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I paesaggi di Pier Maria Rosso di San Secondo. Di Maria Grazia Trobia

I paesaggi di Pier Maria Rosso di San Secondo. Di Maria Grazia Trobia

I paesaggi sansecondiani sono momenti di rimembranza dove rivivono tradizioni o spaccati di vita quotidiana trascorsi "sotto il sole di maggio" o "a l’ombra dei mandorli". Paesaggio dell’anima e «profumo georgico» della natura siciliana

22 Marzo 2020
Con il Patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l'Unesco e 

il Patrocinio dell'Accademia Nazionale di San Luca
I Parchi Letterari in collaborazione con la Società Dante Alighieri 
celebrano la
Giornata Mondiale della Poesia indetta dall’Unesco

e la
Giornata Internazionale delle Foreste istituita dalle Nazioni Unite
con il
Parco Letterario Pier Maria Rosso di San Secondo 

Caltanissetta 
di Maria Grazia Trobia*
Vedi il programma generale

Nel 1872 usciva la prima edizione de La nascita della tragedia dallo spirito della musica di Friedrich Nietsche, che introduceva alla riflessione di quelle che, da quel momento in poi, sarebbero diventate due categorie fondamentali in diversi ambiti della cultura: l’apollineo e il dionisiaco. La prima categoria richiama all’equilibrio, alla razionalità e alla serenità di Apollo, la seconda, invece, alla irrazionale e istintiva passionalità di Dioniso. È proprio sull’opposizione continua di tali categorie che, secondo il filosofo tedesco, è possibile leggere ed interpretare la storia come alternanza di apollineo e dionisiaco, in quanto essa è creata dall’uomo, nel quale le due forze agiscono e interagiscono in maniera antitetica. Rosso di San Secondo, come uomo e come scrittore, incarna proprio questo dissidio, dovuto alla sua essenza di uomo del Sud, mosso da un’ardente natura dionisiaca ed irrazionale, e dalla sua inclinazione verso il Nord apollineo, razionale ed equilibrato. Lo sfondo paesaggistico diventa vero e proprio scenario dell’animo ”bizzarro” del Nisseno, creatore di personaggi, figli ed incarnazione della società del tempo. Il paesaggio finisce per assumere, dunque, diversi significati simbolici, a volte attraverso l’impiego di immagini vaghe e confuse che raccolgono luoghi di diverse latitudini (da quelli nebbiosi e umidi, che abbondano di folti boschi e di «piccoli laghi selvaggi»), e a volte attraverso la rappresentazione paesaggistica di luoghi bucolici che descrivono vedute della costa e dell’entroterra siciliani.

Accade così che i paesaggi sansecondiani diventino, come nella novella Musiche, gale e campagne per San Michele (in C’era il diavolo o non c’era il diavolo?, 1929), momenti di rimembranza per far rivivere le feste della tradizione popolare, ricordando che «Sotto il sole di maggio, che sin dal mattino già sferza, per gli stradali bianchi, su e giù per le colline vestite di verde cangiante, traverso le piante mosse dal marezzare del frumento, vengono greggi ed armenti, infioccati ed ingalati in un tintinnio di campanelle e sonagli […]»; o per rievocare spaccati di vita quotidiana trascorsi tra la natura insulare, così come accade nella novella Pane e bellezza (in Luce del nostro cuore1932) in cui viene descritta un’estate siciliana durante la quale «anche le bestie si riposano a l’ombra dei mandorli nella calura. I grilli segano l’aria densa, le stoppie scoppiettano sotto il gran sole, i mucchi di covoni splendono come oro e abbacinano. E quei cari mandorli sono tuttavia freschi e verdi; è un piacere stritolare fra i denti una bacca e ingoiarne il sapore acidulo con la gola arsa… Erano le vacanze del ginnasio».

