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Letteratura, viaggio ed escamotage ai tempi del digitale.

20 Maggio 2021
Letteratura, viaggio ed escamotage ai tempi del digitale.
In un mondo rimpicciolito e omologato, in cui macchine e computer ci consentono di solcare immense porzioni di spaziotempo, la letteratura indica un territorio sconosciuto e sconfinato, regioni straniere che coincidono col dominio dell’invisibile

In questi tempi di crisi sanitaria, a causa delle restrizioni della mobilità, ciascuno di noi ha avuto più tempo da dedicare ad attività più intime e solitarie. Per me, è stata l’occasione di rispolverare quei classici che, al ginnasio e al liceo, amai con irripetibile spensieratezza. Ho riletto tanto ultimamente: romanzi e poesie – quei libri che, ricordo, leggevo di nascosto durante le lezioni che trovavo noiose da morire, eludendo la severa vigilanza dei professori – mosso dalla voluttà libresca di ripetere vecchie esperienze e rifare le scoperte letterarie dell’adolescenza.

America di Kafka; Il barone rampante e Le città invisibili di Calvino; Le Fleurs du mal di Baudelaire; Una stagione all’inferno di Rimbaud; i Viaggi di Gulliver; Moby Dick; Le avventure di Gordon Pym di Poe; Borges, Conrad, Proust, Dostoevskij, e così via... Ciascuna di queste letture, sotto punti di vista diversi, mi ha condotto attraverso un viaggio, nel senso più nobile e completo della parola. Viaggio: la vita trasfigurata nello specchio dell’immaginazione dell’autore; viaggio che percepiamo e sentiamo, e, attraverso il potere dell’artista di plasmare la realtà, qui si offre con nuances sottili, descritto con stile deciso; e cose che non sempre, nella vita comune di tutti i giorni, ci risultano chiare riescono così a passare la barriera e prendere forma intelligibile. Ci chiariscono idee che condividiamo con i personaggi e aspetti meno superficiali di noi stessi.

Nella famosa introduzione al Voyage, Céline scrive: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato”. E trovo interessante porre nuovamente la questione del rapporto tra vita e letteratura: per me essa consiste nella possibilità di scoprire sé stessi attraverso il viaggio. Ogni buon romanzo è un mondo da scoprire e il viaggio è metafora universale della vita.

Tuttavia, questo rapporto contiene anche un aspetto problematico, poiché esprime una contraddizione. Se letteratura è un doppio, un escamotage, una fuga dalla realtà, sua rappresentazione fittizia, come può avere per noi tanta forza di illusione, come può stare al servizio della vita? La letteratura allontana e avvicina, maschera e svela, allo stesso tempo. Come decidersi tra queste due tendenze contrapposte? Come risolvere questa frattura? 
 Al di là dei paradossi filosofici, la questione più importante è che la letteratura risponde a un preciso bisogno dell’esistenza umana; poiché l’uomo sente profondamente desiderio di creare qualcosa sopra di sé; non soltanto rincorrere un’esistenza esteriore e materiale, ma anche dare fondo a una dimensione spiccatamente spirituale; compiere cioè quel percorso di superiore creazione e conoscenza, al di là della mera logica della storia e del senso. È una scommessa, è un modo diverso di vivere, uno slancio verso l’impossibile, è l’inizio di un'avventura in una zona straniera, oscura e incerta dell’essere. Ed è proprio all’urgenza di questo bisogno che la letteratura – quantunque valga in generale per l’arte – tenta di dare forma e soluzione.

Così nasce il viaggio letterario; forma di vita che attraversa secoli e nazioni, ed è un capitolo consistente del genio umano.
Letteratura, arte e filosofia, d’altronde, costituiscono aree “geo-psichiche” molto vaste, che hanno la peculiarità di poter essere popolate ed esplorate, nonostante il viaggio sia puramente immobile e mentale. Il viaggiatore percorre un’onda di intensità fissa, solca una via di fuga orizzontale, muove lo spirito lungo un’estremità solitaria. La lettura non è per tutti: vuol dire essere soli in una stanza, in silenzio; mantenere la concentrazione a lungo; affidare le proprie riserve di tempo, seguendo il percorso mentale dello scrittore – quella vita celata dall’altra parte. Non è questo un viaggio del tutto particolare e insolito? È l’incontro par excellence tra due solitudini, frammento di un mondo che curvando lo spaziotempo giunge fino al nostro.

