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	 Amarcord in viaggio. Di Angelo Colangelo, Parco Carlo Levi (2° parte)

Amarcord in viaggio. Di Angelo Colangelo, Parco Carlo Levi (2° parte)

La seconda parte del viaggio nei ricordi di Angelo Colangelo. Persone, fatti e momenti significativi vissuti in trent'anni di vita alianese.

05 Dicembre 2020
Amarcord in viaggio
In un lungo viaggio di ritorno da Stigliano a Parma riaffiorano i ricordi di persone, fatti e momenti significativi vissuti in trent'anni di vita alianese

Di Angelo Colangelo (SECONDA PARTE ) * 

Parlando di iniziative socio-culturali extrascolastiche, alle quali potei dare sin dal primo momento una convinta collaborazione, ricordo anche il sostegno all'attività del Circolo “Nicola Panevino”, che era stato istituito l'anno prima del mio arrivo. L'Associazione porta il nome di un eroico magistrato, nelle cui vene scorreva sangue alianese, essendo il padre Giambattista nato e vissuto nel paese dei calanchi, prima di trasferirsi a Carbone, un piccolo paese della provincia di Potenza.

 Il magistrato Nicola Panevino, che nutriva sentimenti antifascisti, era entrato a fare parte del gruppo di “Giustizia e Libertà” e aveva condotto una strenua lotta contro il regime. Arrestato per una delazione e tradotto nelle carceri prima di Savona e poi di Marassi a Genova, fu fucilato dai tedeschi con altre diciannove persone vicino al cimitero di Cravasco il 23 marzo 1945. Solo due giorni prima, ancora fiducioso che non accadesse l'irreparabile, in prossimità della domenica di Pasqua aveva scritto una struggente lettera alla moglie Elena, alla quale raccomandava di prendersi cura in ogni caso della piccola figlia Gabriella. 

 È bello e consolante constatare che alcune di quelle iniziative, nate oltre quaranta anni fa, hanno resistito all'usura del tempo, come di rado capita dalle nostre parti. Sai bene, infatti, che nei nostri paesi per molte ragioni predominano l'effimero e l'evanescente, soprattutto nell'ambito delle attività sociali e culturali». 

 Nicola interrompe per un momento l'appassionata narrazione paterna. Conferma che sa bene dei suoi sentimenti di affetto e di stima per alcuni colleghi: Felice Calvello e Filomena Castiello, scomparsi purtroppo prematuramente; Teresa Zamparella, con la quale ha condiviso l’esperienza degli studi classici all’Università di Napoli; l’ingegnere Renato Molfese, che egli ha sempre indicato come un signore garbato e simpatico, un vero gentiluomo di stampo antico; il siciliano Liborio Giunta e Leonardo Tucci, amabili compagni di viaggio per molti anni. Alla fine chiede, ironicamente, se per caso ci siano altri ricordi del “primo giorno di scuola” ad Aliano. E, gettata l'esca, si predispone all'ascolto. 

 «Ti parrà strano, - gli spiego - ma del primo giorno di scuola ad Aliano mi è rimasto ben impresso nella memoria un inimmaginabile particolare. È un particolare olfattivo, vale a dire l'afrore proveniente da una vicina mascalcìa, contigua al vecchio palazzo Langone, che allora ospitava la scuola media. Infatti, là, nella strada, Antonio Grimaldi, noto con il soprannome di Tallone, stava ferrando una superba giumenta.

Ma del primo giorno sopravvivono soprattutto frammenti sparsi di altre immagini meno stravaganti ma indimenticabili. Come è ovvio, esse riguardano innanzi tutto gli alunni. Una ventina in tutto, alcuni dei quali venivano dalla frazione di Alianello o dalla campagna. Li ricordo bene tutti, e non solo perché la memoria degli anziani è presbite come la loro vista. Lavorammo bene insieme per due anni, stabilendo un rapporto umano significativo. Alcuni di loro li ho rivisti spesso, altri non mi è capitato più di rivederli, perché andarono presto via da Aliano, emigrando in Germania o in Svizzera per trovare lavoro.

