Deve essere questione di paesaggio interiore. Ci portiamo dentro i nostri paesaggi, li creiamo, li coltiviamo -e li distruggiamo- proprio come facciamo sul piano concreto; ne abitiamo e ne attraversiamo diversi, nei diversi momenti della vita.
The woods are lovely, dark and deep,
But I have promises to keep...
Robert Frost
“Ma che piacevole sorpresa!”, penso tra me e me. Il mio amico Stanislao mi ha appena telefonato, chiedendomi un testo che uscirà - sulla rivista presumo, o forse prima- in occasione della giornata internazionale delle foreste. La quale coincide con la giornata che celebra la poesia, mi dice. Quindi, ha continuato con tono speranzoso, se l’articolo potesse mettere insieme questi due aspetti...
Accetto, con inusuale fiducia delle mie capacità: cosa potrebbe esserci di più facile per me, di più appropriato? Io scrivo, si sa; ho pubblicato, tra gli altri, un libro proprio sugli alberi; e per giunta, un tempo mi reputavo poeta (e, cosa più importante, lo pensavano anche un paio di persone che di queste cose ci capiscono). Quindi perfetto.
Anzi no. Sono giorni che rimando e rifiuto l’ostacolo; anche il solo pensare al tema, a cosa potrei dire, mi paralizza. Ho l’impressione di non riuscire a scrivere seriamente da secoli; il mio libro è uscito ormai quattro anni fa, e da allora nulla, solo qualche articolo, un capitolo o due, alcuni contributi a libri e raccolte, due-tre seminari e conferenze. Il tutto condito da una fastidiosa, crescente impressione di star riscaldando ripetutamente la stessa zuppa, senza riuscire ad andare oltre, verso qualcosa di nuovo.
In quanto alla poesia, beh... è stato in un’altra vita. In quel periodo mi usciva spontanea, come acqua da una fonte; non direi senza sforzo, perché ricordo un lavoro faticosissimo: svuotare la mente, trovare le parole giuste, il ritmo, le cadenze, limare, rifinire... Ma la scintilla, l’idea o meglio il nòcciolo iniziale, bè, con un minimo stimolo arrivavano così, con una facilità e una spontaneità che ora, a posteriori, mi sembrano quasi magia. E quasi a sorpresa. Come un animale selvatico che sbuca all’improvviso dal bosco, e ti si para davanti, mentre cammini su un sentiero, tra gli alberi, pensando a tutto e a niente.
Poesia, bosco... Ecco un primo nesso, un primo passo?
Deve essere questione di paesaggio interiore. Ci portiamo dentro i nostri paesaggi, li creiamo, li coltiviamo -e li distruggiamo- proprio come facciamo sul piano concreto; ne abitiamo e ne attraversiamo diversi, nei diversi momenti della vita. Sono un po’ il simbolo di ciò che sta passando la nostra vita inconscia; e sono anche molto altro. Da essi viene ispirato il nostro sentire, e quindi il nostro agire, e la possibilità di creare - e vice versa. E così ci sono fasi in cui sembra di vivere in mezzo a un inospitale arida sassaia, o peggio, a una megalopoli disumana e inquinatissima. E in altri momenti, con un po’ di fortuna, ci troviamo immersi tra infinite sfumature di verde, bruno e rosso, tra rami e fronde fruscianti e sussurranti, tra gli alberi e gli arbusti, le felci, le foglie secchie - nell’universo che è un bosco.
Questo bosco interiore potrà a volte apparirci ostile, impenetrabile, minaccioso (credo possa capitare a tutti in certe circostanze). Ma se appare come un luogo vivo, certo con anche aspetti misteriosi che possono intimorire, ma pieno di bellezza, un luogo che sopra tutto suscita meraviglia, credo sia allora che - con un minimo, significativo stimolo esteriore che metta le cose in moto - si genera il germe di una poesia. Possiamo chiamarla ispirazione? Mi viene in mente l’immagine di un giovane cervo che emerge dalle ombre del sottobosco e accondiscende a farsi, per un momento, vedere.
