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Terra Maistus...fiume e non solo

Terra Maistus...fiume e non solo

Dopo le giornate uggiose di un inverno piovoso, il primo sole favorisce le escursioni e le visite ai monumenti e luoghi identitari del territorio del Parco Letterario Giuseppe Dessì

14 Marzo 2025

 Dopo le giornate uggiose di un inverno piovoso, il primo sole favorisce le escursioni e le visite ai monumenti e luoghi identitari del territorio. 

 Uno dei luoghi è il Rio Terra Maistus (1).  Il fiume, è chiamato Rio San Cosimo nella parte iniziale, in territorio tra Arbus e Gonnosfanadiga, diventa Rio Terra Maistus in agro di Guspini sino alla convergenza con il Rio Piras (2) che viene dal massiccio del Linas dove cambia ancora nome chiamandosi Flumini Bellu (3). Il destino, però è ancora quello di cambiare nome, quando confluisce con il Flumini Malu (4) , in territorio di Pabillonis, dove diventa finalmente Flumini Mannu (5)  per sfociare nello lo stagno di San Giovanni dove si affaccia la città fenicio-punica di Nabui (6). 
Il corso del fiume, come molti altri luoghi dai quali l’uomo ha tratto sussistenza, bagna e feconda una vasta pianura ricca di uliveti, orti, vigne, giardini, campi coltivati. Un fiume dove non è difficile immaginare che l’uomo primitivo da nomade sia diventati stanziale come testimoniano le molte vestigia e la cura del territorio.
 Dai rilievi granitici di Punta Tintillonis (609 m) e Mairu (724 m), nell’arburese, dalle acque di decine di rivoli del massiccio del Linas, degrada, bagnando boschi di lecci e graniti millenari, lambendo il villaggio di Serru, saccheggiato dalle incursioni saracene del 1610.
 Il fiume scorre lì, verso valle tra la chiesa campestre, il nuraghe e la Tomba dei Giganti di san Cosimo del XV secolo a.C., detta anche Sa grutta de santu Giuanni (7) . Il monumento funerario risale al periodo del Bronzo Medio e secondo l’archeologia classica il cerchio di blocchi attorno alla tomba, in granito grigio, molto comuni nel territorio, sono l’abbraccio della Grande Madre venerata dalle popolazioni nuragiche.
 La provinciale n. 67 collega Arbus con Gonnosfanadiga attraversando il fiume. Poco dopo la Tomba dei Giganti, fiancheggiando il versante ovest de su Monti Mannu (8).  Un frantoio prima dell’attraversamento del ponte testimonia la recente attività dell’uomo.

 Seguendo il corso del fiume ci si rende conto della ricchezza che lo stesso ha portato al territorio.

 Le testimonianze di un passato molto antico e dell’attività recente confermano la sua importanza per le genti che nei millenni lo hanno abitato.
 I Nuraghi si susseguono sulle sponde del rio, uniti a resti di un passato romano quasi non identificabili se non da occhio esperto. È il caso del Nuraghe Terra Maistus, del quale si dice fosse molto vicino al letto del fiume e quello Arrosu che sorge su un piccolo colle che domina la pianura del campidano quasi sino a Cagliari.
 È il fiume che nelle sue sponde fa vivere e vegetare e crescere i vitigni che più si sono adattati al clima e alle furie delle acque. Bovale e Monica, soprattutto, tra le uve rosse; il Nuragus e Moscato, Muscadeddu, e alle uve da tavola quali il Galoppu e s’Aremungiau tra quelle bianche e rosate. Uve dolcissime da grandi feste, alcune si coglievano nel cuore dell’estate come su Muscadeddu.
 I preti della parrocchia di san Nicolò ricordano su binu de missa (9)  che veniva offerto ogni anno per le messe da alcune famiglie che proprio qui avevano i loro vigneti.
 La buona zia Letizia lo faceva sempre con gioia. Tagliava l’uva grappolo a grappolo, lo ripuliva dal secco e dagli acini non maturi, lo deponeva in cassette di legno per portarlo, poi a casa dove lo lasciava appassire al punto giusto sino a che non veniva il momento in cui il piede dell’uomo non lo trasformava in mosto, conservato in botti e lasciato maturare. Solo dopo, come una reliquia, veniva offerto al parroco di san Nicolò in Guspini e utilizzato durante la Consacrazione.
 Ma la riva del fiume racconta anche di molti alberi di ciliegie saporite che venivano colte soprattutto per la festa di San Giorgio quando, l'ultima domenica di maggio, la vicina chiesetta si animava per l’arrivo del santo sul suo maestoso cocchio trainato da buoi e accompagnato da numerosi fedeli a piedi o a cavallo. Per i guspinesi che possedevano un pezzo di terreno anche piccolo attorno al fiume era la festa delle ciliegie, il momento del pranzo tra parenti e amici. Festa.
 L’antico ponte sul rio, molto vicino alla chiesetta di san Giorgio, sulla strada che collega Guspini a Gonnosfanadiga è interrotto. Ideato nel 1850 per congiungere le due sponde del fiume sulla strada che da Cagliari, avrebbe portato a Porto Torres, fu fatto costruire da Carlo Felice. Definito a ragione un’opera d’arte dall’Anas che, in questo periodo, vi sta svolgendo lavori di ripristino: “Lavori di risanamento conservativo dell’opera d’arte al Km 41+532 della S.S. 196”. Sì opera d’arte.
 Un grande ponte in granito che ha subito nei decenni molte ristrutturazioni necessarie per la continua erosione delle acque durante le piene invernali. I guspinesi sono affezionati alla porzione di fiume che scorre in parte del loro territorio almeno per due motivi, perché irriga e arricchisce i molti orti, giardini, vigneti, famose le ciliegie e gli altri alberi da frutta, e per la sua pescosità, anguille, trote, tinche e carpe catturate in molti modi anche con nasse sistemate nei piccoli canali naturali o artificiali.
 A ridosso del ponte il Molino Guastini che sfruttava, con una grande ruota a pale, la forza della corrente del fiume. Elemento studiato assieme ad altri presenti in Sardegna da Giuseppe Piras, Dottore di Ricerca all’Università di Cagliari, nel suo “Mulini idraulici in Sardegna. La ricerca cartografica”. Chi lo ha acquistato ultimamente lo ha avuto dalla famiglia Fanni.
 Il toponimo dove sorge il molino pare, fosse, però “Mulino Savio”, con relativo edificio, poco distante dal fiume. Le poche vestigia costituite da blocchi di granito, i canali per deviare l’acqua ne testimoniano la funzione.


