Dopo la soppressione degli ordini religiosi del 1866 la documentazione archivistica dei monaci di Camaldoli è confluita in buona parte all’Archivio di Stato di Firenze. Qui i documenti sono conservati in tre distinte raccolte: il Fondo Diplomatico, il Fondo 39 Camaldoli, Sacro Eremo di S. Salvatore e infine il Fondo Camaldoli, Appendice, 1001-1866, digitalizzato dal 2012 in occasione del “Millenario camaldolese”. Proprio in quest’ultima raccolta al n° 676 sono conservati gli Estimi dei vari territori e altre carte relative alla tenuta della Marinese e alla R. Foresta di S. Maria del Fiore, sec. XVIII-XIX, dove possiamo trovare una serie di documenti che ci fanno comprendere la storia di trasformazione del territorio camaldolese. Dopo la prima donazione del 1027 da parte del Vescovo di Arezzo di poche centinaia di ettari attorno all’Eremo, la proprietà dei monaci andò allargandosi per successive donazioni e acquisizioni fino a comprendere prima il territorio dove sorse il monastero di Camaldoli e infine il territorio di Cerreta verso valle. Con questa ultima acquisizione nel 1368 la formazione del territorio si può considerare conclusa. I confini del territorio nel XIV secolo dunque si possono ritrovare nella raccolta fiorentina, descritti in un documento del 4 ottobre 1776, che riporta la <<confinazione fatta per li Magnifici Signori officiali di Monte della città di Firenze l’anno 1444>>.
I confini del territorio vengono così riportati:
<<…Confini, si tengono e posseggono immediatamente per detto sacr’Eremo e casa di Camaldoli cominciando a Casa la Cerreta, al fossato, che viene dalla fonte di Lombardorio, e per detto fossato sale a detta fonte, sino alla via Romana (da intendersi come la via di Crinale), salendo per la schiena di monte Cotozzo al Gioghetto (oggi Poggio Tre Confini), seguendo a man sinistra a gioghi dell’Alpe sino a Prato di piano di Soglio, qual prato è proprio del Sacr’Eremo, seguendo a settentrione all’occidente sino alla Cala al Trebbiolo (oggi La Scossa), e di poi a Canestrelli (zona oggi di Capanna Maremmana), e Pietra Baroncia a’ prati della Bifolcuta (oggi Battilocchio), come tira la Faggeta del sacro Eremo, sino alla via di Scandolaia (che portava all’Eremo), tirando a casa la Faggeta, e Macchia del Muschioso sino alla Carbonaia, calando all’Aia di Giuliano, sino alla via Traversagnola (era una vecchia strada che da Montanino saliva al sacro Eremo) per la quale si va a Pietra Morlia, a’ Casini al Sasso alla Lippa, e Montanino, voltando per la cima di Gavino de Vecchi, sino alla Maestà della Croce Focajola (probabilmente oggi Maestà di Cerreta), salendo da essa Croce dal Poggio di Monterotondo, e per la schiena Poggio Sicala sino alla terra de Rupinati al fiume l’Archiano (così veniva chiamato il torrente di Camaldoli e così lo cita anche Dante), e torna per detto fiume sino al fossato detto di Sopra, che viene dalla Fonte a Lombardorio. E quali sopradetti beni, dentro agli sopradetti Confini sono delle pertinenze, e distretto di Camaldoli quali si appartengono a detto Sacr’Eremo immediatamente e sempre si sono tenute, e di tengono totalmente, strettamente senza averli mai dati a livello, censo e fitto perpetuo.>>
Allegata al documento troviamo anche una magnifica mappa in pergamena, fino ad oggi inedita, che ne riporta i confini sopra descritti e che possiamo ritenere prodotta nel XV secolo.
Dal confronto di questa mappa con quella allegata alla Relazione che fece redigere Antonio Sansone, al momento direttore generale delle Foreste statali e del Demanio, per l’acquisto da parte dello stato italiano delle Foreste Casentinesi del 1914, e con quella inserita nel primo piano di assestamento delle foreste del 1934, possiamo vedere che il territorio nel corso dei secoli non è più cambiato fino ai primi decenni del Novecento, se non per due piccole parti nel confine settentrionale con la Romagna.