Verrebbe da pensare che l’importantissimo, ma ahimè abusato, concetto di biodiversità si possa applicare metaforicamente alla vita interiore, in qualche modo. E così come i boschi e le foreste, quando sono integri, sono tra i luoghi più ricchi di vita del nostro pianeta, sostenendo l’esistenza di innumerevoli creature in un delicato e incomparabile equilibrio, un rigoglioso bosco interiore significa un habitat ideale per una vita psichica ricca e armoniosa, piena di energie e di creatività. L’importante - sul piano reale, così come su quello della interiorità- è che sia una foresta sana, cioè brulicante di vita, in equilibrio, e lasciata libera da eccessive interferenze. E protetta dalla troppa avidità umana. Come riuscirci? Questione complessa, è il lavoro di una vita. Ma considerando quanto la nostra interiorità è in risonanza con ciò che c’è fuori (e vice versa), sicuramente sono utili mosse anche l’avere rispetto per l’ambiente, l’avere cura dei nostri alberi, boschi e foreste, avere una consuetudine, una familiarità, un reale rapporto con questi elementi viventi del nostro ambiente; in altre parole, quello che si chiama in estrema sintesi il contatto con la natura.
Ma non perdiamoci; non dimentichiamo gli alberi, i boschi e le foreste del mondo concreto, la loro bellezza - e la nostra meraviglia, di fronte ad organismi splendidi e perfetti, che vivono essenzialmente di luce e di aria e abbracciano l’esistenza e il tempo in un modo per noi inimmaginabile. Il paesaggio naturale che ci circonda, ci colpisce, suscita ammirazione - e che da sempre ispira artisti e scrittori e poeti - è bellezza, certamente; e meraviglia. La meraviglia, forse questo dovrebbe essere il sentimento centrale in questo rapportarsi. Nella meraviglia è presente l’elemento estetico, certamente, e molto di più: c’è rispetto, ammirazione, un pizzico di timore reverenziale di fronte a l’immenso, il misterioso, lo sconosciuto. E, come testimoniano molti artisti, scrittori e scienziati, a questo senso di meraviglia di fronte alla natura sono indissolubilmente legate l’ispirazione e la creatività che stanno alla radice di ogni opera, come di ogni lavoro scientifico.
Noi, nel paesaggio, ci viviamo - o dovremmo farlo. Siamo eredi inconsapevoli di un patrimonio cognitivo innato che risale a decine di millenni fa, alle prime espressioni della mente dei nostri antenati. La nostra mente si è formata nella osservazione del paesaggio; una osservazione che a lungo ha avuto un significato esistenziale. Oggi, il nostro vivere perlopiù in città, in ambienti sempre più artificiali e distanti dalla natura, oggettivizza una frattura che si aggrava sempre di più, e che oltre a distruggere il pianeta, inaridisce l’uomo: noi di qua, seduti, in ambienti chiusi e ventilati artificialmente, e la natura, eventualmente, là fuori dai finestrini o sugli schermi di un televisore. Oppure - il grado di separazione è lo stesso - noi che facciamo jogging, sì in un parco, ma con gli auricolari, concentrati solo sulla musica, le prestazioni e i chilometri fatti. Uscire da questa gabbia spesso autoinflitta, anche per brevi momenti, esserci di nuovo, essere parte del nostro ambiente, camminare, osservare, accarezzare le piante e gli alberi, sperimentare l’atmosfera di un bosco con tutti e cinque i sensi, significa rendersi disponibili ad accogliere l’energia che sorregge la vita a tutti i livelli.
E poter fruire pienamente dei benefici effetti che alberi e boschi hanno su di noi.
