Appunti di viaggio seguendo Il ritmo della Thailandia, tra granchi violinisti e nightclub
Dalla vorticosa Bangkok, dove i tuk tuk sfrecciano tra i grattacieli,
al lungomare di Krabi con i cabaret dei “ladyboy”. E poi le isole colorate di
ninfee, come in un quadro di Monet
Di Stanislao de Marsanich per www.lagenziadiviaggi.com
"Era quasi notte, ed il silenzio non tardò a regnare;
ma col giorno, alla vista dei bastimenti dormenti sulle loro ancore in mezzo al
fiume, dei tetti dei palagi e delle pagode che riflettevano i primi raggi del
sole, Bangkok mi apparve più bella che mai”. I racconti del viaggio in Siam del
1858 di Henri Mouhot sono ancora oggi una fonte inesauribile di sensazioni,
immagini, colori, ma anche odori e sapori che seducono all’istante chi atterra
al Suvarnabhumi Airport di Bangkok, un vero e proprio capolavoro di
architettura e design ad opera dell’eclettico architetto tedesco Helmut Jahn.
L'hub più moderno del sud-est asiatico collega con voli Thai Airways la capitale della Thailandia a Roma e Milano.
La “madre delle acque” attraversa la città che, alle abitazioni
lungo i canali della Venezia d’Oriente, “dove non s’ode che il tonfo dei remi,
il canto dei marinai e dei rematori cipai”, alterna modernissimi grattacieli
che si innalzano tra le strade vivaci. Qui sfrecciano i tuk tuk, incuranti del
traffico e dei passeggeri aggrappati a ogni sostegno utile. Se nel 1858 “un
osservatore di questo paese non ha altra scelta che appoggiarsi al suo balcone,
o scivolare mollemente sull’acque sdraiato nel fondo del suo canotto”, il
viaggiatore del 2016 è proiettato in un vortice che riassume secoli di storia e
propone un futuro avveniristico che è tanto, molto di più, del trascinante
ritmo anni ‘80 di una notte combattuta tra scacchi e nightclub (One Night in
Bangkok, Murray Head).
Un salto al Pak Khlong Talat, il coloratissimo mercato dei
fiori, è il modo migliore per rilassare lo spirito prima di sbarcare sul molo
del Wat Arun, il Tempio dell’Aurora la cui guglia Khmer di 81 metri è
circondata, difesa e scalata da innumerevoli figure dell’olimpo buddista, e “i
cui adornamenti di cristallo e porcellana riflettono tutti i colori
dell’iride”. Pochi minuti di traghetto e si è soggiogati dalla sontuosità del
Palazzo Reale: 24 ettari di corti, templi d’oro e regge imponenti da cui “il re
si mostra al suo popolo in gran pompa con un treno numeroso di elefanti coperti
da finissime stoffe ed accompagnati da musicali strumenti. Tra questi trovasi
il bianco elefante per cui i siamesi hanno una grandissima venerazione” (Giulio
Ferrario, 1824).
Dalla Boromabiman Hall che ricorda la Parigi dei primi del
‘900, si passa al padiglione del trono, fino ad arrivare al cono dorato del Wat
Phra Kaew che ospita l’incantevole statua in smeraldo del Buddha. Splendido è
il ciclo di dipinti sul Ramakiem, l’opera che influenza ogni espressione culturale
thailandese, dalla letteratura alla danza, dal teatro alla pittura. Amori,
tradimenti, battaglie e presenze demoniache illustrano l’epopea di Rama e del
suo alleato Hanuma, “il generale delle scimmie figlio del dio del vento”. Non
lontano sorge il Wat Pho, il tempio dove il Buddha sdraiato di 46 metri riposa
nello stato di Nirvana.
Un melting pot di opere architettoniche che svelano il
rapporto di amicizia tra regno del Siam e Italia già dalla fine del XIX secolo.