 Poco più a valle, a nord-est, qualche decina di metri dalla sponda del fiume un altro nuraghe, quello di Terra 'e Frucca, quello che l’ex XVIII Comunità Montana “Monte Linas” ha acquisito e dato al Comune di Guspini nei primi anni del nuovo secolo. Le condizioni sono quelle di molti nuraghi del territorio, aspettano pazientemente di tornare a mostrare la loro storia. Gli acquitrini che lo circondano, soprattutto in inverno e primavera e la fertilità della pianura che si presenta davanti alla sua torre nuragica sono segno di ricchezza. Sull’altra riva il complesso turistico di sa Rocca con le sue piscine, zona fitness, campi sportivi e un albergo.
 Poco più a valle, dove il rio fa un’ansa, i ruderi delle Terme Romane di Terra 'e Frucca scavata negli anni 1987/88 e 1988/89 dall’Ente Scuola per le Attività Edili della provincia di Cagliari. Come tutte le scoperte, queste non hanno una sola paternità. Nel 1982, racconta un quaderno di scavi, Giovanni Ugas in collaborazione con Tarcisio Agus, il Gruppo Archeologico Neapolis e Claudio Porta di Gonnosfanadiga confermavano sul campo quanto già scritto da Cornelio Pusceddu nel lavoro “romanizzazione" (in AA.VV. Diocesi di Ales, Usellus, Terralba. Aspetti e valori, Cagliari 1975) che segnalava un insediamento romano con necropoli a Terra ‘e Frucca, messa casualmente in luce negli anni trenta. I quaderni riportano anche le dimensioni dello spazio delle terme:

“ una pianta quasi quadrata (m. 5 X 4.92 di larghezza; spessore m. 0.56) … dotata di un’unica vasca. La piscina quadrangolare (m. 2,23 X m. 2,10) accessibile mediante due gradini… la profondità della vasca è di m. 0,72”.

