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La casa di Carlo Levi nel Parco Letterario di Aliano. Di Lodovico Alessandri

La casa di Carlo Levi nel Parco Letterario di Aliano. Di Lodovico Alessandri

“La casa era modesta, costruita in modo economico, e non bella, perché non aveva carattere, non era né signorile né contadina...l’alloggio era quasi vuoto....". Cristo si è fermato a Eboli

22 Marzo 2020

LA CASA di CARLO LEVI

di Lodovico Alessandri*

 La ragione profonda della necessità di salvare e valorizzare il centro storico di Aliano è strettamente legata alla notorietà che deriva al piccolo paese materano dal Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, lo scrittore e pittore torinese confinato e poi sepolto nel piccolo cimitero di Aliano.

Il libro, tradotto in 35 lingue, e successivamente portato su pellicola da Francesco Rosi dopo la sua morte, ha fatto il giro del mondo, suscitando l’attenzione e la curiosità di numerosi studiosi, giornalisti e turisti che accorrono a migliaia ad Aliano, per rendersi conto di persona di quanto il Levi ha denunciato, descritto e testimoniato  nella sua opera.

Aliano è pertanto mèta continua di visitatori che provengono da tutte le parti di Europa ed anche da altri continenti.

Esso è diventato il simbolo di tante altre Aliano sparse per il mondo. L’Amministrazione comunale ha dunque sentito il dovere morale di occuparsi della salvaguardia e del recupero della casa di confino di Levi congiuntamente con quella porzione di centro storico narrato, descritto ed analizzato dall’autore con attenzione meticolosa ed intelligente.

Molti turisti, studiosi, o semplici curiosi si spingono fino ad Aliano animati dall’interesse di riscoprire i luoghi, le espressioni, i profumi descritti dall’Autore; tuttavia, tale afflusso di visitatori ha messo in evidenza una certa carenza delle infrastrutture necessarie a soddisfare le richieste di coloro che si spingono nel cuore dei calanchi di Aliano per assaporare ed approfondire quanto di magico hanno immaginato, letto e meditato.

Ma tra gli innumerevoli adempimenti tecnici e burocratici oggi necessari, come individuare le linee guida per il recupero della casa di un artista? Come intervenire con discrezione sui luoghi da costui vissuti ed abitati senza correre il rischio di snaturarli, contorcerli, modificarli con interventi fuori luogo e che nulla possono aggiungere alla memoria dell’uomo e dei suoi personaggi se non il rischio di offendere, cancellare, trasformare quanto da lui osservato, studiato e commentato?

Ecco allora l’intervento e l’affascinante potenza culturale de “I Parchi Letterari®” che tanto hanno potuto attivarsi nella riscoperta e nella salvaguardia dei luoghi che furono fonte suggestiva di ispirazione letteraria.

Il tema relativo al recupero della casa dove abitò Carlo Levi durante il suo periodo di confino ad Aliano è stato al tempo affascinante e coinvolgente. Affascina il percorrere le sue camere, il suo amato studio, i pavimenti sui quali si rotolava Barone e sui quali posavano i bambini per i suoi ritratti ad olio; affascina il caminetto sul quale Giulia preparava le ricette lucane descritte nel libro; affascina il percorrere lentamente le scalette con corrimano in ferro che portano alla terrazza, luogo che Egli più amava poiché permetteva di spaziare verso un orizzonte a lui precluso ed immaginare la libertà.

Si è voluto pertanto con il progetto di rivisitazione, impostare un nuovo modo di affrontare un intervento di restauro, una sorta di idea-pilota che possa trovare riscontro anche in altre realtà nazionali letterarie.

Si è dunque giunti alla convinzione che nessun tipo di intervento strutturale avrebbe potuto essere affrontato nella casa se non quello suggeritoci dal Levi stesso.

Mi sono dunque semplicemente lasciato guidare dalle emozioni della lettura, dalle sensazioni provate e dalla magìa che traspira dai suoi scritti e dalle sue cronache, dai colori dei suoi quadri, dalle espressioni dei suoi ritratti. Così...magicamente  il progetto di rivisitazione della casa di Levi è nato dal suo libro; è dai suoi scritti che ha preso vita poco a poco una casa vuota e disabitata così come  appariva ieri, inospitale, quasi ostile; ed è stato lo stesso Levi a condurmi per mano ed a  fornirmi le istruzioni, i consigli ed i suggerimenti sul modo più cònsono e più giusto per riaprire la sua casa ai nuovi ospiti, renderla di nuovo visitabile, accogliente, viva.

“La casa era modesta, costruita in modo economico, e non bella, perché non aveva carattere, non era né signorile né contadina...l’alloggio era quasi vuoto...."

E’ dunque da questa descrizione che è stato intrapreso l’itinerario di progettazione ed è con la stessa curiosità e forse con la stessa emozione che aveva provato il Levi nell’accedere alla nuova residenza che è stata portata avanti l’opera di riscoperta e valorizzazione della sua casa di confino.

Salendo lungo scala in pietra che dall’orto conduceva allo studio dell’Autore, poco prima di entrare sulla destra in casa, si trova un piccolo locale imbiancato a calce. La porta di tale locale si trova in posizione simmetrica e baricentrica rispetto all’arrivo della scala esterna, e la sua visione prospettica sembra quasi voglia invitare ad entrare.

Si tratta della Latrina.

