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Gerusalemme, tra mito e realtà

24 Maggio 2021
Gerusalemme, tra mito e realtà
Ci sono luoghi e luoghi come ci sono città e città. Gerusalemme è stata e continua a essere un posto pieno di ardore e di fascino ed è una tappa obbligata per chiunque abbia interesse per la storia e la cultura e naturalmente per la religione.

Ci sono luoghi e luoghi. Il magnifico, il famoso o l'orrido alla fine ci lasciano indifferenti. Nella migliore delle ipotesi coinvolgono il nostro lato culturale, il più mediocre. I luoghi veri, quelli che ci formano, quelli che la nostra memoria conserva, sono quei luoghi che ci hanno visto fuori dalla nostra normalità, hanno protetto i nostri eccessi, l’ammissione o il timore dei nostri desideri, tutti quei luoghi che sono stati spettatori di grandi turbamenti.  Yasmina Reza 

 In effetti, ci sono luoghi e luoghi come ci sono città e città. Gerusalemme, oggi capitale di Israele, è stata e continua a essere un posto pieno di ardore e di fascino ed è una tappa obbligata per chiunque abbia interesse per la storia e la cultura e naturalmente per la religione. 

 Sfogliando i testi sacri delle tre religioni abramitiche, si può facilmente capire il ruolo centrale che Gerusalemme ha su ciascuna di esse. Ad esempio, nell’ultimo capitolo della Sacra Scrittura, Apocalisse 21:2 - Giovanni descrive la città “pronta come una sposa adorna per suo marito”. Nel capitolo diciassette del Corano, che racconta il viaggio notturno del profeta Maometto dalla Grande Moschea della Mecca alla Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, la città è descritta come "il luogo di preghiera più lontano". Nel Tanakh, la Bibbia ebraica, Gerusalemme viene citata non meno di 669 volte e Sion, che generalmente significa Gerusalemme, o Terra d'Israele, appare 154 volte. L'importanza di Gerusalemme per gli ebrei è tuttavia illustrata meglio nel Salmo 137:5 - “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra”. 

 Gerusalemme e i suoi dintorni hanno evocato l'immagine di fedeli ebrei, cristiani e musulmani per millenni, ma hanno anche attirato la curiosità di giganti letterari, inclusi quelli del XIX e XX secolo come Herman Melville, Mark Twain e Saul Bellow, che l’hanno visitata e descritta. 

 Le pagine del diario di Melville scritte durante i diciotto giorni passati in Terra Santa nel 1857 rivelano che egli non ne fu colpito piacevolmente, anzi Gerusalemme lo disgustò particolarmente, la descrive come squallida, sporca, un "porcile". Inoltre l’autore di Moby Dick esprime il suo scetticismo sul futuro degli ebrei come agricoltori: “Perché la Giudea è un deserto, perché gli ebrei odiano il lavoro nei campi, perché essi temono, fuori dalle loro città, l’ostilità degli arabi e dei turchi; perché sono troppo pochi e solo un miracolo potrebbe indurre la moltitudine di ebrei che vivono nelle altre parti del mondo a raggiungerli”. Devo confessare che queste parole di Melville mi fanno sorridere mentre le leggo, non solo il miracolo avvenne ma lo Stato ebraico oggi produce di tutto nel “deserto”, dagli ortaggi al vino e insegna agli agricoltori di tutto il mondo come gestire i raccolti in condizioni di scarsità d’acqua con un clima caldo e secco. 

 Dieci anni dopo, nel 1867, Mark Twain arrivò in Terra Santa e anche lui, come Melville, la trovò "desolata e sgradevole"; faceva eccezione Gerusalemme, “il nome di città più famoso della storia”, che descrisse in termini entusiastici nel suo libro “Gli innocenti all’estero” (1869): "Arroccata sulle sue rotonde colline eterne, bianche e solide, piena di cupole, con alte mura grigie, la venerabile città brillava al sole”. Detto questo, fu davvero sorpreso dalle sue dimensioni. "Così piccola! Un camminatore veloce potrebbe dalle mura girare tutta la città in un'ora. Non so in quale altro modo far capire quanto sia piccola”. Riporto queste parole di Twain sulle dimensioni di Gerusalemme perché ho sempre trovato Gerusalemme più simile a una cittadina che a una grande città, figuriamoci a una capitale. In realtà, molti dei quartieri della città sembrano più come piccoli villaggi in cui tutti conoscono gli affari di tutti. E infatti, quando vivevo nel quartiere chiamato la Colonia Tedesca di Gerusalemme, ricordo divertita di Shlomo il giovane che gestiva il makolet (piccolo negozio di alimentari) all'angolo della mia strada, che ogni volta che incontravo mi raccontava di quello che avevo fatto in quei giorni, con chi avevo preso il caffè o con chi avevo pranzato, quasi come se non lo sapessi! Mi regalava dei fiori ogni venerdì per scusarsi della sua invadenza. 

 Poco più di un secolo dopo, nel 1975, Saul Bellow, ebreo americano, partì da Chicago per Gerusalemme per un soggiorno di tre mesi. Da quel viaggio trasse l’inspirazione per il suo libro “To Jerusalem and Back: A Personal Account” del 1976, l'anno in cui vinse il Premio Nobel per la Letteratura. 

