Eccoci di nuovo nella misteriosa terra di Lucania.
Una Regione nascosta, discretamente defilata dai grandi circuiti nazionali e pure così affascinante nei suoi paesaggi desertici.
Eccoci di nuovo vagare curiosi all’interno dei borghi dispersi sulle aspre colline del materano, alla ricerca di nuove emozioni, di nuovi sapori, di antiche leggende.
Come sempre, è la “Tempa di Sant’ Oronzo” a guardia dello stretto valico della Val d’Agri a darci il benvenuto e a ricordarci ancora una volta che “Cristo si è fermato a Eboli”.
Dalla Capra, al Cimitero, dai Peperoni agli Esorcismi, dal Gabinetto di porcellana bianca di casa Levi, ai Briganti, agli Spazi infiniti che si dilatano lungo le sponde dei grandi fiumi che portano ancora i nomi ancestrali coniati dalla mitologia, il Bradano, il Basento, il Sauro.
Ecco ancora una volta puntuale e straordinaria la presenza dei Parchi Letterari che con il loro contributo hanno permesso a tutti noi ed al mondo intero di riaccostarci a quei misteri antichi che solo la letteratura e qualche filastrocca hanno potuto tramandarci.
Tutta l’opera di Levi è intrisa di mistero, di magia, di racconti e credenze che si fatica a collocare nei primi anni del nostro novecento.
Tra i misteri racchiusi all’interno del Parco Letterario Carlo Levi di Aliano emerge quello delle maschere cornute.
Carlo Levi ci ha lasciato una splendida descrizione che conferma e dimostra il senso esorcistico di questo Carnevale che si perde nella notte dei tempi:
“Vidi sbucare dal fondo e correre velocissimi in salita, tre fantasmi vestiti di bianco. Venivano a grandi salti, e urlavano come animali inferociti…Erano le maschere contadine…in capo berretti di maglia…in mano delle pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni…e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo. Sembravano démoni scatenati….I battitori…si compensavano degli stenti e della schiavitù con un simulacro di libertà, pieno di eccesso e di ferocia vera…poiché una volta tanto tutto era lecito, fra Signori e contadini…presi dal furore, gridando invasati, scotendo nei balzi le bianche penne…
Mi pregarono di farle (le maschere)…le feci tutte uguali, dipinte di bianco e di nero, e tutte erano teste di morto, con le cavità nere delle occhiaie e del naso, e i denti senza labbra”
Ecco dunque il Carnevale di Aliano, la festa profana per eccellenza; la festa dove è lecito tutto purché fatto dietro sembianze camuffate. Sono maschere in cartapesta coloratissime e adornate di penne, piume e trecce di carta tagliate a strisce sottili.
Balzano nella scena all’improvviso, indossando campanelli e campanacci in bronzo smontati per l’occasione dai basti delle capre. Irrompono compiendo grandi salti ad imitazione dei puledri o degli animali selvatici; accompagnano le loro urla disumane al ritmo frenetico dei “Cupi-Cupi”, sorta di tamburi in legno sui quali veniva anticamente distesa una pelle di capra.
L’origine delle maschere di Aliano è fumosa quanto lo sono i riti propiziatori delle più antiche tribù italiche. Di certo l’aspetto zoomorfo prevale su quello antropomorfo e viene esaltato non solo dalle folte chiome policrome di carta e penne, ma soprattutto dalla presenza costante di lunghe corna appuntite e da una sorta di proboscidi mozzate emergenti come grugni dalle facce colorate.
Sulle origini ed i significati misteriosi e propiziatori delle maschere è presente una nutrita letteratura oltre ad interessanti trattati che indagano sul fenomeno antropologico delle stesse.
Le divinità sacre non abitano in cielo, ma nelle viscere della terra dove sono sepolti gli antenati.
La maschera è solo un simulacro dello spirito della divinità ed il privilegiato che la indossa, in un crescendo di danze frenetiche e ripetitive, non si identifica con lo spirito del dio finché quest’ultimo non prenda possesso integralmente della persona, la quale cade in trance al culmine della cerimonia rituale. E’ solo a questo punto che l’uomo assume i poteri del dio divenendo suo strumento incontrastabile.
La tradizione della maschera cornuta di Aliano è più probabilmente legata ai rapporti arcaici tra gli uomini pastori e le bestie da essi allevate.
La più grande sciagura per un pastore era vedersi il gregge sbranato dai lupi.
Nasceva dunque istintivamente il bisogno di esorcizzare tale sciagura attraverso l’assunzione di sembianze bestiali mediante le quali giungere alla doma della bestia ed in casi estremi al sacrificio ed alla morte del mostro il quale, infine, con la sua disfatta assorbiva ed annullava in sé tutti i mali e le energie degli spiriti malvagi.
Diavoli, Démoni, Giullari e Bestie sfilano per il paese abbandonando temporaneamente la propria identità umana ed assumendo quella di un’altra creatura mostruosa; si rinnova in tal modo l’eterno rito dello sdoppiamento dei ruoli: ciò che è nascosto è per lo più il volto umano di chi indossa la maschera, e ciò che è mostrato all’esterno, è la bestia, il mostro, la creatura orrida da esorcizzare.
Non è facile resistere al magnetismo di una Maschera Cornuta che ti fissa negli occhi attraverso le sue orbite vuote.
Chi sei? Chi c’è là dietro!, Sei giovane? Sei vecchio? Mi conosci?
Talvolta ho sentito il brivido della pelle d’oca dietro alla nuca rimanendo impietrito ad osservare il fondo nero delle orbite bloccate in un ghigno demoniaco.
Queste arcaiche tradizioni, testimonianze di una vita genuina, possono essere di aiuto alle nuove generazioni affinché non si cancelli dalla memoria quanto di autentico ancora nasconde la nostra splendida terra.
Nel Parco Letterario Carlo Levi di Aliano si può ancora volare con rapidissima sintesi su un mondo di leggenda in un borgo intatto popolato da Case con gli Occhi che ti osservano, ti invitano, ti ammaliano e ti offrono seducente rifugio all’interno dei suoi portoni sgangherati a precipizio sui burroni di argilla che si perdono, liquefatti, nella nebbia azzurra degli orizzonti.
Lodovico Alessandri
Foto Lodovico Alessandri
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