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Il Parco Naturale Regionale del Vulture, il monte un tempo vulcano.

Il Parco Naturale Regionale del Vulture, il monte un tempo vulcano.

In occasione della Giornata Mondiale della Poesia indetta dall'Unesco e della Giornata Internazionale delle Foreste istituita dalle Nazioni Unite, va celebrato il paesaggio del Parco Naturale Regionale del Vulture, il monte un tempo vulcano.

21 Marzo 2023

In occasione della Giornata Mondiale della Poesia indetta dall'Unesco e della Giornata Internazionale delle Foreste istituita dalle Nazioni Unite, va celebrato il paesaggio del Parco Naturale Regionale del Vulture, il monte un tempo vulcano

 Giuseppe De Lorenzo, nativo di Lagonegro, docente di geologia a Napoli, socio della Geological Society di Londra, alla fine dell'Ottocento, indaga a lungo sulla formazione del Vulture e, nel 1901, pubblica i suoi studi su «Atti della Reale Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche» Serie seconda, Vol. X, «Studio Geologico sul Monte Vulture». Riprende anche i primi studi geologici sul monte condotti dall'Abate Domenico Tata, pubblicati nel 1778, e, tra gli altri, quelli successivi del 1806 di Luca De Samuele Cagnazzi.
Quest'ultimo ha ipotizzato che, in tempi remotissimi, al posto dell'attuale pianura dauna ci fosse stato un braccio di mare e che le province di Bari e Otranto fossero state isole a ridosso dell'Albania.
Anche Ferdinando (o Paolino) Tortorella di Matera, docente di scienze nel seminario degli Scolopi di Melfi nei primi anni del XIX secolo, con il saggio «Memoria sullo stato attuale ed antico del Monte Vulture in Basilicata nella sua qualità di vulcano estinto» è dello stesso avviso. Secondo Tortorella i vulcani deflagrerebbero soprattutto “vicino a grandi masse di acqua dolce o salata”. Poi, a seguito degli sconvolgimenti del vulcano, quel mare si sarebbe ritirato verso oriente, lasciando spazio alla pianura della Daunia e alla fossa premurgiana e “il Vulture si spense”.
Accadeva circa 130.000 anni fa con l'ultima grande esplosione che ha profondamente squarciato la struttura del vulcano sul versante circondato dall'Ofanto che guarda l'Irpinia. In quel tempo, la caldera collassava definitivamente all'interno del cono vulcanico e se ne formava una di subsidenza. Dove erano i due crateri emergevano due laghi, quelli di Monticchio. Mentre ciò accadeva, scomparivano gli antichi laghi di Melfi, di Notarchirico, vicino a Venosa, e, molto più lentamente, quello di Atella.
Sulle sponde dei due laghi di Melfi, scrive De Lorenzo, sono stati ritrovati molari di elefanti della specie ormai estinta “Elephas antiquus” e ossa di altri mammiferi. Sono animali che nel Paleolitico inferiore, già 650.000 anni fa, popolavano il territorio alle falde del Vulture, come testimoniano anche i resti fossili di rinoceronti, bisonti ed elefanti, ritrovati presso il grande lago di Venosa e di mammut presso quello di Atella.
In tutta l'area, in quei tempi remoti, mentre il vulcano era in attività, alternata a lunghe pause di quiescenza, vivevano mammiferi adatti al clima freddo dell'epoca e gruppi di cacciatori abili ad abbatterli, come attesta il ritrovamento di ossa umane nel sito paleolitico di Notarchirico.
Poi, quando il clima diviene più caldo e temperato, arrivano animali di taglia più piccola, come i cervidi. I cacciatori dell'epoca, circa 10 mila anni fa, li immortalano con i graffiti nel rifugio di Tuppo dei Sassi, vicino a Filiano. Anche la flora si modifica, gli alberi di grandi dimensioni lasciano il posto ad alberi ed arbusti adatti al clima più dolce. Come i castagni che oggi dominano sui fianchi del monte. 

Sovvengono i versi di Raffaele Nigro che, nella raccolta «Gli dei sono fuggiti», parla di quei boschi: 

Che meraviglia tornare a dormire sotto l'ombra dei castagni,
alla fine dell'Incoronata, in quel bosco ceduo
che mamma aveva ereditato da nonno Alessandro
e da nonna Giovina. Che meraviglia sentire il fruscio di Orazio
in forma di lucertola, il fischio del calabrone, in quel vocalizzo del vento
che faceva da coperta ai miei sogni di narratore.
Mio padre volava sulle chiome degli alberi, potava e falciava ...
 

