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Fuga in provincia con Tommaso Landolfi

08 Luglio 2021
Fuga in provincia con Tommaso Landolfi
Landolfi è una delle penne più raffinate della letteratura europea del Novecento. Fu perlopiù autore di racconti fantastici, contrassegnati da una pungente vena dissacrante sia nei confronti dei costumi tradizionali italiani che della società di massa

Scrivere un articolo su Tommaso Landolfi (1908-1979) - al quale è dedicato il parco letterario di Pico, sua terra natia - è anzitutto un'occasione per porgere tributo a uno scrittore che amo moltissimo. Poco noto al grande pubblico, Landolfi resta in realtà una delle penne più raffinate e sublimi della letteratura europea del Novecento. Fu perlopiù autore di racconti fantastici, contrassegnati da una pungente vena dissacrante sia nei confronti dei costumi tradizionali italiani che della moderna società di massa.

Meritevole di attenzione è lo spassoso e oltraggioso Le due zitelle. Landolfi lo ha sempre considerato il suo miglior racconto, e Montale lo definì uno dei "maggiori incubi psicologici e morali della moderna letteratura europea".
Di non minore importanza è il romanzo La pietra lunare dove, "in una scena di provincia", il protagonista si innamora di Gurù, fanciulla capra che condurrà il giovane Giovancarlo fra "lunari orrori" di creature fantomatiche e sinistre lungo un itinerario onirico che intreccia commedia, patos e sogno. 
Nel 1975, dopo una intensa carriera che lo vede scrittore a tutto tondo - romanziere, poeta, narratore, collaboratore con rubriche letterarie ecc. - viene insignito del Premio Strega per la raccolta di racconti A caso.

Per intenditori, invece, è la raccolta intitolata Se non la realtà. Apparsi per lo più sulla rivista "Mondo" tra il 1952 e il 1959, questi appunti di viaggi furono editi in un volume da Vallecchi nel 1960. Non è il solito Landolfi, immaginifico ideatore di improbabili scenari di provincia; qui lo vediamo vestire i panni del polemista, intento a trasfigurare nella sua sontuosa lingua reali situazioni di vita quotidiana. Ne viene fuori quasi il diario intimo e caricaturale delle peregrinazioni di un viaggiatore ironico e divertito, il quale offre al lettore uno spaccato sull'Italia degli anni Cinquanta in rapida ascesa del boom economico.
Per ogni città viene tratteggiata una galleria di personaggi grotteschi descritti così minutamente da rasentarne il ridicolo.
Così in una corriera diretta a Frosinone - l'autore precisa è solito viaggiare coi mezzi pubblici - incontriamo mangiatori di aranci che "imprendono la loro appiccicosa bisogna sputando semidappertutto; ed ecco che il primo bambino, sgranando gli occhi e diventando verde, principia a vomitare; s'intende tra le gambe dei viaggiatori compassionanti, tosto imitato da qualche dama di stinco peloso. Finché una ripicchiata professoressa di scuole medie con servettina a lato non salti su a redarguire il personale e le vomitanti stesse: ' Care mie, se vi fa male la macchina, perché non prendete il treno?' (il vomito continua allora dal finestrino)".

Lungo i vagabondaggi attraverso la penisola, in Landolfi emerge la predilezione di paesi o luoghi apparentemente minori, provinciali, o comunque estranei ai grandi siti turistici: Frosinone appunto, la natia Pico, il paese di Ninfa, Itri, Formia ecc.; seppure troviamo pagine dedicate a una insolita Venezia, a Padova, e il racconto di una gita al Casinò di Sanremo. Landolfi sembra spiegare umoristicamente la ragione di tale fuga: "se un gioco di treni vi mettesse nella condizione di dover scegliere, per passarvi la notte, tra le città di Rovigo e di Ferrara, voi quale scegliereste? Senza dubbio Ferrara? Questa è la principale ragione perché io ho scelto, qualche giorno fa, Rovigo". 

Sarcastico e anticonformista, Landolfi descrive quel disagio dell'individuo sommerso dalla folla nelle grandi città. Emerge la nostalgia per un'Italia perduta e ormai anacronistica, la cui antica bellezza sembra destinata al tramonto, soppiantata dal progresso frenetico e, tra i suoi effetti visibili, dal turismo di massa che ne corrompe l'inveterato splendore. L'idea della "città vetrina" non può che trovare Landolfi, intellettuale e fine umanista, contrariato nonché disgustato; così la polemica segue più o meno velatamente l'intera raccolta. 
Se non la realtà è marcatamente segnato dalla polemica antituristica di cui a fare le spese è appunto lo sprovveduto turista italiano: "Maledetta la cultura popolare, la cultura turistica, l'istruzione obbligatoria e quant'altre simili idee siano germogliate nella mente dei demagoghi o dei cavalieri d'industria [...]" afferma stizzito il Landolfi. 

