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Un libro. Un luogo. “Il mio paese” di Policarpo Petrocchi e Castello di Cireglio

Un libro. Un luogo. “Il mio paese” di Policarpo Petrocchi e Castello di Cireglio

Policarpo Petrocchi scrisse Il mio paese intorno al 1880. Si trovava a Milano per lavoro e forse le brume di quella città lontana gli ispirarono ricordi felici della sua infanzia vissuta a Castello di Cireglio, il suo sempre anelato borgo natio

19 Aprile 2021

ParkTime n. 13

Le cose che io dico non so se sian vere fuorché nella mia fantasia: prego dunque il lettore a non ricercarle più in là di questo libro, che sarebbe inutile per sé e per gli altri, e metterebbe me nell'imbarazzo di doverle spiegare. Fo conto di raccontare una favola”.

Non deve trarre in inganno questo incipit de Il mio paese, il romanzo incompiuto che Policarpo Petrocchi ha dedicato a Castello di Cireglio, il suo piccolo borgo natio situato sulla collina pistoiese.

 In realtà l'empatia con Castello non si limita alla dimensione intima emotivo-sentimentale, ma coinvolge anche i tratti fisici del paese e la sua realtà di vita quotidiana, tanto che col fluire delle pagine l'opera assume i contorni di romanzo dell'appartenenza ad un luogo, ad una cultura, ad un mondo mai dimenticato fatto di piccole cose, di povere case, di uomini e animali impegnati a sopravvivere ma cementati da un'energia comune, da un sentimento di coralità che solo una condizione di indigenza sa forgiare.

Non è dunque una favola ciò che Policarpo racconta nel suo romanzo e non è certo invenzione letteraria la descrizione del luogo, nemmeno dal punto di vista strettamente urbanistico-architettonico. I rioni, le piazzette, la strada principale allastricata, i chiassettoli, cioè gli stretti vicoli in acciottolato, la casa natia sono ancora identici e chi oggi ci vive li chiama allo stesso modo. Il paese si è dato una rimodernata, è un po' cambiata anche la gente che lo abita, ma l'anima, lo spirito del luogo e l'atmosfera che vi si respira sono rimasti intatti. In un certo senso ancor oggi il Petrocchi custodisce questa “terrazza” affacciata sulla grande piana di Pistoia-Prato e Firenze ; il monumento inaugurato in suo onore nel 1909 sta lì a testimoniarlo, dove finisce la strada carrozzabile e iniziano le prime case di Castello.

 Addentrarsi nell'abitato dopo aver letto Il mio paese è un po' riviverlo con gli occhi di Sandrino, il protagonista del romanzo, quando vi ritorna dopo un lungo periodo trascorso a Pistoia in casa dello zio prete, che lo ospitava per avviarlo agli studi. Si prova un sentimento misto di meraviglia e di pace ritrovata, è un riscoprire se stessi, è il rifugiarsi in una dimensione intima e più umana, un rivedersi bambini che si rincorrono liberi, lontani dai pericoli delle stressanti città. Forse può sorgere una vena di nostalgia per ciò che si è perduto, una vita più semplice, più a contatto con la natura madre, il sentirsi parte di una socialità vera e condivisa, ma l'atmosfera rapisce e del “paesuccio che nessuno troverebbe sulla carta, composto d'una sessantina di case”, si ritrova con piacere “Il Cassero, all'entrata del paese, nome di fortezza ma oggi senza fortezza”; “Il Forno, senza forno”, “La piazza della Grigia, che ha il nome da una donna non ancora grigia”; “Il Campanile che è lì impalato, senza chiesa, basso, stretto, quadrato, non vuoto, con una campana benedetta da S. Bernardino che vien sonata quando il tempo brontola e minaccia burrasca”; “Capivilla che è la fine del paese e il capo della villa, che forse c'era una volta”; “La Scola, oggi senza maestro e senza scolari; “L'aia di Cacino” e “da ultimo il Vicinato”. E poi, sempre accompagnati dalle descrizioni paesaggistiche contenute nel romanzo, si incontrano la casa natia, con il verone, da cui “vedevo il mi' orto, col pozzo lavatoio, l'unico del paese, perché il lavatoio della Grigia era secco, e il mi' orto, benchè piccolo quattro campi uno sopra l'altro era bello... con l'uva delle quattro viti, aleatico, canina, barbarossa e piscianea”. L'orto è sempre lì, coi suoi quattro campetti, e vive ancora l'uva barbarossa, quella che Sandrino-Policarpo definiva “bella, che traspariva, rilucendo al sole, come il vetro”. E c'è ancora la casa del Cassero, dove il piccolo Sandrino scappava di soppiatto a vedere “Le belle feste da ballo” frequentate dai giovanotti e dalle ragazze del paese, anche se vi sono rimaste solo tracce delle stalle, delle scuderie e del giardino che la rendevano particolarmente invidiata dai paesani. 

Altro ha cancellato l'inesorabile falce del tempo: le botteghe dei calzolai, una delle quali era del padre di Sandrino, in cui si ritrovavano a veglia i paesani e si raccontavano storie vere o inventate; le selve tenute come giardini dove al tempo delle castagne ricoglitore e ricoglitori venivano da luoghi anche lontani a guadagnarsi la giornata e nei castagneti nascevano amicizie e amori; i metati in cui si seccavano le castagne al calore di un fuoco che doveva essere sempre sorvegliato; le donne con la pezzola in testa che tornavano la sera con un fastello di legna o con un cavagno d'erba e spingevano avanti un piccolo gregge di pecore e capre oppure i capannelli di giovani intenti, al chiaro di luna, a spiccolare le foglie di castagno e a formarne dei mazzetti, usati in inverno per fare i necci. Tutto questo fa parte di un passato remoto, ma il fascino segreto del paese è così potente che induce la fantasia a rievocarle, quelle immagini di vita atavica, così distanti, eppure così poetiche ed è facile che per un momento il romanzo di Sandrino racconti il paese e che il paese racconti il romanzo di Sandrino, in un tutt'uno dove letteratura e realtà si confondono.

Policarpo Petrocchi scrisse Il mio paese intorno al 1880, quando si trovava a Milano per lavoro e forse le brume di quella città lontana gli ispirarono ricordi felici della sua infanzia vissuta a Castello di Cireglio, il suo sempre anelato borgo natio, nel quale concluse i suoi giorni nel 1902.

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Immagine di copertina: Maurizio Pini, monunmento a Policarpo Petrocchi a Castello di Cireglio
Fotografie di Maurizio Pini: https://mauriziopini.com/
https://www.facebook.com/mixinartofficial/

Le fotografie sono state scattate da Maurizio Pini il 25 ottobre 2020 in occasione dell'incontro con il sindaco di Pistoia e la Comunità di Castello di Cireglio per la realizzazione del Parco Letterario Policarpo Petrocchi nell'ambito della "6° Giornata europea dei Parchi Letterari. Cammini e soste nei Parchi Letterari. Leggiamo l'Ambiente che ci circonda."


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