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L'incontro di Rocco Scotellaro con Carlo Levi. Più che un amico, un fratellastro

L'incontro di Rocco Scotellaro con Carlo Levi. Più che un amico, un fratellastro

L'incontro di Rocco Scotellaro con Carlo Levi negli anni tumultuosi delle lotte per il ritorno della democrazia e il riscatto del Mezzogiorno: genesi ed effetti di un intenso e fecondo sodalizio umano e intellettuale

19 Aprile 2023


Nell'anno in cui, per un caso singolare, si celebra la duplice e significativa ricorrenza del centenario della nascita e del settantesimo anniversario della morte di Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 – Portici, 15 dicembre1953), può essere utile evocare la figura del poeta, scrittore, intellettuale e uomo politico lucano, ricostruendo e mettendo a fuoco il suo rapporto con Carlo Levi. Molto, infatti, ha pesato nella biografia scotellariana il sodalizio culturale e umano con l'autore del Cristo si è fermato a Eboli. Si può, anzi, ritenere che esso sia stato decisivo almeno quanto il rapporto che legò il giovane tricaricese a Manlio Rossi-Doria, l'altro suo mentore, che a quel tempo dirigeva a Portici l'Istituto di Economia Agraria dell'Università Federico II di Napoli.
D'altronde, è lo stesso Scotellaro a proclamarlo solennemente nelle memorabili pagine de L'uva puttanella, dove definisce il Cristo «il più appassionato e crudo memoriale dei nostri paesi», perché in esso «ci sono parole e fatti da fare schiattare le molli pancie dei signori nel sonno, meccanicamente, per forza di verità». E ai compagni, che con lui condividevano la cella durante la detenzione nel carcere di Matera  e ai quali ogni sera ne leggeva alcune pagine, non nascondeva l'orgoglio della sua familiarità con l'autore del libro, che considerava «non un amico», ma «un fratellastro». Spiegava, infatti, che, dopo averlo «un giorno incontrato per avventura», a lui rimase legato per «la fiducia reciproca … e un amore della propria somiglianza».[i]

Scotellaro, come è noto, conosce Levi quando questi torna per la prima volta in Lucania, dopo esservi stato confinato tra il 1935 e il 1936 per la sua avversione al fascismo. Trascorso il tempo della  clandestinità a Firenze nella fase più acuta della lotta al nazifascismo, esaurita anche l'esperienza della direzione del giornale del Partito d'Azione “Italia Libera”, che lo ha costretto a trasferirsi a Roma nell'agosto 1945, nel maggio dell'anno successivo Levi è candidato nella lista di “Alleanza Repubblicana” con Michele Cifarelli, Mario Ferrara, Manlio Rossi Doria, Guido Dorso, Vito Gerardi e Luigi Loperfido nella circoscrizione di Potenza-Matera per le elezioni dell'Assemblea Costituente del 2 giugno. La campagna elettorale, dunque, gli consente di tornare  a distanza di dieci anni nei paesi che aveva conosciuto ai tempi del confino e che ora visita in compagnia del giovane intellettuale lucano Leonardo Sacco.
A Tricarico s'imbatte in Rocco Scotellaro, appena ventitreenne, e l'incontro gli richiama subito alla mente quello avvenuto nel 1918 a Torino con il giovane Piero Gobetti. Anche in questa occasione, infatti, è empatia a prima vista, come riconosce lo stesso Levi. «Arrivato sulla piazza di Tricarico - egli racconta - mi venne incontro un giovane, piccolo, biondo, dal viso lentigginoso, che sembrava un bambino: era Rocco che mi si avvicinò col viso aperto dell'amicizia […] e volle condurmi a visitare le case dei contadini e la Rabata, e le pitture dei fratelli Ferri, giù alla chiesa del Carmine e la casa di sua madre, e la sua piccola stanza».[ii]

I risultati elettorali, a dire il vero, non sono esaltanti per la lista di Levi e lui può contare personalmente 252 voti di preferenza. Ma l'esperienza è comunque positiva e gratificante, perché ha modo di conoscere molte persone e con alcune di loro ha l'opportunità di instaurare un assiduo e fecondo rapporto di amicizia e di collaborazione. In modo particolare, oltre a Rocco Scotellaro, saranno Rocco Mazzarone e Giovanni Russo a condividerne le idee e le strategie operative sulla annosa questione meridionale.