 La complessa vicenda geologica accaduta nell'area del Vulture non sembra essersi esaurita, l'antico fuoco non è forse ancora del tutto spento, almeno a giudicare dal fatto che entrambi i laghi di Monticchio hanno temperatura più elevata rispetto agli altri laghi d'Italia, dalla ricchezza di acque minerali che risalgono dalle visceri del vulcano, dai terremoti locali, come quelli del 1851 e del 1930.
Tutta quest'affascinate storia è raccontata in modo scenografico ed efficace nel Museo di Storia Naturale del Vulture, dislocato nei piani inferiori dell'abbazia di Monticchio.
L'abbazia, che ingloba una grotta già sede di culti votivi risalenti al IV-III secolo a.c., è stata costruita nel secolo VIII su una parete della caldera del vulcano, a strapiombo sul lago piccolo, da monaci basiliani provenienti dall'Oriente che migravano dall'altra sponda dell'Adriatico per sfuggire al decreto contro il culto delle immagini sacre dell'imperatore bizantino Leone III Isaurico.
L'abbazia diviene ricca ed importante quando i Normanni, devoti a San Michele Arcangelo, ne fanno un santuario a lui intitolato. Con loro arrivano i Benedettini.

Nel museo si può anche leggere la storia biologica di una farfalla rarissima, la bramea, che è un vero fossile ancora vivente solo in un ristretto habitat nell'ambito del Vulture, nella Riserva Naturale delle Grotticelle.
La bramea è un relitto che giunge dal Miocene, un tempo lontanissimo della storia naturale della Terra; allora si stavano formando i continenti nell’attuale posizione geografica ed il clima era caldo. A seguito dell'evoluzione climatica verso il raffreddamento le piante tropicali scomparvero gradualmente dal continente europeo, ma non la bramea che riuscì a resistere ed a replicarsi, scampando all'estinzione.
Altri relitti di tempi lontanissimi che vivono nella caldera e sul duomo del vulcano sono piante e droghe medicinali rare; Gennaro Araneo nella sua opera del 1866 «Notizie storiche della città di Melfi» ne riporta un elenco di oltre 160 specie.

Un retaggio del passato è anche l’etimologia del nome del monte Vulture. Alcuni eruditi hanno indicato l’origine del nome nella radice di una voce etiopica Volt-ur o Vol-can, pronunciato Vult-ur o Vul-can ovvero luogo da ogni parte difeso da fuochi sotterranei, luogo protetto da fuochi ardenti. Appare strano che si risalga ad una radicale etiopica, ma ciò, secondo quanto riporta l’abate Domenico Tata alla fine del ‘700, sarebbe spiegato dal fatto che gli Etiopi orientali, i quali passarono prima nella Libia, e quindi stendendosi in altre parti, giunsero ancora nelle nostre amene Regioni, furono i primi abitatori d’Italia, e spezialmente del Regno, e della Puglia in particolare; e che sotto nome di Tusci, d’Osci, d’Ausoni di Apuli furono compresi. 

La moderna linguistica fa invece derivare il nome Vulture dal latino vultur “avvoltoio”.

Sbocconcellando un panino farcito di capocollo e caciocavallo podolico con mia moglie Anna e il nostro nipotino Riccardo accanto alla Grotta Neviera, vicino all'abbazia, ci piace più la suggestiva ricostruzione etimologica dell'abate Tata.
Riporta ad un luogo circondato dai tanti crateri avventizi eruttanti lava infuocata, come la collina dove è situata Melfi, la prospiciente collina dei Cappuccini, il vicino Toppo sant'Agata, il Toppo S. Paolo sotto la Porta Venosina. 
Una coppia di falchi pellegrini continua a volteggiare sopra di noi, hanno adocchiato una preda. Folate di aria calda salgono dai laghi, aiutano i falchi nel sorvolo del Vulture e sussurrano, ancora una volta, i versi di Orazio: 

Me fabulosae Volture in Apulo
altricis extra limina Pulliae
ludo fatigatumque somno
fronde nova puerum palumbes
texere, mirum quod foret omnibus
quicumque celsae nidum aceruntiae
saltusque bantinos et arvum
pingue tenent humilis forenti,
ut tuto ab atris corpore viperis
dormirem et ursis, ut premerer sacra
lauroque conlataque myrto.... 

...

 Sul Vulture d’Apulia sfuggito
al controllo di Pullia, mia nutrice,
e sommerso dal sonno dopo il gioco,
colombe misteriose mi ricopersero,
fanciullo di fronde novelle
e gli esseri, che in cima all’Acerenza,
nei boschi bantini o nella pianura fertile
della bassa forenza hanno il nido,
si meravigliavano che io dormissi
protetto dalle vipere nere e dagli orsi,
coperto da tassi d’alloro sacro e mirto....

 Francesco Corona


Immagini:
Il Vulture - pubblicata da Il Parco del Vulture 
Basilicata Turistica  Abbazia di Monticchio
Basilicata Turistica Parco del Vulture
Abbazia di Monticchio
Bramea 

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