La possibilità di sondare universi distanti, senza muoversi, ci permette di oltrepassare il concetto ordinario di esistenza, superare la noia del quotidiano e trasformarne il senso. Essere trasportati altrove, rapiti in stati estatici – stesi in un letto, seduti alla scrivania, oziando sul sofà – ciò allude a una sorta di nomadismo spirituale, alla scoperta di realtà insospettate; i personaggi e situazioni dei buoni romanzi ci fanno pensare, sognare e andare più in là di quanto ci è concesso nella “vita vera”. E la letteratura, se da un lato è tale escamotage, perché offre via di uscita dall’ordinario; dall’altro ci fa conoscere ciò che è straordinario, dilata i nostri orizzonti interiori. Ci arricchisce intimamente. Produce dentro di noi meraviglia come in uno specchio magico.
In questa sottile soglia di smarrimento tra reale e fantastico, agisce il capolavoro, esso cerca insomma un equilibrio provvisorio. La letteratura, non solo offre una fuga dalla noia mondana, ma è provocazione del nuovo, stupore infantile provato davanti a qualcosa di diverso, lontano e desueto.
E ogni epoca ha prodotto una visione particolare, e ha interpretato a modo proprio il problema del rapporto tra letteratura e vita. (Così ai tempi dei Greci e dei Romani, ai tempi di Dante, fino al romanzo ottocentesco). 

 Soprattutto in questo secolo di crisi etica, dove tutti si sono internamente lasciati andare a riflessioni sul senso delle cose, una questione risulta cruciale: questa nostra totale immersione nella realtà tecnologica forse produce, concomitantemente, un indebolimento dell’immaginazione e della forza creativa e artistica? Il nostro stile di vita è venuto a essere troppo razionalizzato, standardizzato, scontato e freddo per tentare un rapporto con l’invisibile e con una dimensione spirituale? Viviamo un'epoca di aridità, nel deserto dell’anima? Sarà lecito chiedere, qual è il nostro viaggio; dove siamo diretti; quali sono i nostri nuovi orizzonti di scoperta in un tempo così cinico e problematizzato dalla dismisura tecnica tra uomo e macchina. Non abbiamo bisogno di conoscere, immaginare e creare qualcosa d'altro, non solo d’essere consumatori e cittadini? Di che si tratta oggi? Di diventare turisti di un infinito virtuale o essere attori di una simulazione digitale? Funzioni o numeri in questo schema? 

È facile sentirsi lacerati da tendenze opposte: da un lato, mossi nel vortice del progresso tout court, dagli scenari aperti, dalla biotecnologia all’informatica, dai computer all’intelligenza artificiale, ecc.; dall’altro frenati dalla conseguente crisi dei rapporti umani, dalla crescente ipocrisia di un’epoca sempre più controllata dal consenso, marcata dalle logiche di marketing, dallo spettacolo, dai social, dall’intrattenimento h24 e dalla tirannia della pubblicità; momento in cui la letteratura, tra le arti, ne esce impotente, cosciente della crisi, delle ristrettezze e dei suoi limiti d’azione. 
E i giovani saranno le cavie di questo mutamento profondo dell’uomo, dopo secoli di trasformazione. L’Europa, dopo la Seconda guerra mondiale, ha irrimediabilmente perso il suo primato culturale, e si inaugura un tempo dominato dalla macchina e dal digitale.

Eppure, di una cosa possiamo essere certi: nessuna macchina potrebbe mai sostituire l’uomo nel produrre immaginazione, nel gioco dell’arte, nel provare sentimenti estetici davanti alla natura e alla grandezza di un capolavoro. Perché in questo caso, nulla di quanto accade dentro di noi è logico, comprensibile, scontato e automatico – programmabile e riproducibile in un computer. La nostra vita interiore non è programmabile, né si piega ai nostri concetti matematici, può quanto più creare fantocci. Nessuna macchina potrebbe avere coscienza e disporre di una dimensione così imprevedibile, incerta e ignota.

