Durante la Pandemia ho provato un sentimento che sinora mi era sconosciuto: la nostalgia di casa.
Potrebbe sembrare un fatto normale, ma il contagio di questo stato generale mi ha sorpreso visto che ho passato gran parte della mia vita vivendo tra tre continenti e il dovermi adattare a nuovi ambienti, lingue e persone non mi è mai pesato, anzi è stato parte del mio divertimento e ha esaudito il mio desiderio di avventura. Ero insoddisfatta della noiosa ma tranquilla vita della provincia contadina del Midwest, dove ero nata, e ancora oggi sono sospettosa di qualsiasi cosa o chiunque mi ricordi quella rassicurante routine.
Ora per favore non fraintendetemi, non voglio rinnegare l’importanza delle origini anzi è meraviglioso quel caldo e profondo senso di appartenenza, che ci fa superare a volte i propri difetti e le personali paure e talvolta ci aiuta a ritrovare il nostro equilibrio interiore rotto dalle difficoltà di relazionare con il mondo esterno.
Come disse eloquentemente lo scrittore israeliano Eshkol Nevo: “Casa è un posto in cui puoi tornare se vuoi. E non c’è bisogno di avere più di un posto del genere”.
Ecco è proprio quel “se vuoi” che la Pandemia ci ha negato. Ah, bei tempi (oh cielo, ho cominciato da un giorno all'altro a parlare come una donna piena di ricordi) quando la scelta personale, la possibilità di socializzare e la libertà di movimento erano diritti naturali e sanciti dall’Articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948. La lotta a Covid-19 non rispetta la libera scelta dell’individuo.
E in nome di questa lotta sembra che invece di continuare a sostenere quel “documento universale” ne stiamo scrivendo lentamente la sua elegia!
Ma forse questo potrebbe essere il tema di un altro articolo. Quel che resta è che dopo oltre un anno di Covid-19 pieno di blocchi e restrizioni, mascherine e distanziamento, di confezioni di disinfettante viscido e appiccicoso ad ogni ingresso quasi fossimo diventati tutti fobici per l’igiene, il mondo che conoscevamo prima è un lontano ricordo, una isola che non c'è, la terra del latte e del miele, un'utopia.
Non c'è da meravigliarsi quindi che un'insaziabile nostalgia di casa si sia insinuata nella mia anima per offrirmi il necessario conforto.
Il problema con la Pandemia non era la solitudine in sé, che forse a volta è pure necessaria, ma il fatto che non fosse più una scelta libera.
Improvvisamente, ero un leone in gabbia dentro il mio appartamento a Roma.
Unica interazione la compagnia di un giovane gatto nero che si era rifugiato in giardino. La sua espressione sembrava chiedere che cosa sta succedendo? Dove sono andate tutte le persone?
Sembrava che parlassi con Behemoth, il gatto nero demoniaco in Il maestro e Margherita di Mikhail Bulgakov. Nei miei sogni agitati si trasformava nell’enorme mostro di nome Behemoth nel Libro di Giobbe 40: 10-19 del Tanakh, la Bibbia ebraica.
Come non desiderare in quelle notti silenziose di tornare a casa, indietro nel tempo con il calore e la protezione dei miei genitori di nuovo bambina saltare nel loro letto e sentirmi al sicuro.
“La vita è come guidare una macchina con il finestrino anteriore opaco. Tutto quello che hai per andare avanti sono gli specchietti retrovisori", ha scritto Amos Oz.
Ma anche amici e parenti che sentivo condividevano la stessa nostalgia di casa. Immagino che sia un sentimento naturale e ci offre un rifugio confortevole di fronte a una schiacciante incertezza.
La ricerca mostra che la nostalgia è in realtà "un'utopia retrospettiva, un desiderio e una speranza per un mondo sicuro, una società giusta, amicizie vere, solidarietà reciproca e benessere"; secondo lo storico e critico sociale americano Christopher Lasch. “In quanto tale” - prosegue - “richiamare il passato è meno uno sforzo soggettivo, arbitrario, ideologico, quanto un desiderio indeterminato, indefinito, amorfo di trascendere il presente". In poche parole, indulgere nella nostalgia è un meccanismo di coping che ci consente di misurare il passato, confrontarci con il presente e definire il futuro.
In letteratura, Omero nell'Odissea racconta le avventure di Ulisse e di come la nostalgia della sua Itaca gli dia la forza per superare le mille peripezie del suo viaggio di ritorno da Troia. Quella nostalgia gli ricorda continuamente di lottare perché ciò che ha conosciuto nel passato può essere ritrovato se lo vuole. E forse ricorda anche a noi che abbiamo questo potere "se vogliamo".
E come non ricordare la nostalgia che pervade le opere di Proust, in particolare nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto. Per Proust la nostalgia è sinonimo di Vita: aperta all'avvenire ma capace di non abbandonare le emozioni del passato, pronta ad apparire attraverso le porte della memoria.
La nostalgia sembra un’altalena che oscillando all'indietro rievoca piacevolmente persone, luoghi, profumi e sensazioni del passato ma oscillando in avanti li ripropone con lo stesso piacere per il futuro.
E la nostalgia che ci ha aiutato durante la Pandemia riportando alla nostra mente momenti piacevoli del passato, ora che i vaccini stanno sconfiggendo il virus (speriamo) sarà lei stessa a spingerci di nuovo verso viaggi e avventure e la conoscenza di nuove culture.
Per continuare a citare Amos Oz: “Tutte le nostre lingue e culture sono costanti taccheggiatori di altre lingue e culture".
E’ come se ritornassimo a navigare di nuovo come ai tempi del filosofo ebreo Mosè Maimonide, in un Mediterraneo medioevale che plasma e facilita lo scambio di idee filosofiche e religiose fra ebrei, cristiani e musulmani.
E quel mare per noi ora è il mondo intero e possiamo tornare a incontrare persone e respirare culture diverse e viaggiare in luoghi che non conosciamo, la nostalgia di quest’ultimo periodo ci aiuterà a tornare a vivere di nuovo senza paura, con fiducia e speranza nel futuro.
Ora possiamo, grazie nostalgia!
Amy K. Rosenthal
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Immagine di copertina: la fattoria della famiglia Rosenthal nel Wisconsin (USA)