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In giro nei Parchi letterari e nella cultura con Giorgio Biferali

09 Dicembre 2020
In giro nei Parchi letterari e nella cultura con Giorgio Biferali
In vista della Giornata Mondiale dei Diritti Umani auspico un po’ di gentilezza e di autenticità in più.

Classe 1988. Giorgio Biferali da bambino sognava di diventare un calciatore, un attore, un cantante. Conferma di aver cominciato a leggere quando hanno smesso di dirgli che doveva farlo. Ad oggi ha scritto molti libri e continua a farlo, tra gli altri il suo romanzo d'esordio "L'Amore a venti anni" è stato presentato al Premio Strega nel 2018. Nella intervista che segue facciamo un giro con lui in alcuni Parchi letterari e nella cultura di oggi, arrivando alla giornata Mondiale dei diritti umani. 
Un augurio da tutta la nostra redazione a Giorgio che è diventato papà proprio in questi giorni, benvenuta al mondo piccola; un abbraccio a tutta la sua famiglia.

Giorgio voglio partire con te da due dei Parchi Letterari che abbiamo nel Lazio, uno è dedicato alla memoria di Pier Paolo Pasolini, all'idroscalo di Ostia; l'altro è a Pico, in provincia di Frosinone, ed è un omaggio a Tommaso Landolfi. Tu sei legato ad entrambi i Parchi letterari. Puoi dirci il perché? E qual è l'aspetto che ammiri di più di ognuno di questi scrittori?
Intanto comincio dicendo che l’idea dei parchi mi piace molto, aiuta i lettori a mettere a fuoco l’essere umano che si nasconde dietro allo scrittore, a scoprire i luoghi in cui hanno preso forma le opere. Del parco dedicato a Pasolini, ricordo di aver partecipato a un incontro, che c’era un’atmosfera particolare, quasi sacra. Purtroppo, non ho mai avuto l’occasione di visitare il parco dedicato a Landolfi, ma recupererò presto, perché è un autore che amo, cui ho dedicato ore, giorni mentre preparavo gli esami e poi la tesi all’università. 
Con Pasolini ho un rapporto strano, amo il Pasolini poeta, il regista, meno il narratore, ci sono periodi in cui mi trovo d’accordo con lui e altri in cui non lo sopporto. Ho avuto la fortuna di far parte di un’antologia di racconti ispirati alla sua opera dal titolo Nuvole corsare, a cura di Francesco Borrasso e Giuseppe Girimonti Greco, appena uscita in libreria per Caffèorchidea

Il tuo romanzo d'esordio è stato presentato nel 2018 al Premio Strega. Come hai vissuto quella esperienza?
Il romanzo era uscito da qualche giorno e sono rimasto sorpreso, anche se credo di non essermene mai reso conto davvero. Di quell’esperienza ricordo soprattutto il lavoro di editing con Vanni Santoni e i cinque mesi di tour in tutta Italia. 

Sei nato a Roma mentre Nanni Moretti girava Palombella Rossa. Quanto sei legato e perché a Moretti?
Sono cresciuto con le sue battute, con le sue idiosincrasie, con i suoi film. Ho sempre amato la sua sensibilità, il suo sguardo, autentico, sulle cose. Quando, insieme a Paolo Di Paolo, abbiamo scritto un libro con lui, mi è sembrato di rivivere la mia infanzia, o i pomeriggi (di maggio e non solo) in cui scoprivo me stesso guardando Michele Apicella. 

Hai scritto molte pagine per i giovani e sei anche un insegnante di Italiano e Storia in un liceo. Cosa si può fare di più per gli studenti, soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo tutti quanti. E come vivono dal tuo punto di vista i giovani questo periodo storico?
Lo vivono male, come noi. Un conto è trovarsi in classe, sentire i sospiri, guardarsi negli occhi, un altro è passare mezza giornata davanti a un mosaico di facce costrette ad ascoltarti con il microfono muto. Da un lato si rendono conto che stanno assistendo a un momento storico, dall’altro hanno paura di perdere i momenti più belli della loro vita, secondo me è spiazzante, frustrante, però almeno hanno l’occasione di fare i conti con la distanza e con la solitudine. 

Qual è il tuo rapporto con il viaggio?
Mi manca molto viaggiare. Il viaggio ha sempre fatto pare della mia vita, i viaggi sono tra le poche cose che ricordo con precisione, tutti, da quando andavo in Inghilterra in estate negli anni del Liceo all’ultimo viaggio a Parigi il 20 febbraio di quest’anno, qualche giorno prima del lockdown. Viaggiando ho sempre scoperto un lato di me che prima non conoscevo, forse perché nei viaggi tendo a rilassarmi, ad abbassare la guardia, ad essere più vulnerabile. D’altronde, come diceva Manganelli, “chi fa un viaggio, rischia di arrivare”

Cosa vuol dire oggi fare cultura pop e a che punto è la nostra cultura pop italiana?
È semplice, vuol dire essere popolari, ma non nel senso che sei famoso e ti conoscono tutti, no, nel senso che riesci a comunicare con tutti, a essere universale, senza mettere da parte la qualità e i contenuti. In Italia sono in tanti a portare avanti questo concetto, il primo che mi viene in mente è Alessandro Barbero, che è riuscito ad arrivare in cima alla classifica dei podcast su Spotify parlando di Carlo Magno, Dante, Napoleone. 

Il 10 dicembre ci sarà la Giornata Mondiale dei Diritti Umani, cosa auspichi nel futuro che possa essere migliorato per i diritti di ogni singolo essere umano?
Ho paura di essere retorico, quindi ti dirò che auspico un po’ di gentilezza e di autenticità in più, da parte di tutti, avere coraggio per andare controcorrente, essere davvero anticonformisti, esserlo sempre, non solo quando ti conviene. 

Annalisa Ncastro

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