Non soldati, ma artisti e architetti italiani furono accolti per rinnovare la
capitale di un regno che doveva affrontare velocemente le sfide delle potenze
europee. Una simpatia che continua grazie all’incessante lavoro dell’Ente
Nazionale per il Turismo Thailandese, che alla Terra del Sorriso ha dedicato il
prezioso periodico “Taste of Thailand”.
Il Parco Lumphini è il polmone verde di Bangkok dove
all’alba si riuniscono centinaia di persone che praticano il Tai Chi. Un luogo
magico e tranquillo ben visibile anche dal 61° piano del vicino Banyan Tree
Bangkok, lo splendido albergo il cui Vertigo Roof Top Bar permette di iniziare
la serata nel modo migliore possibile. Dopo un bagno nella piscina panoramica
all’aperto del 20° piano e un massaggio nella esclusiva Spa è imperativo
l’aperitivo nel Cocktail Bar del Bayan Tree frequentato dal jet set
internazionale. Da qui si domina la città, le cui mille luci sostituiscono
lentamente il tramonto rosso fuoco. E intanto si cena con Massaman (curry con
tamarindo, zucchero di palma, cumino e noce moscata) e Tom Yum Goong, la
tradizionale zuppa di gamberi a base di lemon grass.
A un’ora di volo da Bangkok sulla costa di Krabi, alle porte
dello Stretto di Malacca, le due formazioni di calcare che si innalzano
sull’acqua per più di 100 metri sono la soglia di una laguna ricca di vita e di
storie. La foresta di mangrovie, abitata dai granchi violinisti e dai pesci
“saltafango” che camminano tranquillamente fuori dall’acqua come in un disegno
animato, si affaccia sui canali le cui rive ospitano ordinati villaggi di
palafitte dove è possibile mangiare dell’ottimo pesce cucinato dagli abitanti
della piccola enclave musulmana di Ko Klang. La brezza del pomeriggio mi porta
a fumare una sigaretta e bere una tazza di tè nella capanna di un pescatore da
cui si scorge l'Arcipelago delle Andamane. Dietro le rughe che ornano il viso
sereno, vedo una tigre che dalla lontana Mompracen ha deciso di fermarsi qui di
fronte al mitico stretto delle Malacche a godersi un meritato tramonto.
Quattromila persone che vivono pacificamente di turismo, pesca e del riso, le
cui piantagioni si alternano ai piccoli laboratori tessili dell’altra comunità,
quella buddista, con cui con dividono la piccola penisola. Un po’ più appartati
nella giungla, tre ragazzi italiani e un thailandese lavorano con le loro sole
forze a un piccolo progetto di turismo responsabile che intende regalare al
visitatore un soggiorno unico.
La sera il lungomare
di Krabi è un via vai di persone di tutti i continenti che girano tra locali di
musica dal vivo e i meravigliosi cabaret di Ladyboy che conquistano il pubblico
con sfarzose coreografie e allegre canzoni del repertorio classico di ogni drag
queen: da Gloria Gaynor agli Abba. Non lontano, il Dusit Thani Krabi Beach
Resort, è la base privilegiata per raggiungere in poco più di un’ora le
meravigliose Phi Phi Island, nel mare delle Andamane, conosciute per avere
ospitato il set del film “The Beach”. Oltre alle isole più
grandi affollate di giovani europei, australiani, cinesi e americani,
l’arcipelago offre una varietà infinita di calette isolate a ridosso di folti e
verdi palmeti che lambiscono spiagge bianche come talco: un paradiso sia sopra
che sotto l’acqua di smeraldo.
Accarezzati dai rumori di un’oasi tropicale
ricca di ninfee che ricordano Monet e i giardini di Giverny, è difficile
partire senza lasciare una parte di cuore. Ma è solo un arrivederci a questo
Paese che ti ubriaca di natura e di un patrimonio culturale che resta intatto
grazie a un popolo fiero, che accoglie con il sorriso il forestiero ma non gli
soccombe.
Stanislao de Marsanich, Appunti di viaggio in Thailandia
Articolo originale pubblicato su www.lagenziadiviaggi.it del 11 febbraio 2016
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