E ancora un estratto dal capitolo La gattina di Petrarca in cui molti turisti sembrano ignorare addirittura l'identità del grande poeta: "ad Arquà e alla casa del Petrarca salgono periodicamente (mi informa la guardiana) mandrie di villeggianti et similia da Abano o di chissà donde; e costoro guardano tutto, si informano è facile immaginare di quali particolari, appongono la firma sulregistro e infine, al momento di uscire, pensano bene di documentarsi sul Petrarca stesso chiedendo per esempio (scelgo a caso tra le domande riferitemi dalla guardiana): ' ma che cosa era poi il Petrarca, un cantante è vero?' (Perbacco, lo era.) No, non dico che si debba sottoporre a un esame d'ammissione quanti manifestino il proposito di visitare la casa del Petrarca o di qualsivoglia grande poeta, ma che almeno ci si lasci andare soltanto chi vuole, ed essa non sia compresa negli itinerari turistici; che se c'è una genia perniciosa alla cultura vera e non mai abbastanza ferocemente aborrita, è quella dei turisti". 
Traspare la derisione amara che sottende all'esigenza di una dimensione iniziatica e sacrale del viaggio, in queste pagine accanite contro la realtà del degrado dei luoghi di culto dell'arte. Non un discorso fuori luogo oggi, se osserviamo la mandria ignara che ipocritamente si riversa nei musei con l'intento di scattare un selfie davanti a un'opera del Rinascimento e pubblicarla su instagram; o anche ciò che capita sovente a monumenti imbrattati in tutte le città da Nord a Sud. Cosa ha a che fare tutto ciò con l'arte e col raccoglimento? Ciò denota piuttosto una mancanza di rispetto verso il patrimonio artistico. L'effetto e, al contempo, il sintomo di tale altera ignoranza, è la degenerazione della vera cultura in pubblicità e intrattenimento per le masse. In questo senso, e non altrimenti, va inteso il rifiuto di Landolfi per la "cultura popolare". 

Non è mia intenzione dilungarmi troppo su una faccenda che, se toccava Landolfi allora, ci riguarda adesso più profondamente. Dovremmo (ed è un dovere del tutto estetico quali eredi di un popolo proverbialmente dotati di gusto e senso del bello) distinguere nettamente il "viaggetto turistico" e il viaggio inteso come forma di arricchimento intellettuale, al quale si è spinti da una sorta di sete di conoscenza, e non dall'ennesimo tic di mania consumistica. Come per quel tour europeo, il quale si svolgeva soprattutto in Italia, in cui consisteva la formazione di ogni giovane aristocratico solo un paio di secoli fa, così dovremmo riscoprire il viaggio come forma di conoscenza diretta. Almeno se non vogliamo togliere ulteriormente terreno alle nostre radici - italiane e quindi europee - e preservare quanto di bello e sublime possediamo in misura maggiore di ogni altro paese, a livello paesaggistico quanto culturale. E' questa la nostra unicaricchezza, ciò a cui dovremmo educare e sotto il cui segno essere educati.
Come in Viaggio in Italia Ceronetti lamentava il disastro dell'"antica bellezza perduta", Landolfi riconosce l'abbrutimento che un certo progresso cieco e disperato porta ai danni del territorio, di cui non rimangono che frammenti, luoghi-vetrina, retorica di squallida propaganda esposta da istrionici politici e amministratori. E pure la provincia - là dove Landolfi involava la fuga - viene travolta da questa febbre che tende a commercializzare ogni singolo metro quadro (materiale e virtuale), fino a che ci troviamo totalmente sradicati, immersi in un grande centro commerciale a vetrine luccicanti e stordenti, infestato da aria condizionata per uno shopping più comodo e divertente. Perciò, riscoprire i luoghi della cultura è essenziale! - dacché essi offrono possibilità per riconoscere la nostra vitalità sommersa.

Non trovo modo migliore di concludere l'articolo che lasciare la parola a Landolfi: "quale viaggiatore ozioso (al pari di me) non si è sentito battere furtivamente il cuore all'idea di passare una notte in una tranquilla città di provincia che neppure gli avidi e fastidiosi turisti frequentino? Non so: se ne ripromette, esso cuore, come un ritorno alle origini, un riposo, una pace sconosciuti alle grandi e famose città, e soprattutto la scoperta di qualche modesto segreto dell'animo, dell'animo femminile per esempio, che, non abbagliato o travestito da importuni splendori, serbi intatta la propria inebriante desolazione e quasi amorosamente la custodisca; poiché non è dubbio, generalmente parlando, che dove sia meno luce più chiaramente segnato è il destino dell'uomo"

Gennaro Cardenio

 Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Immagine di copertina. Pico (Fr) foto Franco Carnevale


Tommaso Landolfi
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Tommaso Landolfi

Pico (Frosinone)

...“Occorre che vi rifacciate” prese allora a dire l’amico “al fondo d’una delle nostre province”. E non già a una piccola città malinconica (…) immaginate piuttosto un minuscolo paese, un borgo sperduto tra le montagne. Al tempo della mia storia io vivevo laggiù, e del resto (aggiunse sorridendo) è là che sono nato. (…)

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