri hanno ridato colore e splendore agli affreschi del XIV secolo.

 

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