Comprendi bene, dunque, la sorpresa e l'emozione provate proprio qualche giorno fa, quando ho ricevuto inaspettatamente dopo tantissimi anni un cordiale messaggio di saluti da Luigi, un ex alunno di Alianello, che, ancora ragazzo, andò a cercare lavoro in Germania e tuttora vive a Brunswick, una città tedesca della Bassa Sassonia. Mi vengono le vertigini, se penso che è trascorso poco meno di mezzo secolo e nello stesso tempo mi sorprendo a considerare quale sia stato il futuro imprevisto di tanti alunni che la sorte ha portato in giro per l'Italia e per il mondo».

Nicola interviene e dice la sua su quest'ultima considerazione, dichiarandosi assolutamente d'accordo sulla imprevedibilità della vita di ciascuno di noi. Ma non può fare a meno di chiedere quando e come nacquero, invece, le prime relazioni al di fuori dall'ambiente scolastico, che egli immagina essere state tante e per qualche verso anche importanti.

«È vero, - rispondo - i rapporti esterni furono molto importanti e mi aiutarono ad inserirmi nella vita della comunità alianese. Iniziarono subito, già il giorno successivo al mio arrivo, per pura casualità. Nell'ora libera dalle lezioni, la cosiddetta ora-buca, mentre mi crogiolavo al sole davanti alla scuola, mi ritrovai a parlare con un signore, che avevo già notato il giorno prima andare e venire, sempre trafelato. 

Era Minguccio il sarto. Aveva proprio vicino all'ingresso della scuola, la sua bottega, dove al mattino appariva e scompariva, come se fosse tarantolato. Seppi che, prima di prendere in mano ago e filo, lui, Domenico Sarli, divenuto provetto infermiere sotto le armi, girava per le case a fare le iniezioni agli ammalati. Un'assistenza puntuale ed efficiente … che manco nel migliore degli ospedali ...! 

 Minguccio si rivelò subito affabile nella nostra prima chiacchierata avvenuta mentre cuciva sull'uscio della bottega, godendosi anch'egli la bella giornata di sole. A quella prima conversazione ne seguirono molte altre. Anche d'inverno, quando lo vedevo apparire con un inconfondibile colbacco nero calato sulla fronte, che sembrava essere tutt'uno con i grossi occhiali, pur essi neri, da miope, e con un eterno indecifrabile sorriso, che sembrava sfuggirgli di soppiatto dalle labbra socchiuse. Ne fui stregato: era davvero una persona simpaticissima e uno straordinario affabulatore. 

 Da lui appresi tante vecchie storie alianesi. Storie pubbliche e private, comiche e tragiche, di cui era stato testimone diretto o che aveva sentito raccontare. Perché, come è noto, nei piccoli paesi certe storie si tramandano per generazioni e si sedimentano nella memoria collettiva. Magari dopo aver subito, con il trascorrere del tempo, profonde mutazioni, per addizione o per sottrazione di molti elementi talvolta reali, talaltra inventati da chi nel raccontare ama tessere frange colorite. 

 Negli incantevoli racconti di Minguccio affioravano vecchi e duri contrasti familiari, spesso per futili questioni, che finivano per risolversi solo davanti al Pretore di Stigliano, lasciando una scia lunghissima di odii e di rancori, che non si estinguevano neppure con la morte dei protagonisti e continuavano a trasmettersi per saecula saeculorum. 

 “Professo', che brutta fine farebbe la Pretura di Stigliano, se non ci fossero le liti degli alianesi e soprattutto degli abitanti della frazione di Alianello a tenerla in vita. Senti a me, gli avvocati di Stigliano e dei paesi vicini farebbero tutti la fame!”, commentava, sornione, il simpatico sarto. 

 Strepitosi erano poi i suoi racconti di alcuni matrimoni combinati per motivi di interesse da parenti che, avidi della “robba”, usavano gli stratagemmi più impensabili, contando magari sulla connivenza di notai acquiescenti. Per altri matrimoni, invece, il sarto ricordava che si era fatto ricorso alle straordinarie arti di irresistibili fattucchiere, per vincere l'avversione di genitori contrari al fidanzamento di giovani innamorati. Erano matrimoni, questi ultimi, che quasi sempre finivano per procurare agli inguaribili spasimanti poche ore di piccole gioie e un'intera vita di grande infelicità. 

