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nel parco Tommaso Landolfi

La Vita

Tommaso Landolfi (1908 - 1979) nasce a Pico (Frosinone), allora in provincia di Caserta. “Ultimo forse rappresentante genuino della gloriosa nobiltà meridionale”, per usare una sua stessa espressione (La Biere du pecheur), trascorre tra Pico, Roma e la Toscana gli anni dell’infanzia, segnata dalla morte della madre quando lui aveva meno di due anni, e dell’adolescenza.
Studia a Prato, in quello stesso collegio Cicognini già frequentato da D’Annunzio e a Firenze compie gli studi universitari, coltivando la sua già vasta cultura, sostenuta da una intelligenza lucida e dialettica. Nel 1932 si laurea in lingua e letteratura russa, con una tesi su Anna Achmatova. Dal russo, così come dal francese e dal tedesco, sarà traduttore magistrale, oltre che profondo conoscitore delle letterature in tali lingue. Subito dopo la laurea, prende a collaborare a testate romane come Occidente, L’Europa Orientale, L’Italia letteraria, Oggi. A Firenze, fa parte della brigata di intellettuali che si riunivano tra le due guerre nel fiorentino caffè delle Giubbe Rosse e scrive per periodici quali Letteratura e Campo di Marte, sui quali pubblica i suoi primi racconti.

Più consistenti e continuative le più tarde collaborazioni al Mondo di Mario Pannunzio (anni Cinquanta) e al Corriere della Sera (anni Sessanta e Settanta). Nel 1937 l’esordio con il volume Dialogo dei massimi sistemi i cui racconti però erano precedentemente usciti in varie riviste; il primo, Maria Giuseppa, in Vigilie Letterarie nel 1929.
Seguiranno altri volumi di racconti, romanzi, testi teatrali e poetici, raccolte di articoli critici e traduzioni. Riceverà i maggiori premi letterari italiani, dallo Strega al Campiello, al Viareggio, al Bagutta, al Pirandello.

Spirito libero e aristocratico, è naturale oppositore del regime fascista; subisce nel 1943 un mese di carcere alle Murate a Firenze. Sporadici, nell’arco dell’intera vita, i soggiorni all’estero, nelle capitali d’Europa; più lunghi i periodi trascorsi a San Remo o a Venezia, le “città del gioco”, dove è attirato dalla sua grande passione, parallela o sovrapponibile a quella per la scrittura. Sul gioco d’azzardo, sul significato universale di cui egli lo investe, scrive pagine intense, facendone il centro di una speculazione assai più ampia. Con il tardo matrimonio Landolfi si stabilisce nella riviera ligure, ad Arma di Taggia e poi a San Remo; sempre frequenti, tuttavia e lunghi, i ritiri al paese natale, nella casa avita che è la protagonista di tanti suoi racconti, e dove soprattutto egli lavora.

Con il Dialogo dei massimi sistemi, La pietra lunare, Il mar delle blatte e altre storie, La Spada, Landolfi rivela uno stile secco e tuttavia raffinato, un humor tagliente e talora macabro, una fantasia vivace, tutte componenti adatte a rendere il senso del mistero e dell’angoscia, appena alleviati dalla costante vena ironica. Queste caratteristiche, sia pure con nuove aperture volte ora alla ricerca psicanalitica e ora alla raffinata satira di costume ritornano anche nell’abbondante produzione landolfiana del dopoguerra, da Le due zittelle (1946) e Racconto d’autunno (1947) esempi di godibile divertimento letterario, al fantascientifico Cancroregina (1950), dal romanzo – confessione La Biere du pecheur (1953) ai racconti di Ombre (1954) che rappresentano una delle prove più convincenti e mature dello scrittore e nei quali “vi sono forse le cose migliori di questo secondo periodo del Nostro, aperto ora a una confessione spietata, anche sui motivi profondi della propria infanzia, dei rapporti con il padre, della solitudine provinciale nella casa di Pico, o dei rapporti con le proprie invenzioni e una più diretta e corretta interpretazione delle stesse, secondo una ottica che Landolfi non disdegna mai di documentare, ma con somma ironia” (G. Pandini).

Alternando l’attività di traduttore a quella di sempre più colto e raffinato narratore e di non meno originale autore di versi – si vedano a questo proposito le sillogi Viola di morte (1972) e Il tradimento (1977) – di testi teatrali (Landolfo VI di Benevento del 1959, Scene dalla vita di Cagliostro del 1963 e Faust 67 del 1969), lo scrittore accentua negli anni Sessanta, la propensione per il libro – confessione (Rien va, del 1963 e Des Mois, del 1967) condotto sempre su ardui schemi stilistici, consegnando quindi con i Racconti Impossibili (1966), con Le labrene (1974) e con A caso (1975), uscito quattro anni prima della sua morte, le testimonianze estreme della sua scrittura surreale, ricca di trovate fantasiose, e talora anche gratuite, intese a creare il senso dello sgomento e dell’incertezza. Tre anni dopo la sua morte, esce il volume Le più belle pagine di Tommaso Landolfi, scelte da I. Calvino e inizia la ristampa delle sue opere.

 Immagini: Matteo Conti e studi fotografici Palliotta

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