 Quando Bellow arrivò a Gerusalemme tutto era cambiato: l’impero Ottomano era crollato, due guerre mondiali erano avvenute, il mandato britannico per la Palestina non c’era più, nuovi stati erano nati nel Medio Oriente, anche lo stato di Israele nel 1948, che dopo la sua indipendenza era passato della guerra dei Sei Giorni del 1967 alla guerra dello Yom Kippur del 1973. 

 A proposito di “To Jerusalem and Back” Bellow in una lettera al suo amico Owen Barfield, filosofo, poeta e critico britannico, diceva: “Ho deciso e anzi lo sento come un vero dovere di scrivere un breve libro su Israele”, e ne riconosceva la grande responsabilità; continuava dicendo: “Nessuno è in grado di offrire una soluzione ma vorrei almeno presentare in chiari termini la questione di Israele a un pubblico evoluto”.

 Per il suo scopo, impresa non da poco allora come oggi, si proponeva di intervistare politici come Yitzhak Rabin e Shimon Peres, figure religiose delle tre fedi monoteiste, studiosi come Shlomo Avineri e Walter Lacqueur e autori israeliani come A.B. Yehoshua e Amos Oz. Era preoccupato se la gente fosse stata disponibile a parlare liberamente una volta arrivato in città. Infatti scriveva: "Prima di lasciare Chicago, il critico d'arte Harold Rosenberg mi ha detto: Andare a Gerusalemme? E ti chiedi se le persone parleranno liberamente? Stai scherzando? Ti parleranno all’infinito!
E’ proprio vero, a Gerusalemme tutti hanno il “dono della parlantina” e Bellow lo scoprì subito: "Qui a Gerusalemme, quando chiudi la porta del tuo appartamento dietro di te, cadi in una tempesta di conversazioni, esposizioni, discussioni, arringhe, analisi, teorie, denunce, minacce e profezie." La città è sempre in fermento con discorsi vivaci, appassionati e senza fine. 

 E perché il rumore costante delle conversazioni non si placa mai a Gerusalemme? Bellow spiega: "L'argomento di tutto questo parlare è, in definitiva, sempre la sopravvivenza; la sopravvivenza della società dignitosa creata in Israele in pochi decenni”. All'inizio questo gli è difficile da capire perché tutto sembra normale e civile, “una città come tante altre - beh, non proprio […] perché’ all’improvviso tutto si ferma e viene segnalata una bomba terroristica, una nuova esplosione fuori da un caffè sulla Jaffa Road uccide sei giovani. Addolorato, metti giù il tuo drink civile e con disagio esci per andare alla tua cena civile". Bellow riflette che le bombe esplodono dappertutto, anche in Inghilterra ma nessuno mette in dubbio il suo diritto all’esistenza, come invece accade per Israele.

 Ricordo bene le allegre cene a Gerusalemme durante la Seconda Intifada e poi all’improvviso l'eco di una bomba nelle vicinanze. 

 Secondo Bellow la vita a Gerusalemme e in tutta Israele è basata sull’assunto: "Non puoi dare per scontato il tuo diritto a vivere. Altri possono, tu no". Questo spinge gli israeliani, lui osserva ad essere "ossessionati dalla politica mondiale [...] dal cercare di capire tutto, dal prendere provvedimenti su tutto [...] in un incessante sforzo di difesa”. L'autore americano prosegue con una battuta: "Non vedo come possano sopportarlo". 

 "Quando sono venuto a Gerusalemme ho pensato di prendermela comoda. Ma qui nessuno se la può prendere comoda", ha scritto Bellow.
Come non essere d’accordo: vivere a Gerusalemme o in qualsiasi altro posto in Israele è tanto eccitante quanto estenuante. Gerusalemme è contemporaneamente splendida e scoraggiante, bizzarra e appassionante, indipendentemente da ogni credo religioso. 

 In definitiva Il libro di Bellow è molto diverso dagli scritti di Melville e Twain, che erano tesi a ritrovare in quei luoghi e paesaggi le descrizioni bibliche, in quanto è più interessato alle persone e alle loro idee nella realtà del nuovo Stato.
Bellow riflette sul carattere nazionale israeliano e sulla miriade di questioni che i suoi cittadini hanno dovuto affrontare. Rileggere il suo libro a quarantacinque anni dalla sua pubblicazione è per me impressionante in quanto Bellow prevede subito il diffuso pensiero antiisraeliano che si respira oggi nei media, negli ambienti accademici e nella politica occidentale.

In ogni caso questi tre grandi autori hanno sottolineato l'enorme significato di Gerusalemme nella storia e nelle religioni, raccontando la città. Gerusalemme è una città che è stata da sempre al centro delle dispute storiche, religiose e politiche, dai millenari racconti biblici ai titoli dei giornali di oggi. Vagando per le sue strade lastricate e osservando i suoi abitanti da un quartiere all’altro la città sembra un'orchestra che non riesce a trovare una sua melodia, le sue note si propagano fuori tempo, imprevedibili e sfrenate. Gerusalemme sembra vivere sospesa a mezz'aria tra il mito e la realtà come tutti quei luoghi che sono stati spettatori di grandi turbamenti.


Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Immagine di copertina : Jerusalemme dal Monte degli Ulivi, Bienchido 2021 , (https://it.wikipedia.org/wiki/Gerusalemme)


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