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 La poesia virgiliana delle foreste

La poesia virgiliana delle foreste

Nella poesia di Virgilio foreste, selve e boschi sono presenti, con caratteri specifici e funzioni di volta in volta diverse. Di Mauro Lasagna

18 Marzo 2021

Noi moderni, influenzati dalla sensibilità romantica, tendiamo a sentire la natura come fonte di ispirazione artistica in dimensione sentimentale, soggettiva. Per l’uomo antico, e romano soprattutto, la natura, le foreste, il mondo non umano, suscitano reazioni diverse, che vanno dallo sgomento al desiderio di dominare gli elementi naturali, quando ciò possa tornare di vantaggio.

La poesia di Virgilio va interpretata in tale contesto culturale e antropologico: foreste, selve e boschi sono presenti, con caratteri specifici e funzioni di volta in volta diverse. Vi troviamo sconfinate foreste, selvagge e inaccessibili come quelle sulla remota catena del Caucaso, esposte alla libera furia degli elementi: le sterili foreste sulle cime del Caucaso, / che i venti baldanzosi continuamente schiantano e spazzano via (Georgiche, 2, 440 s.).

Più spesso le selve fanno da sfondo alle imprese umane, ma non è mai uno sfondo immobile, indistinto. Talvolta la foresta è un intrico fitto di alberi e cespugli che oscurano i passaggi: vasta era e irta di macchie e di neri lecci la foresta / e in ogni dove era gremita di fitti roveti / e solo a tratti appariva fra occulti passaggi un sentiero (Eneide, 9, 381-383), e che disorientano i due giovani guerrieri troiani Eurialo e Niso.

Altrove, in un selvaggio scenario di rocce scoscese a picco sul mare, una boscaglia fitta e oscura le sovrasta, mossa dai venti: lassù, uno scenario di tremule selve / e una fosca boscaglia che incombe con brividi d’ombra (Eneide, 1, 164 s.), ma proprio quest’ombra proiettata dalla foresta sul mare sottostante garantisce alle navi troiane un approdo sicuro perché protetto da sguardi ostili.

Il senso di smarrimento, di inquietudine che pervade l’uomo di ogni tempo che si trovi immerso in un mondo misterioso e non dominabile con la sua conoscenza razionale, nella poesia virgiliana è ciò che ispirano le foreste incontaminate.
La cima del colle capitolino, nei tempi più remoti, ancora coperto da una vegetazione inesplorata e minacciosa, fa avvertire agli antichi abitanti di quei luoghi la presenza di un dio, forse Giove: La foresta e il colle che vedi - spiega Evandro ad Enea - con la vetta coperta di boscaglia: / lì vi abita un dio (chi sarà? non si sa); chi vive qui attorno / crede di avervi visto Giove stesso agitare / il suo nero scudo e scatenare tempeste (Eneide, 8, 351-354).

Tuttavia, larga parte della poesia virgiliana ci presenta foreste e boschi nei loro tratti più ameni e vivaci. È la natura stessa che li alimenta, anche senza l’intervento umano: questi modi di crescere sono stati forniti dalla natura: / per essi verdeggia ogni foresta, arbusti e i boschi sacri (Georgiche, 2, 20-21).

Uno dei tratti peculiari della poesia virgiliana è la voce dei boschi, che animano il paesaggio, quando, all’arrivo di venti impetuosi, si ode il secco schiantarsi delle foreste sulle cime dei monti / … e si infittisce progressivamente il mormorio dei boschi (Georgiche, 1, 357-359); non sorprende, allora, che per il poeta anche le selve investite dalla violenza del vento si lamentino (Georgiche, 1, 334), come creature vive quali sono.

Un esempio, tra i molti, della umanizzazione della natura, che dà un tono tanto caratteristico alla poesia virgiliana. Così il poeta promette all’amico Varo che tutto il bosco ti canterà (Bucoliche, 6, 11) accompagnando il suo stesso canto; il monte Menalo in Arcadia porta un bosco chiacchierino e pini che sempre parlano (Bucoliche, 8, 22) mossi dal vento.
E del resto, fare poesia – è Virgilio stesso che lo dice – è percorrere i boschi delle Driadi e le balze / intatte (Georgiche, 3, 40-41). Infatti le foreste in Virgilio sanno riprodurre le voci umane: e la mia voce si raddoppia all’eco mugghiante delle foreste (Georgiche, 3, 45), e tutto il bosco risuona al loro coro e i colli riecheggiano (Eneide, 8, 305) facendo eco al canto dei Salii.

Ma forse è ancor più col silenzio che foreste, boschi, l’intera vegetazione spontanea – immagina Virgilio – accompagnano la presenza umana, in un momento eccezionale della preistoria di Roma. Enea con i suoi guerrieri si dirige a Pallanteo per chiedere l’alleanza al re Evandro, risalendo con due biremi il Tevere, dove mai, prima d’allora, avevano navigato delle imbarcazioni: le onde guardano con sorpresa, / la foresta, non abituata, guarda ammirata il brillio /degli scudi… le due navi procedono sotto una volta di alberi / diversi e solcano, sulla piana superficie, le verdi selve (Eneide, 8, 91-96). Ci è lecito pensare che in Virgilio abbia operato il ricordo delle sponde dei fiumi padani, ancora coperte da fitta vegetazione. Immaginazione della lontana preistoria di Roma e ricordi dei paesaggi della fanciullezza si integrano in un mirabile “largo” musicale che ci fa sentire il brivido di sorpresa delle selve davanti a cosa nuova, lungo l’antichissimo corso del Tevere. La magia della poesia virgiliana ci fa vedere le due navi che solcano un paesaggio incantato nel quale una foresta primordiale le avvolge interamente da tutte le direzioni.

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