Gli scavi raccontano il territorio, i particolari messi in luce affascinano e, invece di spegnere la sete di conoscenza la alimentano. La struttura pare risalga al II - III secolo d.C.
 L’unico testimone di quel periodo è il Rio Terra Maistus che scorre lento o riottoso a seconda delle stagioni attorno al quale si sono trovate tracce di una grande villa. Anche questa in Comune di Guspini, scavata e rimessa in luce dagli stessi alunni della scuola edile. Si ipotizza che l’ambiente nelle vicinanze delle terme, durante la dominazione romana, potesse essere utilizzato anche come stazione di riposo e di scambio per chi si dirigeva verso lo stabilimento termale “ad Acquae Neapolitanae” non lontane dalla città fenicio-punica di Nabui. Più a valle, lungo il corso del fiume, di fronte alla località detta de is Molinus (10)  è facile individuare i laghetti artificiali che veniva utilizzati per approvvigionare di acqua potabile Guspini. Bacini molto estesi che attendono essere risvegliati dal sonno nel quale sono caduti da quando la gestione dell’acqua è passata dall’amministrazione comunale direttamente al nuovo ente Abbanoa. Possibili utilizzi? Certo. Luogo da valorizzare, neanche a dirlo.
 La zona de is Molinus, prende il nome dalla presenza documentata, ad inizio secolo, di almeno tredici mulini idraulici, è ricca anche di case d’appoggio per i giardini e per l’attività molitoria che vi si svolgeva. L’acqua del fiume veniva incanalata e deviata verso gli opifici più a valle. La sua forza motrice metteva in movimento le grandi ruote a pale che azionavano le macine in pietra che frantumavano le granaglie. All’interno di un unico caseggiato si macinavano tutti i cereali. Non era raro che il mugnaio fosse anche pescatore in quanto sistemava le sue nasse per catturare le anguille lungo i canali che “portavano l’acqua al suo mulino”. Ma, spesso, poiché vivevano vicino al mulino erano anche giardinieri, ortolani e piccoli allevatori. Una zona ricca di storia e di natura.
 Attività molitorie e altre attività che avevano bisogno di molta acqua erano svolte nelle sue rive. Il corso del fiume che è attraversabile in più punti quando non è in piena, mettendo in comunicazione i territori di Gonnosfanadiga, San Gavino, Pabillonis e San Nicolò d’Arcidano, facilitando l’avvicinamento alle numerose aziende agricole e di allevamento molto diffuse verso il Campidano di Oristano.
 Abbandonati i mulini il fiume continua la sua corsa giungendo nei pressi di un frantoio presso su ponti de Tres Buccas (11) che collega le due sponde sulla S.S. 197 San Gavino - Guspini. Il ponte è stato ricostruito più volte a causa delle piene del fiume.

 Le Miniere di Montevecchio sembrano distanti, ma il fiume ha incontrato anche le sue vicende. Una strada ferrata privata a scartamento ridotto (1005 mm), lunga 18,2 Km fu progettata dalla Società delle Miniere di Montevecchio nel 1876, completata e aperta nel 1878. Congiungeva i cantieri di Levante delle miniere a San Gavino. Partiva dalla Stazione Ferroviaria di Sciria con fermate a Nuraci, in territorio di Guspini, dove incrociava la SS.126, per raggiungere la linea ferrata costruita nel 1871 dalla Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde, quella che da Cagliari portava a Terranova (Olbia).
 Il trasporto del minerale verso gli impianti di Porto Marghera e successivamente verso la Fonderia di Piombo e di Zinco di san Gavino nel 1932 era assicurato dal trenino. Ai carri a buoi si sostituì su trenixeddu de Montibecciu (12) . La piccola ferrovia trasportava non solo minerali ma anche merci e macchinari che arrivavano dal resto dell’Italia, oltre gli operai e i passeggeri di Guspini e Montevecchio che viaggiavano gratuitamente.
 Le cronache raccontano che “la linea è stata posta sotto sequestro preventivo” nel dicembre 1932, in pieno regime fascista. Erano gli anni nei quali si perfezionava il passaggio delle miniere dalla famiglia Sanna alla società Montecatini - Monteponi. Pare che la crisi legata al mercato dei minerali e le vicende societarie avessero impedito il pagamento degli stipendi e sotto la spinta dei sindacati fascisti, la ferrovia fu messa sotto sequestro. Con l’apertura della Fonderia di san Gavino la situazione cambia. Il materiale estratto viene trasportato e lavorato a pochi km dal luogo di produzione.
 Nel marzo 1958, dopo 80 anni, fu decretata la chiusura dell’attività ferroviaria.
 Ufficialmente la motivazione era che non si potesse più sostenere il costo di una linea ferroviaria privata. Era diventata antieconomica. Da qual momento il trasporto del minerale inizia a essere fatto su mezzi gommati. Il futuro…
 Il fiume, che in questo punto è chiamato Rio Bellu, è attraversato dalla piccola ferrovia proveniente da Montevecchio in un punto che si chiama Sa Pompa (13). Dove la locomotiva faceva sosta per approvvigionarsi d’acqua e proseguire la sua corsa.
 Il luogo è presente nella memoria di molti guspinesi che al fiume, durante la calura estiva, andavano a fare il bagno. Il ponte che collegava le due sponde è crollato nel 1972 in seguito a un'alluvione e non è mai stato ricostituito. L’opera, con il suo valore storico, architettonico, artistico e antropologico è lì, in balia delle continue piene del fiume a dividere fisicamente un territorio. 

Sandro Renato Garau

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