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nel parco PierMaria Rosso di San Secondo

Luigi Russo a Delia

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“Pure il mio legame resta fortissimo e ogni viaggio in Sicilia è un rinnovamento di affetti, di impressioni, di antiche conoscenze e reminiscenze; mi affiato rapidamente con gli umili e con i potenti, poiché considero tutti come le parti di una sola grande famiglia”

Luigi Russo Ritorno in Sicilia, 1959

Luigi Russo non ha avuto il tempo di trascorrere molti anni della sua vita, come avrebbe voluto, nel suo paese natale, Delia, perché l’intensa attività di pensiero, di studio e di lavoro, glielo hanno impedito.
Gli anni più memorabili della sua fanciullezza trascorsa a Delia, luoghi a lui assai cari, furono tra il 1982, anno della sua nascita, e il 1910, anno in cui dovette allontanarsi, prima da Delia e poi da Caltanissetta, dove completò gli studi superiori, per dare inizio a Pisa alla sua vita di giovane universitario.
Nato da una modesta e umile famiglia in una modestissima casa a pianterreno, prestò rivelò le sue particolari doti di bambino vivace ed intelligente. Trovandosi la sua abitazione, ubicata nel centro storico del paese, volente o nolente, il Russo era costretto ad assistere e conoscere tutti gli avvenimenti che in un piccolo paese come Delia accadono e volano. La via Petilia, dove il Russo nacque e dimorò, facendo angolo con Corso Umberto I, rappresentava la piccola piazza del paese. [...]
A quella piazzetta, o meglio a quell’incrocio, sono legati molti ricordi di gioventù del Russo, perché spesso era teatro di avvenimenti politici e sociali tumultuosi e burrascosi. Proprio in quella via Petilia, a pochi metri dalla sua casa, abitava anche Rosina, il primo amore giovanile del Russo. [...]
Nell’aprile 1959, Luigi Russo ritornò per l’ultima volta nella sua Delia. Non poté più ritornarvi perché le condizioni di salute non glielo permisero mai più. Infatti due anni dopo cessava improvvisamente di vivere. Era un pomeriggio primaverile, come era sua abitudine, durante il suo soggiorno a Delia, ci si riuniva in una modesta aula dell’edificio scolastico della scuola elementare per stare un po’ insieme, come spesso si fa con glia amici più cari. Ricordo che l’aula era sempre gremita non solo di intellettuali e non intellettuali del luogo, ma anche di gente comune ed amici dei paesi vicini.
Quando il Prof. Russo si trovava a Delia era una processione di uomini di cultura e di amici. Durante quelle spontanee ed occasionali riunioni, circolavano i più strani ed impensati aneddoti. Amava trovarsi nei Cenacoli. Vedevo il Prof. Russo con la sua consueta carica umoristica rispondere ora a questo ora a quell’altro interlocutore con quel suo vocione e con quella gioviale e aperta risata con la quale travasava la sua allegria un po’ a tutti.
Salvatore Leone

Luigi Russo rimase sentimentalmente molto legato a Delia come ad un mito della sua infanzia, un mito che sempre vagheggiò con profondo amore. La terra dei suoi avi che per tanti versi gli suggerì spunti e atteggiamenti di pensiero nel ricordo di una non facile infanzia trascorsa tra gente che col duro lavoro dei campi traeva i mezzi di sostentamento e che col senso di onestà e di tenacia nel lavoro gli trasmise un profondo attaccamento ai valori dell’uomo per la cui dignità e per il cui riscatto continuò sempre a battersi. Quando tornava a Delia in mezzo alla sua gente per rivedere i luoghi cari della sua infanzia e della sua adolescenza e le persone che aveva conosciuto e quelle che potevano ricordargli gli amici e i suoi conoscenti scomparsi c’era un via vai di amici di famiglia che si recavano a fargli visita per un sentimento di affetto nei sui riguardi e non perché fosse un uomo importante.
L’avere dato i natali ad uno dei più grandi critici della letteratura italiana del Novecento è motivo di vanto per Delia che si sente custode gelosa e orgogliosa delle radici culturali, morali e sociali di Luigi Russo, critico, storico, polemista e maestro di cultura. Delia, piccolo centro dell’entroterra siciliano, cosciente del prestigio che gli deriva dal più illustre dei suoi figli, Luigi Russo, ha sempre ricambiato con affetto e riconoscenza il Maestro dello “storicismo”.
A lui sono state dedicate la scuola media statale, un importante viale nella nuova zona di espansione del paese, la biblioteca comunale, una lapide ed un medaglione in marmo presso la casa natale. Sulle sue opere si sono già svolti due convegni nazionali e nell’occasione della pubblicazione degli atti relativi al primo convegno è stato inaugurato davanti al municipio un suo busto in bronzo.
Angelo Carvello

Lo chiamavano "il terribile". L' uomo era intransigente con sé e con gli altri, il docente e il critico letterario ancora di più. Hanno detto di lui che fosse un flagello superbo dal sapore vagamente biblico, un idealista sovversivo, un autentico Belfagor della critica, un umanista d'assalto, un polemista irresistibile. Certo è che Luigi Russo, siciliano dal temperamento sanguigno, era innanzitutto un amante della schiettezza. [...]
Pare poi che, sceso dalla cattedra, fosse un uomo affettuoso, con una certa dolcezza anche, e soprattutto un autentico siciliano dal «cuore eternamente malato di nostalgia», irrimediabilmente innamorato di quel piccolo paese dell’entroterra in cui era nato sul finire dell’Ottocento e in cui era vissuto prima di frequentare la Normale di Pisa e trasferirsi stabilmente in Toscana, dove morì a Marina di Pietrasanta, Lucca, quasi settantenne nel 1961.
È il Luigi Russo a dimensione familiare, privato e inedito, quello che emerge dalle pagine di "Giorni in Versilia, sognando Delia", scritto dalla nipote Lina Dolce, Una sorta di diario della memoria «da cui pacatamente ho cercato di fare riaffiorare sprazzi di vita, condivisa con il "grande", che non disdegnava talvolta di aprirmi il suo animo per rivelare le sue aspirazioni, le sue nostalgie. Sotto la scorza un po' rude del severo docente universitario c'era lui, il Luigino amato e seguito costantemente dalla moglie Sara, che era l’intelligente consigliera, l’acuta osservatrice, la moglie che non aveva limiti nella sua abnegazione, la paziente compagna, che riusciva a dimenticare se stessa, a restare nell' ombra, sempre pronta a sopperire alle necessità del professore».
La Dolce descrive il critico mentre si aggira alto, solenne, irruento nei meandri della sua villa, "La Padrona". Il nome glielo aveva dato lui stesso perché doveva dominare sul lungomare della Versilia con quei pini possenti dai tronchi un po' inclinati e con quelle piante selvagge e quelle siepi basse che ne scortavano il vialetto. Sulla pensilina che sormontava il cancelletto d'ingresso aveva voluto i "canala", le tegole, perché gli ricordavano i tetti di Delia e precisamente una contrada del paese - la contrada "Canale" - dove un "quartararo" costruiva le anfore di creta e le stendeva al sole davanti casa sua. Delia era il suo argomento di conversazione preferito e persino nel salone della villa aveva sistemato una serie di lampadari e paralumi (fatti costruire con ironia con le pergamene di benemerenze) che egli accendeva freneticamente ogni volta al suo passaggio. Quelle luci lo riportavano indietro nel tempo, quando nei giorni di festa, Delia ornava le sue chiese e le sue strade con le "luminarie". Ma forse Delia era per lui molto di più del paese natio. [...]
Salvatore Falzone


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