Per il giovane Scotellaro, invece, il 1946 fa registrare un successo inatteso alle elezioni amministrative che si tengono in autunno. Capolista dell'Aratro, una formazione unitaria dei partiti di sinistra, è eletto sindaco per la prima volta in maniera plebiscitaria, pur essendo sceso nell'agone politico solo da poco. Si è iscritto, infatti, al Partito Socialista il 4 dicembre 1943 e, sollecitato dall'amico Tommaso Pedio, con il supporto dell'anziano calzolaio antifascista Innocenzo Bertoldo il giorno di Natale ha fondato a Tricarico la sezione intitolata a Giacomo Matteotti. Nello stesso periodo è stato chiamato a rappresentare il partito in seno al locale Comitato di Liberazione.
Scotellaro è rieletto sindaco alle successive elezioni amministrative, che si tengono nel novembre del 1948. Ma in quello stesso anno, destinato a restare scolpito nella storia politica nazionale, il Fronte della Sinistra va incontro a una bruciante e clamorosa sconfitta, che produce effetti negativi anche a livello locale. Lo si ricorda con un senso di poetica rassegnazione nei versi di “Pozzanghera nera il diciotto aprile”: «I portoni ce li hanno sbarrati / si sono spalancati i burroni. / Oggi ancora e duemila anni / porteremo gli stessi panni. / Noi siano rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni le maschere coi denti».[iii]

Il giovane sindaco, inoltre, per una meschina e proditoria operazione politica dei partiti di opposizione, in particolare della Democrazia Cristiana, poco tempo dopo viene accusato di concussione ed è ingiustamente rinchiuso nelle carceri di Matera. Vi rimane dal giorno 8 febbraio al 25 marzo 1950, quando, difeso dagli avvocati Niccolò De Ruggieri di Matera ed Enzo Pignatari del Foro di Potenza, viene prosciolto dall'infamante accusa con formula piena e può finalmente tornare in libertà il giorno  dopo che è stata pronunciata la sentenza di assoluzione dalla Corte di Appello del capoluogo.
In questa raccapricciante e dolorosissima circostanza Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria rivelano di essere ormai gli angeli custodi di Rocco Scotellaro. Il primo da Roma non manca di fargli sentire in ogni modo la sua vicinanza: mobilita intellettuali e politici, perché si interessino del caso; si adopera persino di fare intervenire, tramite Giulio Einaudi, il Presidente della Repubblica per una eventuale concessione della libertà provvisoria; per sostenerlo psicologicamente gli comunica per mezzo dell'avvocato De Ruggieri la notizia che gli è stato assegnato il premio “Roma” di poesia.
Il secondo, invece, non esita a chiamarlo a collaborare a Portici, appena si rende conto che, non ostanti il pieno proscioglimento dalle accuse calunniose e la calda accoglienza che gli è stata riservata dai concittadini al ritorno dal carcere, Rocco è convinto di dover lasciare comunque il suo paese. Sono tutti consapevoli che si tratta di una decisione sofferta, ma inevitabile per molte ragioni. Sanno anche che è arrivato il momento di porre fine all'attività politica e amministrativa che per lui, come scriverà Carlo Levi, non è stata «un'esperienza esterna e pratica, ma un'esperienza, nel pieno senso della parola, poetica».[iv]

L'idea di Scotellaro di dare una svolta alla sua vita è favorita, peraltro, da una congiuntura favorevole, come testimonia Gilberto Antonio Marselli, l'assistente di Rossi-Doria destinato a stringere rapporti di amicizia fraterna sia con Rocco Scotellaro che Rocco Mazzarone.
«Quell'anno - spiega sapientemente Marselli - Rossi-Doria era stato incaricato dalla Svimez (Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno) di redigere un piano di sviluppo per la regione Basilicata. Fu, questo, il primo caso in assoluto di pianificazione a livello regionale avutosi in Italia e, per sua profonda convinzione, egli intese rifarsi all'esempio della pianificazione avutasi negli Stati Uniti nello spirito del New Deal voluto dal Presidente Roosevelt […] Ciò significò che, oltre agli aspetti meramente territoriali […] era indispensabile studiare anche le condizioni sanitarie (stato di salute della popolazione, distribuzione ed efficacia dei presidi sanitari) e quelle formative (la lotta all'analfabetismo, allora ancora troppo diffuso, e l'efficienza del sistema formativo di ogni ordine e grado nella sua diffusione del territorio)».[v]

È per queste ragioni, dunque, che i due Rocco tricaricesi furono coinvolti da Manlio Rossi-Doria nel suo organico e complesso progetto di lavoro e nel Piano di Sviluppo realizzato a Portici furono inserite anche le relazioni di Scotellaro sulla scuola e di Mazzarone sulle condizioni di salute della Basilicata.
Per Scotellaro furono, quelli di Portici, tre anni intensi, vissuti quasi febbrilmente. Egli s'impegnò allora in una intensa attività di  ricerche e di inchieste sociologiche, per le quali risultarono preziosi i contatti con i numerosi studiosi stranieri che di là transitavano, perché avevano scelto come campo d'indagine il Mezzogiorno, sollecitati dalla lettura di Cristo si è fermato a Eboli. Nello stesso tempo poté organizzare in maniera sistematica le conoscenze acquisite nel tempo attraverso letture eterogenee e disordinate.
Ebbe anche modo di maturare e affinare la sua formazione letteraria e poetica grazie alla frequentazione a Napoli di un gruppo di giovani scrittori emergenti, perlopiù suoi coetanei. Come ha scritto in varie occasioni sul suo blog “RabatanaAntonio Martino, che fu testimone diretto di molte serate napoletane, Rocco ebbe approcci con Michele Prisco, Domenico Rea e Mario Pomilio. In quel periodo, infine, non mancò di raggiungere più volte a Roma Carlo Levi, che lo mise in contatto con Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Enzo Siciliano.