Queste due piccole parti di territorio vengono riportate in uno schizzo planimetrico allegato al documento del 1776, ritratte con il termine “macchia controversa”. Queste in epoche successive furono perse dai monaci e sono scomparse nelle moderne mappe.
La prima parte, posta a nord-est nell’attuale zona dei Fangacci, fu persa nel Settecento a favore dell’Opera di S. Maria del Fiore, ma di questa perdita non abbiamo rinvenuto alcun documento.
Possiamo invece tracciare con esattezza il destino della seconda parte, posta a nord-ovest, racchiusa in un territorio delimitato dal crinale appenninico tra Giogo Seccheta e Calle al Trebbiolo (detto anche Sodo alle Calle o La Scossa in carte attuali), dalla Via di Romagna o di S. Sofia, nel tratto tra Calle al Trebbiolo e Canestrelli (oggi zona di Capanno Maremmana), da una linea che unisce Canestrelli a Baroncia (antico cippo di confine, oggi scomparso ma che doveva essere posto all’inizio di Poggio Battilocchio), infine dalla Via dei legni che sale da Baroncia a Giogo Secchieta.
La storia di questa piccola parte la possiamo ritrovare infine tra le carte sparse allegate al “Fondo Camaldoli appendice” nella Relazione della Confinazione ed Apposizione di Termini fra R. Foresta di S.ta Maria del Fiore e R.R. Padri Eremiti di Camaldoli.
È questo il documento spedito dal perito Giuseppe Gatteschi a Carlo Siemoni (in rappresentanza del Granduca Leopoldo II, che nel 1857 andava comprando il territorio fino a quel momento in possesso dell’Opera di S. Maria del Fiore) e ai padri camaldolesi per ottenere l’approvazione dei confini tra le due proprietà prima di apporre i termini di confine tra i due territori.
Nel documento il perito ricorda che nel 1855 si erano ritrovati sul territorio Carlo Siemoni e il camerlengo Pier Damiani Marsigli, e senza alcun problema era stata riconosciuta la proprietà camaldolese nella parte verso la Toscana fino al “crinale dove l’acqua pende” da Poggio tre Termini (oggi Poggio Tre Confini) fino a Giogo Secchieta, e qui erano stati posti 78 termini in pietra, di questi, grazie alla dettagliata mappa allegata al documento, sono stati ritrovati soltanto 17. Nell’anno successivo invece erano sorti problemi per il riconoscimento finale del confine camaldolese sul crinale che scende dalla giogana fino a Baroncia, perché padre Marsigli ricordava che nei secoli precedenti il confine sul crinale non cessava a Giogo Seccheta ma si estendeva fino a Sodo alle Calle, come riportato nella mappa del XV secolo. Mancando però atti pubblici registrati che ne confermassero il possesso, il monaco dovette infine riconoscere la nuova confinazione dove furono apposti altri 13 termini in legno, in attesa dell’apposizione di quelli in pietra che evidentemente non furono mai posti perché oggi non ne esistono tracce sul territorio.
Quindi con l’atto notarile del 1857, in cui fu terminato l’acquisto di Leopoldo II, si conclude la confinazione del territorio camaldolese che rimarrà come già detto invariato fino a epoca moderna.
Massimo
Ducci
Per una Bibliografia essenziale vedi Massimo Ducci e Graziano Maggi, Termini di Pietra, appunti per la ricerca dei confini del territorio granducale e del monastero di Camaldoli nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Stia 2022, pp. 49-66 e pp.75-103 e Massimo Ducci, Graziano Maggi e Bruno Roba, “Le vive travi” e i loro cammini nel Parco e nella storia, Cesena 2024, pp. 29-34 e pp.149-154.
Immagini:
Copertina: Eremo di Camaldoli - Reparto Carabinieri Parco Nazionale Foreste Casentinesi