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Giuditta Celli: in Antartide con Emma Perodi

03 Marzo 2021
Giuditta Celli: in Antartide con Emma Perodi
Giuditta Celli racconta la sua esperienza come ricercatrice in Antartide. Ci parla dei cambiamenti climatici, del Casentino e di Emma Perodi. di Alberta Piroci Branciaroli

Chi è Giuditta Celli?
Ho 28 anni, sono laureata in chimica e sono originaria del Casentino. Sin da piccola il contatto con la natura è stato una componente importante della mia vita. Sono cresciuta in campagna, immersa nel verde e questo mi ha aiutata a capire l’importanza della natura, la sua forza e quanto essa sia fondamentale per la nostra sopravvivenza.

Dove sei stata in Antartide?
Ho trascorso un anno da novembre 2018 a novembre 2019 a Concordia. È la stazione italo-francese che si trova sul plateau antartico, a 3323 m sul livello del mare e più di mille chilometri dalla costa, gestita dal PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide) e dall’IPEV (Insitut polaire Paul Emile Victor). È un luogo completamente isolato, in cui ti senti piccolissimo schiacciato tra il ghiaccio che si perde a vista d’occhio ed il cielo che ti sovrasta.

Che cosa facevi e perché proprio al polo?

Sono partita per lavorare a dei progetti di ricerca, tra i quali il principale era condotto dall’Università di Firenze, e mi occupavo di campionamento di particolato atmosferico, neve superficiale e fino ad un metro di profondità. Questi campioni poi sono stati spediti in Italia e nei laboratori sono effettuate delle analisi per ricercare varie sostanze, come metalli, particelle solide e carbonio.
Sono ricerche che si effettuano al polo sud perché l’Antartide è un laboratorio all’aria aperta. È il continente più isolato sulla Terra, quindi l’inquinamento prodotto dall’uomo negli altri continenti fatica ad arrivare fin là. In questo modo possiamo studiare come l’atmosfera dovrebbe essere senza l’influenza delle attività umane e studiando il ghiaccio in profondità, possiamo anche studiare come era l’atmosfera migliaia di anni prima dell’uomo stesso. Tutto questo ci aiuta a capire la qualità dell’aria delle nostre città e la crisi climatica che stiamo affrontando.

Come era una giornata tipo?

Erano giornate fatte di routine per mantenere una certa normalità della vita che avevamo prima e per resistere allo sbalzo delle giornate di sola luce o sola notte polare. I pasti scandivano le giornate, la mattinata era dedicata al lavoro in esterna mentre il pomeriggio era dedicato al lavoro in ufficio, o in esterna in caso di bisogno, e ai lavori comuni come la pulizia della base.
Rimaneva comunque del tempo libero che dedicavo alla lettura, ai film o in cucina ad aiutare il cuoco.

Come era composto il team?
D’estate, cioè da novembre a inizio febbraio, eravamo tra le 60 e le 80 persone. D’inverno, cioè nel periodo dei 9 mesi di totale isolamento, eravamo in 13. Come una piccola famiglia composta da scienziati, tecnici necessari per il mantenimento della base, un medico ed il cuoco. Avevamo tutto il necessario per sopravvivere isolati e lontani da tutti.

Quali sono le cose belle e brutte di questa esperienza?

Di bello nonostante le temperature fino a -80°C, ricordo proprio il luogo. Il cielo stellato mozzafiato, il silenzio in cui senti solo il respiro ed il tuo cuore che batte, la solitudine che ti insegna a vivere con te stesso. Di brutto la difficoltà della lontananza da casa senza possibilità di rientro e la mancanza totale di colori, a parte il bianco e blu.

La crisi climatica è un evento reale di cui dovremmo preoccuparci?

Purtroppo si e le ricerche scientifiche apportano nuovi dati e conferme ogni giorno, anche nell’individuare l’uomo come il principale responsabile. Molte persone non se ne rendono ancora conto perché magari non sono state coinvolte direttamente in una qualche conseguenza seria o semplicemente negano perché è più facile, piuttosto che ammettere di aver sbagliato qualcosa e di dover agire e cambiare per risolvere il problema.

Un’ultima domanda che tocca la sfera personale dei ricordi: in quella distesa di bianco ghiaccio che da docente paragonerei ad una pagina bianca, quali sono stati i ricordi con i quali l’hai riempita?

Direi che è stata una pagina bianca da poter riempire di sogni sul futuro e ricordi di casa. In quel luogo non luogo che è l’Antartide, ho spesso ricordato e contrapposto alle fredde distese di ghiaccio bianco, i ricordi dei colori e odori del mio Casentino. Il verde intenso delle foreste ed i suoi magici colori autunnali, i colori dei fiori, i profumi della primavera e l’odore della terra bagnata dopo la pioggia. Così hanno ripreso vita anche tanti personaggi fantastici del capolavoro di Emma Perodi “Le novelle della nonna”, legati alla mia terra. Perché sì, è possibile sognare ovunque ma alcuni luoghi riescono a riconnetterti con te stesso e a farti ricordare con nostalgia, quali siano le tue radici.

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