Ma la tragedia era in agguato e, inattesa e impietosa, si consumò presto. La sera del 15 dicembre 1953, dopo essere rientrato da un giro nei paesi lucani per ragioni di studio, Scotellaro improvvisamente morì. Toccò a Gilberto Marselli, che in quei giorni si trovava a Matera per lavoro, informarne la madre Francesca Armento. Ebbe vicini per la triste incombenza l'amico Antonio Albanese e un cugino di Rocco.
Due giorni dopo, arrivato il feretro che era stato accompagnato da Manlio Rossi-Doria e da Mimma Trucco, si svolsero i funerali nella sua Tricarico. Una folla incredula e sconvolta ascoltò le orazioni funebri dello stesso Rossi-Doria e di Carlo Levi, che  presto confermarono il loro affetto e la loro stima per il giovane amico scomparso con un concreto e significativo atto di amore. Provvidero, infatti, a pubblicare le opere più importanti di Scotellaro, che erano rimaste tutte inedite per la prematura scomparsa dell'autore.
Così nel giugno 1954 vide la luce la raccolta di poesie È fatto giorno, cui sarà assegnato il Premio Viareggio anche grazie all'interessamento di Carlo Levi. Va ricordato, infatti, che il 9 luglio 1954 questi si premurò di scrivere a Leonida Repaci, per segnalargli il libro appena uscito da Mondadori e caldeggiare l'assegnazione del Premio alla memoria dell'autore, scomparso circa sette mesi prima.
A Carlo Levi, dunque, deve essere riconosciuto il grande indiscutibile merito di aver fatto conoscere e imposto all'attenzione del mondo letterario nazionale l'opera poetica scotellariana. Non è azzardato immaginare che, come sostiene Nicola Filazzola, «Fosse dipeso dai lucani, del poeta sindaco di Tricarico e della sua breve e drammatica esistenza, non sarebbe rimasto che un vago ricordo».[vi]

Sempre nel 1954, solo un mese dopo la pubblicazione di È fatto giorno, esce presso Laterza Contadini del Sud, una raccolta di significative testimonianze di vita di contadini meridionali, prefata da Rossi-Doria. L'anno successivo, invece, è pubblicato, sempre per i tipi della storica casa editrice barese, il racconto autobiografico, rimasto incompiuto, L'uva puttanella, con la prefazione di Carlo Levi.
Passeranno poco meno di venti anni e lo scrittore torinese firmerà anche la prefazione di Uno si distrae al bivio, una raccolta di racconti inediti giovanili, in cui si prefigurano i tratti essenziali, che si evidenzieranno nelle opere più importanti dello scrittore e poeta tricaricese. Ma quel che a Levi qui preme di sottolineare è che «A vent'anni dalla sua morte, Rocco Scotellaro rimane intatto, nella memoria e nell'amore di chi l'ha conosciuto; ed è una presenza sempre più viva e importante per i giovani italiani e stranieri che sono cresciuti, senza conoscerlo se non dai suoi scritti, dopo di lui».[vii]

A conclusione di queste rapide note non resta ora che fare una breve considerazione finale. Senza alcuna vena polemica, ma con estrema convinzione. Solo chi ha gli occhi velati da vieti pregiudizi e vive pateticamente chiuso nella ridotta di un antilevismo preconcetto, può ancora accusare l'autore di Cristo si è fermato a Eboli di aver denigrato Aliano e la Lucania. La vicenda di Rocco Scotellaro, che qui si è sinteticamente delineata, costituisce un'ulteriore ed eloquente prova che Carlo Levi molto si prodigò in tutta la sua vita per il riscatto sociale e culturale della Lucania e del Mezzogiorno. Lo fece con coerenza e coraggio tramite la sua varia e mirabile attività di scrittore, di pittore, di intellettuale, di politico.

Angelo Colangelo


[i]       R. Scotellaro, L'uva puttanella, Laterza, Bari, 1986, p. 73, passim
[ii]      C. Levi, Prefazione a Rocco Scotellaro, L'uva puttanella, Laterza Bari, 1955, in Coraggio dei miti, p. 104
[iii]     R. Scotellaro, È fatto giorno, Mondadori, Milano, 1954, p. 79
[iv]    C. Levi, Prefazione a Rocco Scotellaro, È fatto giorno, o. c., p. 10
[v]     G. Marselli, Rocco a Portici, in P. Doria (a cura di), Il prezzo della libertà - lettere da Portici, Giannatelli, Matera, 2015, p. 76
[vi]    N. Filazzola, Per chi canta la cicala, in Il prezzo della libertà lettere da Portici, o. c., 130
[vii]   C. Levi, Prefazione a Rocco Scotellaro, Uno si distrae al bivio, Basilicata editrice, Roma-Matera, 1974, p. V

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