Un piroscafo colmo di persone si stacca lentamente dalla banchina; il silenzio, quasi irreale, è rotto solo dal gracchiare dei motori e delle ancore salpate; il fischio improvviso della sirena sembra riportare i passeggeri e coloro che sono rimasti sul molo alla realtà: con smarrimento, forse, stanno realizzando che quella nave li sta strappando dal loro paese, alla volta di una terra promessa, che regalerà quel benessere e quella dignità da sempre agognati e perennemente negati. È questa una delle scene iniziali di Nuovomondo, superbo film del 2006 di Emanuele Crialese. Dopo un viaggio, che somiglia molto all’attraversamento dell’ Acheronte dantesco, l’arrivo negli Stati Uniti e lo scontro con la cruda realtà di Ellis Island. La famiglia Mancuso e gli altri sventurati appena sbarcati sono sottoposti a domande continue, controlli fisici coercitivi, test avvilenti che dovrebbero valutarne l’intelligenza, perché, dirà uno degli ispettori: “È stato scientificamente provato che la mancanza di intelligenza è ereditaria e, di conseguenza, contagiosa. Non vogliamo che i nostri cittadini si mescolino con persone meno intelligenti!”
Il sogno di cambiar vita per qualcuno si infrangerà miseramente qui: giudicato non sufficientemente “intelligente”, sarà rimpatriato.
Una storia che somiglia incredibilmente a tantissime altre di ieri, di oggi. Fame, miseria, sfruttamento, il desiderio di una vita migliore, la necessità di garantire un futuro ai propri cari.
C’è un museo nell’incantevole Recanati, che racconta questo: è il Mema, il Museo dell’emigrazione marchigiana. Uno spazio espositivo tradizionale e, al contempo, innovativo. Inaugurato nel 2013 è dedicato ai circa 700 mila marchigiani che, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, dovettero abbandonare la propria terra alla volta di lande straniere e, spesso, inospitali.
Un luogo della memoria, in cui sono raccolti scampoli di vite passate: povere suppellettili, utensili in uso presso una società prevalentemente contadina, foto, lettere. Uno degli angoli di più forte impatto emotivo è dedicato a un treno su cui scorrono immagini: alcuni attori impersonano migranti e ne raccontano la storia fatta di tribolazioni, umiliazioni, fallimenti, qualche volta riscatto. Narrazioni di vicissitudini antiche, ma attuali. Riaffiorano ricordi familiari: diverso luogo, diverso periodo, ma vicende straordinariamente simili. L’ostilità verso il nuovo arrivato, il timore che sia giunto per defraudare, la convinzione che nulla di buono ne potrà venire.
Stereotipi e comportamenti che si ripetono come in un continuo corso e ricorso storico.
Stereotipi e comportamenti figli di una paura dilagante e manovrata ad arte.
Stereotipi e comportamenti contro i quali la cultura da sempre combatte. Una lotta che può essere veicolata attraverso un film, una poesia, una foto, un dipinto oppure può assumere la forma di una canzone heavy post-punk, con tutta la foga, la rabbia e la devastante potenza sonora che gli inglesi Idles infondono nella loro musica. Danny Nedelko è il titolo di un brano del 2018 e anche il nome di un amico dei membri della band. Danny è un musicista, immigrato, di origine ucraina.
My blood brother is an immigrant
A beautiful immigrant
He's made of bones, he's made of blood
He's made of flesh, he's made of love
He's made of you, he's made of me
Unity
Fear leads to panic, panic leads to pain
Pain leads to anger, anger leads to hate
Un testo di una semplicità disarmante, perché i messaggi forti non necessitano di troppi giri di parole. Un senso di fratellanza ben lungi dall’essere un concetto banalmente buonista, fatto di commozione volatile da esibire a Natale e alle feste comandate.
Una solidarietà che è pure il punto focale del primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, di cui si è appena celebrato l’anniversario.
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”
Foto di copertina di Giovanna Musolino
Foto in allegato del Museo dell'emigrazione marchigiana