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nel parco Francesco Lomonaco

La vita

Sfuggito alla reazione borbonica, successiva al fallimento della rivoluzione napoletana del 1799, Francesco Lomonaco sarebbe entrato in dialettico confronto con i grandi della cultura nazionale, assolvendo al notevole compito di portare a conoscenza degli intellettuali del Nord lo storicismo di Giambattista Vico e tutti i fertili stimoli della cultura napoletana. Sarebbe perciò diventato importante nella vita e nell'opera di Foscolo e Manzoni. Senza di lui, e senza il suo vichismo, difficilmente Foscolo sarebbe passato dall'Ortis ai Sepolcri e difficilmente il giovane Manzoni avrebbe superato l'antistoricismo illuministico, si sarebbe aperto allo studio della storia e avrebbe scoperto un Provvidenza sottesa agli eventi umani. Il Manzoni di tutto ciò, in una intervista rilasciata nel 1866 ma pubblicata sul "Corriere della sera" dieci anni dopo, il 12-13 ottobre 1876, gli avrebbe dato ampio riconoscimento e ampio merito.
Francesco Lomonaco era nato a Montalbano Ionico il 22 novembre 1772, in un momento in cui quella cittadina appariva popolata da dottori laureatisi a Napoli, nel clima nascente dell'Illuminismo. Uno di questi era Nicola Lomonaco, padre di Francesco. Un fratello di Francesco era Luigi, che sarebbe stato anche lui coinvolto nei fatti del 1799. E' da credere, perciò, che il primo maestro di Francesco sia stato il padre. Il secondo maestro, in senso proprio, fu il dotto abate Nicola Maria Troyli, che in paese aveva accorsata scuola privata.
Francesco, compiuti gli studi superiori, passava a Napoli, per iscriversi a giurisprudenza; ma poi vinse in lui l'interesse per la medicina. Nel nuovo ambiente di studi, ritrovò gli stessi motivi e stimoli che gli erano venuti in famiglia. Accostatosi alla cultura francese, lesse Rousseau e tradusse De Mably.
Nel 1799, quando aveva ventisette anni, fu tra i promotori della rivoluzione e fra gli assediati di Castel Sant'Elmo. Sopravvisse alla reazione, e alla condanna a morte, per un banale errore di trascrizione del suo cognome, che fu registrato come La Manica.
Libero, fuggì in Francia; quindi, tornato in Italia, dopo una breve permanenza a Milano, per una raccomandazione del Monti riuscì ad ottenere l'insegnamento di storia e geografia presso il Collegio militare di Pavia.
Si è detto che agli ideali rivoluzionari fu avviato dal padre, dalle amicizie contratte a Napoli e dagli scritti degli Illuministi francesi; ma una visione più larga della vita e della storia gli venne da Giambattista Vico, che gli insegnò a sperare nel tempo e nel progresso che il tempo porta sempre con sé.
Non era la Provvidenza cattolica a sostenerlo in questa fede, ma lo spirito che immane nelle cose e negli uomini, quasi un "fuoco" o forza endogena che spinge ad andare sempre oltre il presente. Ciò comporta, più che nella stessa filosofia di Vico, un grande impegno etico e civile come avevano insegnato illustri capitani, nel campo militare, e illustri uomini nella filosofia, nell'arte e nella scienza.
Come ad offrire dei modelli ai suoi lettori, perché anch'essi si sentissero spinti ad egregie cose, Lomonaco scriveva Vite degli eccellenti italiani (1802) e Vite dei famosi capitani d'Italia (1804). In precedenza, sulle sue vicende personali e sulla caduta della Repubblica napoletana del 1799, aveva scritto un violento libello, intitolato Rapporto al cittadino Carnot.
La conoscenza e i contatti con la cultura settentrionale d'Italia avevano nel frattempo allargato anche i suoi orizzonti politici. Dedicava Vite degli eccellenti italiani all'Italia e non, come si usava fare, a questo o quel personaggio di riguardo. Era il rifiuto della letteratura asservita al principe (sull'esempio di Alfieri e come il Foscolo) ed era anche l'invito a dare un senso unitario e nazionale alle battaglie politiche.
Come il Foscolo e il Manzoni, "vergini di servo encomio e di codardo oltraggio", anche Lomonaco ebbe atteggiamenti tormentati nei riguardi di Napoleone Buonaparte, che, liberale e democratico nei discorsi, era, di fatto, tirannico e dominatore degli altri popoli. Quando pubblicava l'ultima sua opera, Discorsi politici e letterari, nel 1809, Lomonaco viveva questa contraddizione e questo dramma.
La sua opera, perciò, mal gradita al potere napoleonico, fu perseguitata dalla censura e ritirata dal mercato. Lomonaco allora, come Iacopo Ortis, cui era molto vicino, perché era vicino al giovane Foscolo, deluso e amareggiato decideva di chiudere con un ulteriore atto di protesta e libertà la sua breve e concitata esistenza.
La mattina del 1° settembre 1810 si lasciava affogare nelle acque del Navigliaccio, alla periferia di Pavia.

Alessandro Manzoni dedicò a Francesco Lomonaco il sonetto "per la vita di Dante" (1802)
Come il divo Alighier l’ingrata Flora
  Errar fea, per civil rabbia sanguigna,
  Pel suol, cui liberal natura infiora,
  Ove spesso il buon nasce e rado alligna,
Esule egregio, narri; e Tu pur ora
  Duro esempio ne dai, Tu, cui maligna
  Sorte sospinse, e tiene incerto ancora
  In questa di gentili alme madrigna.
Tal premj, Italia, i tuoi migliori, e poi
  Che pro se piangi, e ’l cener freddo adori,
  E al nome voto onor divini fai?
Sì da’ barbari oppressa opprimi i tuoi,
  E ognor tuoi danni e tue colpe deplori,
  Pentita sempre, e non cangiata mai.
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