 Io rimanevo incantato ad ascoltare quelle interessanti storie, in cui Minguccio mostrava naturali doti di provetto narratore, che richiamavano alla mia mente malata di letteratura l'arte narrativa dei grandi novellieri toscani del Trecento. Devo anche dire che quelle storie a volte mi sembravano incredibili, ma quasi sempre trovavano un puntuale riscontro nelle testimonianze di altre persone che mi capitava di ascoltare. Anche se non avevano la capacità di affabulazione del sarto. 

 Devo aggiungere, infine, che molte di quelle storie mi appassionavano, perché riguardavano il periodo in cui Carlo Levi si trovava al confino. Esse, perciò, mi aiutavano ad entrare in quel mondo, per certi versi magico e misterioso, che molto mi affascinava e che, trent'anni prima, era stato magistralmente rappresentato nel famoso libro “Cristo si è fermato a Eboli”. 

 Gli incontri con il sarto non si diradarono neppure quando la scuola fu trasferita da “Casa Langone” a “Palazzo Caporale” e poi alla periferia del paese nel prefabbricato, che la comunità italo-svizzera di Kreutzlingen aveva donato ad Aliano dopo il terremoto del 23 novembre 1980. In quegli anni, infatti, fu mio alunno Giuseppe, il figlio di Minguccio. Era, questi, un ragazzo simpaticissimo ma, per così dire, un po' troppo vivace. Quel che è sicuro è che non spasimava affatto per lo studio. Per questo si richiedeva una assidua presenza paterna a scuola e così i miei rapporti con il sarto non solo continuarono, ma finirono per essere ancora più familiari. 

 Gli affascinanti racconti di Minguccio cessarono del tutto, con mio grande rammarico, solo quando si trasferì a Bologna. Sarebbe comunque rimasta blindata per sempre nella mia memoria l'immagine istrionica di lui che si era trasformato, nel pomeriggio di un martedì grasso, in un esilarante pazzariello, che imperversava per le vie di Aliano, apparendo e scomparendo seguito da un corteo di bambini festanti. Di recente ho visto con gioia alcune foto di Minguccio inviatemi dal figlio Giuseppe, che vive a Zurigo. Mi capita, infatti, di ricevere ogni tanto messaggi da parte di ex-alunni rimasti in paese o sparsi per il mondo. Sono quotidiani sussulti che mi sbalzano irresistibilmente in un tempo che non posso dimenticare». 

Fine seconda parte (Leggi la prima)
La terza parte verrà pubblicata martedì 8 dicembre

Vito Angelo Colangelo (Stigliano - MT, 1947) è autore di alcuni saggi di notevole interesse. Dopo "Gente di Gagliano" (1994), un'analisi originale dei personaggi del "Cristo si è fermato a Eboli", nel 2003 pubblica "Un uomo che ci somiglia", sulla vita e sulle opere di Carlo Levi, e "Il Maestro di humanitas", dedicato al grande barnabita e filosofo stiglianese Vincenzo Cilento e ritenuto meritevole di segnalazione alla XXXIII edizione del Premio Letterario Nazionale "Basilicata".

Per la casa editrice Scrittura & Scritture sono uscite: nel 2006 Migrazioni e migranti tra storia, cronaca e letteratura (Premio Carlo Levi fuori concorso); nel 2008 Cronistoria di un confino, sull'esilio di Carlo Levi in Lucania raccontato attraverso i documenti, opera quest'ultima molto apprezzata dalla critica e dalla stampa nazionale; nel 2010 L'avventura di un Premio - Fatti e protagonisti del Premio Letterario Carlo Levi.

Il professore Angelo Colangelo è parte della Giuria del Premio Carlo Levi con Raffaele Nigro presidente, Giuseppe Lupo, Antonio Avenoso, Antonio Colaiacovo presidente del Parco Letterario Carlo Levi, don Pierino Dilenge presidente del Circolo Culturale Panevino, Luigi De Lorenzo sindaco di Aliano.

Immagine di copertina : Palazzo Scelzi ad Aliano in una immagine d'epoca. Nel rispetto della tradizione oggi Palazzo Scelzi è un luogo ospitale e confortevole

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