Nel caso della letteratura, pare che oggi tutto taccia, che non sia la letteratura a essere in crisi, ma che, a questo punto, sia possibile solo una letteratura della crisi. Perché la domanda è sempre: come dare un linguaggio, tono e stile originale, alle contraddizioni, alle crisi che ci attraversano, come uomini gettati nel dominio del digitale? Come questa crisi può servire a una creazione, diventare occasione, affermare la vita e ciò che è bello e grande? Non è forse all'arte e alla letteratura che possiamo affidarci per approfondire e sviluppare i drammi di un'epoca così povera e sterile culturalmente? La letteratura potrebbe divenire una terapia, una cura, un mezzo creativo per sollecitare una rinascita, per bandire un nuovo accordo con le forze naturali e promuovere l’esistenza; che non sia necessariamente un’esistenza passiva, schiacciata, sottomessa ai mezzi tecnici; ma, che si serva della tecnica, per prosperare. E forse non è alla scienza che dobbiamo guardare, ma è di arte e letteratura soprattutto che abbiamo bisogno. Perché l’arte è simbolo del mondo, tonificante della vita, consacrazione della terra. 

Dunque, da questa crisi e da questo silenzio ci si aspetta una rifioritura, un nuovo input, qualcosa di profondamente originale.
E in un mondo rimpicciolito e omologato, in cui macchine e computer ci consentono, senza sforzo di solcare immense porzioni di spaziotempo, la letteratura senz’altro indica un territorio sconosciuto e sconfinato, regioni straniere che coincidono col dominio dell’invisibile; quel caos profondo di problemi, sensazioni ed enigmi, esplorabile solo dentro sé, esprimibile solo simbolicamente; e di ciò la letteratura offre abbondanza: una possibilità illimitata di produzione e creazione.

 L’oracolo delfico, col suo monito conosci te stesso, indica la direzione e la soglia da attraversare come creatori e conoscitori di noi stessi. L’artista distrugge e ricrea il suo mondo, in continuazione, così penetra nel suo mistero. Dunque, la letteratura è il mezzo sperimentale di questa filosofia. Potremmo paragonare, a questo proposito, il libro a una nave che ci conduce verso una meta sconosciuta, verso una promessa. Tutto sta nello scoprire le occasioni; e possiamo farlo puntando lo sguardo, non fuori – in questa indrammatica, fredda e indifferente epoca di consumo digitale –, ma dentro di noi, donde possiamo trovare la forza di plasmare idee che rinnovino la vita e riformino la capacità di costruire tempo. E se ciò implica dubbio e fatica, apre quantomeno l'esistenza a una sfida grandiosa e sublime. 

Conchiudo questo ragionamento con uno dei romanzi riletti, Memorie del sottosuolo di Dostoevskij: immaginiamo che la nostra solitudine, da viaggiatori di mondi letterari, sia il sottosuolo: … allora cos’è il viaggio? La volontà dell’uomo di scoprirsi, di viaggiare e costruire entro le proprie profondità, conoscere e creare al contempo: “l’uomo è animale prevalentemente costruttore, condannato a tendere coscientemente a uno scopo e a esercitare l’arte dell’ingegnere, ossia a tracciarsi in eterno e senza posa una via, anche se non si sa dove meni. Ma forse appunto perché è condannato a tracciarsi questa vita gli vien voglia ogni tanto di buttarsi fuoristrada, e magari anche perché, sia stupido l’uomo immediato e d’azione quanto si vuole, gli balena però talvolta per capo che la vita, come risulta quasi sempre meni non si sa dove, e che l’importante poi non è dove meni, ma piuttosto e soltanto che, insomma, proceda, e che il bravo ragazzo non sia portato a spregiare la propria arte d’ingegnere e non s’abbandoni al rovinoso ozio”.

Ciò che importa è il viaggio; e la letteratura offre immense occasioni, in questo secolo in cui ogni prodotto è incasellato, preconfezionato, conformistico. Vale la pena esplorare questa terra sconfinata, condurre questo viaggio, anche se può portarci altrove, lontani; forse non dove ci aspettavamo, altrove rispetto a ciò che ci hanno insegnato vada perseguito nella vita di tutti i giorni; ma che nonostante tutto ci faccia viaggiare, sognare, ci apra la mente, e conduca da qualche parte, dove non si sa – bisogna scoprirlo.
Soprattutto alle nuove generazioni, che vivono in un mondo che mortifica l'immaginazione, riconducendo ogni cosa al pratico e al facile divertimento, togliendo il gusto della fatica, bisogna offrire la possibilità, con l'esempio della letteratura, di ricominciare a sognare e credere ancora nella bellezza.


Immagine di copertina di Valeria Crispino

 Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari


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