 Questo luogo, così apparentemente insignificante ed indecoroso, è stato valorizzato al massimo per la testimonianza che esso rappresenta: "C’era un gabinetto, senz’acqua naturalmente, ma un vero gabinetto, col sedile di porcellana. Era il solo esistente a Gagliano, e probabilmente non se ne sarebbe trovato un altro a più di cento chilometri tutt’attorno...Nelle case dei poveri, naturalmente, non c’é nulla. Questo fatto dà luogo a delle curiose costumanze. A Grassano, in certe ore quasi fisse, il mattino presto e verso sera, si aprivano furtivamente le finestrelle delle case, e dallo spiraglio apparivano le mani rugose delle vecchie, che lasciavano piovere, in mezzo alla strada, il contenuto dei vasi".

Vi è un passo bellissimo nel libro Cristo si è fermato a Eboli nel quale le tre funzioni relative all’ingresso della casa, al tavolo della cucina ed alla camera da letto sono compendiate da una sorta di leggenda magica e misteriosa che avvolge con atmosfera delicata i luoghi della sua residenza: “Giulia aveva...l’abitudine gaglianese di buttare le spazzature attraverso la porta, in mezzo alla strada. 

Ma quella sera mi avvidi che la donna radunava quei rifiuti in un mucchietto, e lo lasciava in casa, vicino all’uscio. Le chiesi perché li conservasse....

- E’ già calata la sera,- mi rispose Giulia,- non posso buttarli. L’angelo, non si sa mai, si sdegnerebbe....

Al crepuscolo, in ogni casa, scendono dal cielo tre angioli. Uno si mette sulla porta, uno viene alla tavola, e il terzo a capo del letto. Guardano la casa e la difendono. Né i lupi né gli spiriti cattivi ci possono entrare, per tutta la notte.

Tra le molte citazioni di divertente e saporito umorismo, quella che descrive con maggiore tenerezza le notti infinite trascorse all’interno delle quattro mura malmesse della casa, ha per protagonista il cane di levi, Barone:

Lo studio e la terrazza avevano un pavimento a scacchi colorati, come in certe sagrestie di campagna: non ho mai amato queste geometrie, su cui l’occhio si posa continuamente e che mi sono fastidiose quando dipingo. Le piastrelle di poco prezzo stingevano, quando erano bagnate, e Barone (il cane), che amava rotolarsi per terra follemente, diventava allora, di bianco che era, un cane rosa.”

L’ingresso alla casa avveniva direttamente attraverso la cucina corredata di un semplice caminetto.

Le funzioni di questo luogo rievocano sensazioni ed emozioni che scaturiscono dalla naturalezza dei gesti descritti dal Levi e dalla monotona ripetitività delle azioni quotidiane che seguivano i tempi infiniti delle stagioni:

 “Giulia entrò nella mia casa volentieri...ne conosceva tutti i segreti, il camino che tirava male, la finestra che non chiudeva, i chiodi piantati nei muri...non c’era stufa: il mangiare doveva essere cotto al fuoco del camino...ma Giulia sapeva dove trovare la legna....faceva il fuoco alla maniera paesana, che si adopera poca legna, con i ceppi accesi da un capo, e avvicinati a mano a mano che si consumano...

Il tempo si fece freddo. Dal fondo dei burroni il vento saliva con i suoi vortici gelidi, soffiava continuo, come venisse da tutte le parti, penetrava nelle ossa, e si perdeva, ruggendo, nelle gole dei camini...

La violenza del vento contrario ricacciava il fumo del camino nelle camere: il fumo acre e odoroso dei ceppi di ginepro e di brugo, delle some che una contadina mi portava, sul suo asino, dal bosco...

Ero solo, nella mia cucina, davanti a un fuoco che sfriggeva e soffiava e cigolava, mentre fuori urlava la tempesta di vento e di neve...

La notte scendeva ormai prestissimo; le serate, accanto al fuoco che strideva e sfriggeva e soffiava e fumava, erano lunghe e tristi, mentre Barone tendeva l’orecchio agli urli del vento e al richiamo lontano dei lupi.

Il camino dunque, aveva rappresentato il polo di riferimento di tutta la sua casa, il luogo dove cucinare e consumare i pasti, il luogo dove riscaldarsi, dove meditare e riposare.

Ciò che desta oggi particolare interesse, è la descrizione puntuale di tradizioni gastronomiche improvvisate sul quel camino fumoso e fatiscente:

Su quel fuoco cuoceva, con le scarse risorse del paese, dei piatti saporiti. Le teste della capre le preparava  a reganate, in una pentola di coccio, con le braci sotto e sopra il coperchio, dopo aver intriso il cervello con un uovo e delle erbe profumate. Delle budella faceva i gnemurielli, arrotolandole come gomitoli di filo attorno a un pezzo di fegato o di grasso e a una foglia d’alloro, e mettendole ad abbrustolire sulla fiamma, infilate a uno spiedo: l’odore di carne bruciata e il fumo grigio si spandevano per la casa e per la via, annunciatori di una barbara delizia. Nella cucina più misteriosa dei filtri, Giulia era maestra: le ragazze ricorrevano a lei per consiglio per preparare i loro intrugli amorosi. Conosceva le erbe e il potere degli oggetti magici. Sapeva curare le malattie con gli incantesimi, e perfino poteva far morire chi volesse, con la sola virtù di terribili formule.”

Ed ancora: “Era il pane nero di qui, fatto di grano duro, in grandi forme di tre o cinque chili, che durano una settimana.”

La fantasia, l’immaginazione, l’emozione che nascono dalla rinascita del luogo, il breve ed intenso soggiorno nella casa di Carlo Levi, lasciano al visitatore un ricordo caldo e profondo come ciò che ricordò lo stesso Levi nelle ultime righe del suo capolavoro “E pensai con affettuosa angoscia a quel tempo immobile, e a quella nera civiltà che avevo abbandonato.”  

Lodovico Alessandri
http://www.lodovicoalessandri.it/


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