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Il Pentcho, la storia di un esodo europeo

21 Gennaio 2021
Il Pentcho, la storia di un esodo europeo
di   Foto: Mario Ganz Mario Ganz

L'epopea del battello Pentcho che attraversa l'Europa occupata con a bordo 500 ragazzi ebrei apolidi di nazioni diverse è importante per mantenere viva la Memoria e il senso di appartenenza. Mario Ganz

Sarebbe semplice definire incredibile la storia del Pentcho e verrebbe anche naturale, spontaneo. Il termine potrebbe trarre in inganno, o depotenziare il portato di una storia quanto mai attuale, che andrebbe conosciuta e raccontata, oserei dire “confrontata”, più spesso. E' una vicenda straordinaria, certo, se non fosse che la realtà spesso supera la nostra immaginazione, oltrepassa le nostre arti letterarie o le invenzioni cinematografiche, fornendo di continuo storie stupefacenti che rischiano di divenire ..ordinarie. 

Il viaggio del Pentcho, e così intitola anche Stefano Cattini il suo premiato documentario nel 2018, attraversa l'Europa e ha parte del suo epilogo proprio in Italia, nella calabrese Ferramonti. A bordo di un vecchio rimorchiatore fluviale inadatto alla navigazione in mare, circa 500 giovani ebrei apolidi (cechi, polacchi, slovacchi, tedeschi, rumeni) salparono da Bratislava nel maggio del 1940 per fuggire all'occupazione nazista e seguire la coraggiosa idea di raggiungere la Palestina mandataria, allora sotto controllo degli Inglesi. Il piano di viaggio lascia tuttora sorpresi: il vecchio battello, percorrendo il Danubio, avrebbe dovuto in poche settimane raggiungere il Mar Nero, e di lì cambiando imbarcazione, fino a destinazione, la Terra dei Padri. Ma per percorrere il Danubio ci vollero cinque mesi, fatti di malattie, infezioni, blocchi, malfunzionamento dei motori, assenza di rifornimento. 

Regolarmente respinti durante la navigazione, con il solo aiuto di altri ebrei che collaborarono all'impresa, giunsero a Sulina in Romania, dove la seconda imbarcazione mai si presentò, costringendo i giovani in fuga ad affrontare il mare aperto. Quel rimorchiatore fluviale, che vide speranze, paure, primi amori, fame, tenacia, naufragò – come prevedibile - a Kamila Nisi, isola greca disabitata, dove le donne e gli uomini del Pentcho rimasero senza riparo alcuno per dieci giorni, al sole del Mediterraneo. 

Fu una nave militare italiana a salvare i naufraghi, trasportandoli a Rodi, allora nel Dodecanneso italiano. La Camogli della Marina Militare, sotto il comando di Carlo Orlandi, provvide alle prime necessità sanitarie e igieniche delle 500 persone, organizzando in una settimana il trasbordo a gruppi verso Rodi, dove giunsero tutti vivi. 

Il comandante del Pentcho, Jeshoua Halevi, esaltò anni dopo, nel primo congresso di ex-internati, la comprensione riservata ai profughi dagli italiani, e rivolse in particolare la sua riconoscenza alla popolazione calabrese e al comandante Orlando di Napoli. Si parla ancora, attualmente, di un riconoscimento per questo atto a Yad Vashem. 

A Rodi gli ebrei transfughi furono comunque internati, ma venne mosso l'interesse della Croce Rossa Internazionale anche su sollecitazione dei parenti degli imbarcati, sparsi per tutta Europa, all'oscuro dell'esito di quel viaggio per la salvezza. Da Rodi i “ragazzi” del Pentcho furono trasportati a causa delle Leggi razziali allora in essere, a Ferramonti di Tarsia, dove sorgeva il più grande campo di internamento dell'Italia fascista, e dove la grande maggioranza degli internati era ebrea non italiana, quindi per le norme vigenti impossibilitati a rimanere in suolo italiano da cittadini liberi. 

Ferramonti, che rischiò concretamente di essere il ponte verso i campi di sterminio, rappresenta per certi versi un altro capitolo della nostra storia italiana ed europea da divulgare; e per i naufraghi del Pentcho divenne - in fine- una salvezza: trovarono nella popolazione calabrese un'umanità soccorrevole, rispettosa della dignità umana e nonostante la prigionia ed il destino assolutamente incerto, ripresero forze, viveri, vestiario, addirittura la possibilità di studiare o sposarsi.. 

E' noto come a Ferramonti le risorse psicologiche e culturali degli internati generarono una vitale resistenza alla limitazione della carcerazione, che a tutt'oggi emerge in un continuo crescendo grazie a ricerche, testimonianze, scoperte, resoconti dei superstiti, diari e opere artistiche. Ogni anno i fili della memoria si allungano e intrecciano biografie, per opera del Parco letterario Ernst Bernhard, sorto proprio per tutelare la memoria del Campo di Ferramonti e dei suoi prigionieri. 

A settembre del 1943 con l'arrivo degli Alleati, il campo fu liberato. I “ragazzi” del Pentcho, diventati adulti (alcuni genitori proprio all'interno del campo) si salvarono in grande parte; alcuni raggiunsero Israele, altri i pochi parenti superstiti nella vecchia Europa, altri ancora vennero intercettati e non sopravvissero. Una parte di essi rimase a Ferramonti e nelle vicinanze sino al '45, con l'aiuto della popolazione locale che li mise al riparo dai nazisti in ritirata. 

Da qui si apre una grande fase di ricostruzione silenziosa per il popolo ebraico: sappiamo quanto poco si raccontò di queste esperienze nei primi decenni che seguirono la Shoah e la fine della Guerra, e quanto impegno fu profuso per ritrovarsi, fondare uno Stato, compattarsi, evitare la disintegrazione del trauma collettivo; ci vollero anni, e il processo ad Eichmann in mondovisione, per dar vita ad un primo inizio di sofferta elaborazione. Si pensi che in Israele il giorno della memoria fu istituito solo nel 1959. 

La testimonianza e la memoria divennero solo in una seconda fase un dovere verso l'umanità intera, oltre che un processo necessario ai singoli e al collettivo per riaffrontare la vita, come sa bene chi si occupa di psicotraumatologia. Considerato ciò, la storia del Pentcho può essere un esempio mirabile di quelle testimonianze che la scrittrice israeliana Lizzie Doron definisce “intime, genuine, dolenti, anche sarcastiche che ho vissuto da bambina" e che rischiano di essere “seppellite dall'industria della memoria (...) Al ricordo, alla cerimonia, alla commozione deve essere sempre fatto precedere uno studio, poiché non c'è niente di più vacuo e transitorio di una celebrazione emotiva priva di una profonda conoscenza e comprensione della Storia. Nessuno sviluppo della memoria è possibile senza conoscenza. ” 

La conoscenza della storia del Pentcho, che solca l'Europa carico di ebrei di nazioni diverse, ha esattamente questo sapore, questa possibilità e tremenda attualità. 

“Mi fa impressione quando sento di barconi affondati nel Mediterraneo, magari 200 profughi di cui nessuno chiede nulla. Persone che diventano numeri anzichè nomi. Come facevano i nazisti. Anche per questo non ho mai voluto cancellare il tatuaggio con cui mi hanno fatto entrare ad Auschwitz.” Liliana Segre, senatrice della Repubblica Italiana

Mario Ganz

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In copertina il Pentcho, Museo di Ferramonti 


Ernst Bernhard
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Ferramonti di Tarsia (Cs)

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