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La Musica nella lotta contro l'AIDS

01 Dicembre 2020
La Musica nella lotta contro l'AIDS
La musica, soprattutto negli anni 80 e 90, ha affrontato questo tema sotto molteplici punti di vista

Ora che l’attuale pandemia del Covid19 sta colpendo al cuore l’umanità intera, non è facile dimenticare (nella Giornata Mondiale contro l’AIDS) il flagello su scala mondiale rappresentato da questo Virus - purtroppo ancora letale in molti paesi - per il quale non esiste ancora un vaccino. 

Nell’immaginario collettivo, soprattutto dei “non più giovanissimi”, il solo citare questa malattia continua ad evocare grande timore nonché a richiamare alla mente la morte di tanti personaggi dello spettacolo che, dopo averlo contratto, non sono sopravvissuti. 
Come sempre la musica, soprattutto negli anni 80 e 90, ha affrontato questo tema sotto molteplici punti di vista ed alcuni artisti ne hanno parlato in quanto toccati in prima persona. Fra questi il più celebre è senza dubbio Freddie Mercury che negli ultimi anni della sua vita, quando la malattia stava iniziando a togliergli ogni speranza, scrisse alcuni brani molto malinconici inseriti nello splendido album dei Queen, Innuendo. Nella ballata dolce amara These are the days of our lives il frontman sembra voler ripercorrere la sua vita, la spensieratezza dell’infanzia e della giovinezza (The sun was always shinin’…we just lived for fun), ma subito un senso di inquietudine lo assale (Sometimes it seems like lately I just don’t know…the rest of my life’s been just a show) pur sapendo che l’amore è l’unica cosa per la quale vale la pena aver vissuto e resterà per sempre. Quel disco si chiude con la canzone forse più importante di Mercury, dopo la mitica Bohemian Rhapsody, vale a dire Show must go on. In questo brano, che vale come vero e proprio testamento di un uomo che sta ormai morendo, il senso di solitudine e desolazione è totale in ogni verso, ma soprattutto in “Inside my heart is breaking, my make up may be flaking, but my smile still stays on emerge tutta la sua grandezza di colui che non si lascia piegare totalmente dal dolore.

Un altro artista la cui vita è stata letteralmente distrutta dall’AIDS è George Michael. Il suo terzo album Older è una vera propria elaborazione del lutto per aver perso il suo compagno brasiliano Anselmo Feleppa a cominciare dall’iniziale Jesus to child fino alla chiusura di You Have been loved (alla quale ho dedicato una Rock Story su SOund36) nella quale il cantante racconta, in modo straziante, del suo incontro con la mamma del fidanzato presso la sua tomba. E non si può non citare l’incredibile coincidenza che proprio la performance di Michael al concerto di Wembley dedicato a Freddie Mercury (eseguì in modo perfetto Somebody to love) è strettamente legata proprio all’ormai ineluttabile scomparsa di Feleppa che era presente fra la folla ben sapendo di non avere ancora molto tempo da vivere.

Per il grandissimo Elton John l’essere scampato all’AIDS, nonostante uno stile di vita, a sua detta, altamente rischioso, è sempre stato considerato una fortuna per la quale dover ringraziare, non solo a parole. E se, da una parte, ha quindi dato vita ad una Fondazione benefica di raccolta fondi per la ricerca, a livello musicale anche per lui il riferimento fu il più volte citato leader dei Queen al quale dedicò The last song (il cui testo è del sodale Bernie Taupin), col quale chiudeva l’album The One.

Concludo citando la colonna sonora di Philadelphia, commovente film del 1993 con Tom Hanks eDenzel Washington in cui il protagonista sembrava essere stato licenziato dal suo studio legale in quanto malato di AIDS, salvo poi scoprire che la reale fonte di discriminazione derivava dall’essere gay. Il brano principale del disco, Streets of Philadelphia di Bruce Springsteen, oltre a essere oggettivamente emozionate, ha la particolarità di far vivere e descrivere le devastanti sensazioni della malattia direttamente dal suo personaggio:


I was bruised and battered
I couldn't tell what I felt
I was unrecognizable to myself
Saw my reflection in a window
And didn't know my own face
Oh brother are you gonna leave me wastin' away
On the streets of Philadelphia?


Forse solo il Boss poteva immedesimarsi così profondamente, permettendo anche all’ascoltatore più sensibile di provare una sincera empatia. Resta il potere, forse unico, della (grande) musica.



Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Marco Restelli

 Originario di Latina ormai da cinque anni si è trasferito in Belgio. Collezionista di cd, scrive per diverse riviste musicali online, fra le quali SOund36. Amante dell’arte, dipinge con la tecnica dell’Acquerello, partecipando ad alcune esposizioni locali. Family man a tempo pieno, si dedica alla sua famiglia e ai suoi tre figli.


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