L’ignoranza del passato può indurre a una visione fuorviante della realtà. Sentimenti come l’eterno dissidio fra odio e amore, l’angoscia dinanzi al tempo che fugge inesorabilmente, l’infelicità connaturata alla condizione umana non sono prerogativa dell’individuo moderno.
Tra il VII e il VI secolo a.C. i lirici greci, nei loro versi, sono riusciti mirabilmente a rappresentare gli ineffabili moti dello spirito.
Con minuzia di particolari quasi maniacale Saffo dipinge i turbamenti fisici indotti dalla gelosia: la voce si ammutolisce, la lingua si spezza, il fuoco scorre sotto la pelle, gli occhi si annebbiano, le orecchie mugghiano, un sudore gelido si diffonde, il tremito sconquassa le membra…
Anacreonte concentra in soli due versi la relazione, spesso inscindibile, tra amore e non amore: Amo e non amo, sono pazzo e non sono pazzo.
Alceo celebra nel vino, che dona l’oblio, il miglior farmaco, un messaggero di verità.
Solone individua come responsabili della pessima politica quei cittadini folli e affascinati dal denaro che saccheggiano e rapinano, avendo in dispregio la giustizia.
La lirica greca ha esercitato il suo fascino su una torma di poeti posteriori, fra cui Giacomo Leopardi. Fine conoscitore delle letteratura antica, riesce a superare ben presto l’approccio del famelico erudito, del pedante filologo per immergersi totalmente nella classicità, cogliendone appieno l’essenza più intima e profonda.
Nella canzone Ultimo canto di Saffo, Leopardi “ricostruisce” gli estremi istanti di vita della poetessa: segue la credenza, già attestata nelle Heroides di Ovidio, secondo cui Saffo, dotata di aspetto poco avvenente, dopo il rifiuto da parte dell’amato Faone, decide di darsi la morte.
Nella canzone è Saffo stessa a parlare: la bellezza della natura circostante, la quiete della placida notte che sta volgendo all’alba non leniscono la sua angoscia: Arcano è tutto/fuor che il nostro dolor. Negletta prole/nascemmo al pianto.
Il tema della sofferenza che pervade l’esistenza umana fin dalla nascita è particolarmente caro al Recanatese, si pensi al verso finale del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: è funesto a chi nasce il dì natale.
Già Solone, molti secoli prima, aveva sentenziato: Nessun uomo è felice, ma sciagurati sono tutti i mortali che il sole contempla.
Saffo sceglie la morte come supremo atto di liberazione da una vita misera, senza amore. Mimnermo cantava: Meglio la morte, quando non più caro/mi sia l'amore occulto.
I versi finali dell’Ultimo canto segnano il trionfo del disfacimento delle illusioni che l’atro Tartaro travolge.
Anacreonte definisce il Tartaro: Un baratro terribile, penosa la discesa.
Altro motivo prediletto da Leopardi è la giovinezza ricolma di speranze e promesse, contrapposta alla detestabile vecchiaia. Scrive nei Pensieri: La morte non è un male: perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii. La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza.
Quest’idea riecheggia in molte delle poesie più celebri: A me, se di vecchiezza/La detestata soglia/Evitar non impetro (Il passero solitario); Piansi la bella giovanezza, e il fiore/de’ miei poveri dì, che sì per tempo/cadeva (Le ricordanze); Garzoncello scherzoso,/cotesta età fiorita/è come un giorno d'allegrezza pieno/giorno chiaro, sereno/che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio;stato soave/stagion lieta è cotesta. (Il sabato del villaggio); Ma la vita mortal, poi che la bella/giovinezza sparì, non si colora/d’altra luce giammai, né d’altra aurora (Il tramonto della luna).
Inevitabile il richiamo a Mimnermo che, nei pochi frammenti pervenuti, riprende ossessivamente il tema della fugace giovinezza e paventa il sopravanzare dell’odiosa vecchiaia che rende l’uomo turpe e brutto allo stesso tempo (Fr. 1W):
Ma breve tempo dura la cara gioventù/simile a sogno; e sopra la fronte ben presto si aggrava/
la tediosa informe, la nemica vecchiezza/priva d’onore, che l’uomo non più conoscibile rende/ o avviluppa, gli offusca lo sguardo ed il pensiero (Fr. 4 W).
Fulmineo precipita il frutto di giovinezza/come la luce d’un giorno sulla terra. E quando il suo tempo è dileguato/è meglio la morte che la vita (Fr. 2 W).
Foto di copertina di Alessandro Suraci
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