Visitare l’Etna d’inverno e i magnifici vitigni della valle dell’Acate, le chiese di Comiso e la biblioteca di Gesualdo Bufalino, sono tappe differenti che tracciano un profilo coerente, come quando si uniscono puntini lontani con un tratto di penna
Viaggiare in carne ed ossa: apparentemente scontato, ma non del tutto nell’epoca dell’immateriale e virtuale, nella quale, inoltre, anche quando occorre spostarsi fisicamente l’opzione preferita è di solito semplicemente quella più veloce. E tuttavia, il ritmo lento tagliato su misura del corpo pare tornato di moda: si moltiplicano i cammini che propongono esperienze da compiere con le proprie gambe, a passo tranquillo, e possibilmente faticando anche un po’.
Sembra che in questo modo la nostra esperienza sia più intensa e completa. Il corpo è vivo, i muscoli lavorano, i sensi recepiscono secondo una scansione appropriata, selezionata da millenni di evoluzione. Non c’è dubbio che questi benefici siano un pezzo dei motivi del ritorno di fiamma di questa modalità di spostamento. In realtà, dato che il lusso contemporaneo è il tempo a disposizione, viaggiare, ad esempio, per un’intera settimana lungo un percorso di qualche decina di chilometri sugli Appennini indica modelli di consumo apparentemente arcaici ma in realtà non alla portata di tutti. Anche la percezione di un certo privilegio, dunque, agisce nella voga di queste opzioni.
E tuttavia. A ben vedere il corpo non basta. È necessaria anche l’attesa, nutrita dell’immaginazione. Dunque aspettativa, curiosità, magari anche un po’ di brivido quando si pensa alla destinazione. Ma soprattutto, le riflessioni più o meno complesse che motivano la scelta: idee più o meno articolate, nozioni a tutti note oppure acquisite grazie ad una guida, immagini intraviste online o pregustate a lungo.
Dunque, se volessi tentare una definizione: viaggiare è un fatto fisico motivato e nutrito dalla mente. A rendere interessante il fenomeno è anche questa speciale completezza, questa fusione di mente e corpo, di fantasia e sensorialità. Ebbene, quanto caratterizza la Sicilia è, io credo, proprio una miscela irripetibile, più unica che rara, che mette assieme armoniosamente entrambi questi ingredienti. Pochi o nessun luogo come la Sicilia godono del singolare privilegio di unire, mescolati insieme, un patrimonio culturale e mentale sconfinato, una concatenazione di effetti psichici – e un’immersione nella carnalità di un territorio non inerte, anzi reattivo.
Proprio “territorio” è parola chiave. È interessante ricordare che la sua onnipresenza contemporanea è nata dalla rivendicazione della provincia francese di contro alla metropoli capitale. Parigi non è la Francia: e i vini contano non per i vitigni, Merlot, Chardonnay o Pinot, che sono ormai diffusi in giro per il mondo, ma perché Borgogna o Loira sono irripetibili. Come sanno gli enologi, ciò va inteso nella concretezza materiale di composizioni di terreni, di altitudini, di versanti di esposizione, etc.
È noto che nel caso italiano questa rivendicazione delle provincia, anzi delle province al plurale, è nel dato stesso, nudo e crudo, della nostra storia e geografia. Anche i vitigni da noi hanno radici autoctone risalenti, che rafforzano il profilo irripetibile dei luoghi e dei paesaggi. La varietà organolettica si sposa a quella linguistica e culturale. Ebbene, la Sicilia certifica questo tratto nazionale in maniera insuperabile. La caratteristiche discordanti dell’isola più grande del Mediterraneo si aprono a squarci di paesaggio sempre nuovi, quasi irriconoscibili. Aromi levantini, pendii innevati, spiagge rocciose, altopiani desolati, sono il substrato ideale sul quale si innalzano i dati che provengono dall’altro grande elemento, quello di una storia millenaria e controversa.
Le memorie di un passato stratificato sono innumerevoli, ricombinate esponenzialmente con le percezioni del territorio. Il viaggiatore in Sicilia ha così a disposizione itinerari culturali che sono anche paesaggistici e naturalistici, e viceversa; esperienze enogastronomiche che si intrecciano con dati antropologici. Certo, non è mai un’esperienza addomesticata. Con un minimo di attenzione e sensibilità, il viaggiatore nota un popolo complesso. Rigorosamente indomabile, perfino vischiosa, l’isola è imperfetta e vitale, per così dire. Come dire che la Sicilia non fa davvero per il turista, ma per il viaggiatore.
Forse non c’è altro luogo in cui il trekking sul vulcano innevato o la storia di un vitigno o la visita a una città barocca o la raffinatezza delle scelte di una biblioteca autoriale, si intreccino senza sforzo. Posso dirlo perché ne ho da poco fatto esperienza. Visitare l’Etna d’inverno, e i magnifici vitigni della valle dell’Acate nutriti di cospicua storia e cultura materiale, e le chiese di Comiso e la biblioteca di Gesualdo Bufalino, sono tappe differenti che tracciano un profilo coerente, come quando unendo puntini lontani con un tratto di penna ci si accorge che vien fuori un disegno nitido.
Voglio concludere con le ultime cose citate: Chiese e Biblioteca – anch’essa un luogo di culto: dell’umanesimo, del sogno della letteratura. Non mi sfugge che ci sono molte cose differenti, nel subcontinente isolano; né posso escludere che la mia percezione sia in parte derivata dallo sguardo estraneo, che ingigantisce e abbellisce. Però ecco, a me pare che in Sicilia ci sia ancora, come dire, una frequentazione vera di quei luoghi. Non solamente una presenza antiquaria o residuale, come dappertutto altrove: ma ancora una (doppia) fede.
Antonio Allegra
Immagini
Visita del Professore Allegra a Comiso, Parco Letterario Gesualdo Bufalino