La storia dell’essere umano e del suo millenario rapporto con boschi e foreste ha lasciato nel nostro essere qualcosa di profondamente radicato, di indissolubilmente legato alle fibre della nostra umanità, nel senso più profondo. Il risultato è come la corda tesa di uno strumento musicale, che risuona in armonia quando torniamo nel bosco. È anche per questo che, ora che un reale contatto con la natura si dimostra per noi cosa sempre più rara e difficile - emerge sempre di più quale elemento fondamentale per la nostra salute fisica e psichica.
Come tutti sanno - benché ancora troppo pochi sembrano trarne le dovute conseguenze circa rispetto e protezione - alberi, boschi e foreste sostengono la vita; anche la nostra vita, tra le altre. Creano materia organica essenzialmente da aria e luce (in spagnolo il legno si dice “madera”, non a caso); ci nutrono, direttamente e indirettamente. Riforniscono d’ossigeno l’aria che respiriamo, la purificano dai veleni inquinanti che ci ostiniamo a riversarvi. Portano la pioggia - recenti conferme dalla ricerca, le piogge locali sono strettamente legate alla presenza di boschi in buona salute - e inoltre regolano le precipitazioni. E l’elenco è ancora lungo... Insomma, ne dipende la nostra esistenza, e il nostro bene-essere; sul piano macroscopico, di popolazione, così come sul piano individuale.
Perché l’ambiente che ci circonda - qualsiasi esso sia- ovviamente ci influenza, corpo e mente; e un ambiente in cui la natura - e in particolare il verde- è presente, in grande o in piccolo, esercita su di noi degli effetti concreti, e molto positivi. Il contatto con la natura fa bene; affermazione resa banale da troppe ripetizioni, su mezzi di comunicazione di ogni tipo e livello di serietà o frivolezza possibili, ma che ciò nondimeno enuncia una verità sancita da millenni di esperienza empirica, e oggi comprovata da un rispettabilissimo corredo di studi e ricerche. Avere un rapporto con il “verde” -alberi, giardini, boschi, foreste - incide sul corretto funzionamento del nostro organismo, sullo sviluppo del bambino, ha risvolti concreti per la salute e amplifica i processi di guarigione. Questo avviene attraverso una complessa interazione di meccanismi, ancora in parte da capire, che agiscono in sinergia a vari livelli -biologico, fisiologico, psichico...- con un effetto complessivo amplificato e maggiore della somma delle parti.
Per fare degli esempi che molti avranno sperimentato personalmente: il semplice fatto di inoltrarsi su un piacevole sentiero di foresta, per una passeggiata, induce una quasi immediata pacificazione di tutti quegli indici fisiologici, ormonali, etc, che vengono alterati - in modo spesso pericoloso e stabile- dallo stress quasi costante degli stili di vita moderni. Sul piano psichico, il contatto con alberi e “verde” migliora l’attenzione, la concentrazione, riduce ansia e depressione; rende i processi di pensiero più fluidi ed efficaci. In effetti, si opera una specie di rigenerazione, per cui le funzioni fisiche e mentali, logorate da costanti, eccessive sollecitazioni si ricostituiscono e si riequilibrano. C’è chi ha detto che l’andare per boschi può indurre -quando si è molto fortunati o molto bravi - una specie di “stato contemplativo naturale”, dove un organismo calmo, una attenzione diffusa e un pensiero sul filo del subconscio aprono a una consapevolezza diversa e più profonda della nostra umanità, e del nostro posto dell’universo. Uno stato ideale, per certi versi, per il poeta.
Il bosco è un universo, e così il nostro rapporto con esso; c’è infinitamente di più di quanto questi brevi appunti possano esprimere nello spazio a loro concesso, e con le insufficienti capacità di chi scrive. Ma mi permetto un ultimo parallelo: perché in sintesi, alberi, boschi e foreste ci nutrono, ci fanno respirare, ci aiutano a crescere bene, a guarire dalle nostre ferite, a rimanere sani. Ci aiutano a rimanere umani.
Proprio come la la poesia.
Valentina Ivancich
©VIvancich
Immagine di Maurizio Pini, Castello di Cireglio (Pt) , Parco Letterario Policarpo Petrocchi