Ma il paesaggio della rimembranza è in Rosso anche paesaggio dell’anima e il «profumo georgico» della natura siciliana diventa balsamo capace «d’obliar gli anni e la storia del proprio cuore, dei triboli e degli affanni» (Pane e bellezza). Si ha la scoperta, o la ri-scoperta, delle proprie origini e della propria essenza perché «Basta intonarsi a questo clima [siciliano] per scoprire la vera legge della nostra stirpe, per ritrovare le sorgenti vere dell’arte nostra. Profumo di terra e di mare, chiarità di spirito, forza di sole, nudità di pensieri» (Lisa in Luce del nostro cuore). E anche coloro che sono andati via da lungo tempo, si sentono «sempre lava e zolfo, terra di frumento e di aranceto, e anche erba fresca e rose di roveto» (L’isola azzurra, in Luce del nostro cuore). Così l’isola mediterranea diventa, come per Plutone ne Il ratto di Proserpina (1954), «Paradiso perduto per chi l’ha lasciata». Tra le rimembranze e i percorsi dell’anima affiora la rappresentazione di una società rurale, fatta di semplicità e autenticità, nella quale «tra gli ulivi, […] gli uccelli […] cinguettano, i monti […] guardano, le donne […] parlano alle mucche, i muratori […] dan mano alle cassuole e alle pale, e il ragazetto […] persino canta» (Tra gli ulivi in Luce del nostro cuore). Il paesaggio diventa, dunque, testimonianza di una comunità che si muove, tra vicoli e “trazzere”, con carretti siciliani impreziositi dalle storie dei Cavalieri di Francia su di essi affrescate, e che adegua le sue abitudini all’alternarsi delle stagioni: «[…] Ma man mano che l’atmosfera si rincrudì in gelidi aliti, la secchezza dell’aria rese sonore le pietraie sotto il passo del viandante, e questi sentieri, sassosi come letti di torrentelli, divennero strumenti musicali. Tra il fischiar del vento, il gemere dei rami, il turbine frusciante delle foglie secche, una passeggiata fu più saporosa d’una sinfonia a grande orchestra. […] A ondate, a ventare, a rivoli su e giù per la sonorità della pietraia, maschietti e bambine, ragazzucoli e donnine, fanciulli e ragazze, a nugoli tra nugoli di foglie secche, con un trotterellare di scarpette, scarponcini, zoccoli e zoccoletti, e un vocio, u chiama chiama, un pullulìo come se tanta vita scaturisse inesauribilmente da sorgenti sotterranee della montagna!» (L’estate ed i nuovi fanciulli in Luce del nostro cuore).

Ma oltre al «parlottìo d’alcune comari» e al «cupo rumore d’una pala, d’una zappa, d’un altro arnese» mosso dal contadino per «far luogo alla nuova lettiera delle bestie», i paesaggi sansecondiani raffigurano anche la triste e sofferta realtà della vita nelle miniere di zolfo, che nei primi del 900 costituivano una grande risorsa per l’entroterra siciliano. Nel mondo delle miniere gli zolfatari, benché anch’essi abitanti dell’«isola azzurra», non possono nutrirsi «d’aria e luce», poiché, come afferma Michele lo scialatore ne Il ratto di Proserpina, «Già in campo di Zolfara, si è come nel regno di Belzebù, tutto brucia! Di lontano, venendo per le strade, la montagna di sterro cotto: i calcaroni fumano ed empiono il cielo di foschia gialla, l’acqua che scorre non dà nessuna frescura, è anch’essa gialla e sporca, manda un odore nauseante. É proprio l’inferno». È l’altro lato della medaglia, il risvolto di un’isola dai mille profumi e dai mille colori che naturalmente, ma impetuosamente, irrompono tra le mille contraddizioni.


*Maria Grazia Trobia è nata a Caltanissetta, si è laureata in Lingue e letterature straniere all'Università di Catania e ha studiato Germanistica presso la Ruprecht-Karl-Universität di Heidelberg e la Gesamthochschule di Duisburg. Ha conseguito il titolo di Phd. presso la  Ludwig-Maximilias-Universität di Monaco di Baviera occupandosi  della rilettura dell'opera sansecondiana secondo i canoni degli studi postcoloniali. Insegna Lingua e civiltà tedesca presso il Liceo Classico, Linguistico e Coreutico "Ruggero Settimo" di Caltanissetta. 

Tra le sue pubblicazioni: 

Eros e mito. Rosso di San Secondo espressione del Novecento europeo, Sciascia 2018

Oltre Rosso, l'altro San Secondo. Un'interpretazione postcoloniale,  Sciascia 2018


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