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La Vita

Hajim Menahem, questo il suo nome hassidico che significa “conforto della vita”, nacque il 18 settembre 1896 a Berlino, da genitori ebrei (che furono vittime delle persecuzioni razziali: il padre finì nella camera a gas di un campo di concentramento in Polonia, la madre morì suicida per disperazione a Parigi). Volontario nel Corpo della Sanità, durante il primo conflitto mondiale, al fronte lesse con ammirazione i libri del filosofo Martin Buber (che conoscerà poi personalmente e che lascerà un segno particolare nella sua weltanschauung).

Simpatizzante del movimento giovanile Wandervogel, di ispirazione socialista (alla maniera di Tolstoj) partecipò alla rivoluzione bavarese e a quella austriaca del 1918-19. Divenuto medico e pediatra, dopo un’analisi freudiana con Otto Fenichel e Sandor Radò, il dr. Bernhard passò all’analisi junghiana con Toni Sussmann e Kathe Bugler.
Il biennio 1931 -1932 fu fondamentale per lo sviluppo della sua formazione psicoterapeuta: la conoscenza nel 1932 del chirologo Julius Spier gli consentì, infatti, di approfondire i suoi studi di psicoanalisi e di usare la chirologia come strumento privilegiato nella pratica psicoanalitica. Dal 15 ottobre 1935 al 17 marzo 1936 è a Zurigo per lavorare con Carl Gustav Jung. Il loro rapporto complesso e “sbilanciato”- come testimoniano le lettere tra i due - fu connotato da amichevoli avvicinamenti e lunghi silenzi, da stima reciproca e da una sorta di freddezza. Bernhard, comunque, vide sempre in Jung un grande teorico e punto di riferimento, un maestro, verso il quale espresse “eterna gratitudine”[1]

Dopo un breve periodo a Berlino, per sfuggire alle persecuzioni razziali, decide di andare in Inghilterra, a Londra, fiducioso in un aiuto da parte di Adler e di Hirsch. Chiede, pertanto, a Jung nella lettera del 6 agosto 1936 un attestato che certifichi le conferenze zurighesi e le consulenze di chirologia pratica a sostegno della sua formazione psicoterapica, ma le poche righe di Jung non sono sufficienti a rafforzare il suo curriculum: il governo inglese gli rifiuta la richiesta d’asilo perché in essa il dr. Bernhard affermava di interessarsi di Astrologia e di Chirologia e di applicarne le nozioni nella pratica analitica.[2]

Decide, pertanto, di venire con Dora Friedlander in Italia, sulle orme dell’amato Goethe, in cerca della Grande-madre mediterranea!
Nel 1936 è a Roma, dove entra in rapporto di amicizia con gli psicoanalisti Edoardo Weiss, Claudio Modigliani, Emiilio Servadio e con l’orientalista ed archeologo Giuseppe Tucci (che avrà nell’evento del suo destino un ruolo importantissimo)[3].
Pioniere del pensiero junghiano, Bernhard fu, a detta dei suoi allievi-amici, “uomo e analista originale, forse bizzarro, poliedrico fino allo smarrimento”[4], “maestro scomodo e segreto, sabotatore di luoghi comuni, guida spirituale, sciamano” (P.Aite), “libero, infinitamente libero per la struttura psicoterapeutica ufficiale di allora” (Draghi). Intorno al gruppo dei suoi allievi “una scuola pitagorica quasi” (M.Pignatelli) gravitarono personaggi della cultura italiana: Cristina Campo, Gabriella Bemporad, Natalia Ginzburg, Bobi Bazlen, Federico Fellini, De Seta, Giorgio Manganelli, A. Olivetti, Rosselli ed altri.
L’attività professionale di Bernhard a Roma in via Gregoriana 12 e poi a Bracciano (dove nel 1961 fondò l’Associazione Italiana di Psicologia Analitica: AIPA fu intensissima per più di trenta anni, con una sola interruzione dall’estate del 1940 alla primavera del 1941.
Il 18 giugno1940 fu, infatti, arrestato ed imprigionato come “straniero nemico” prima al Regina Coeli (per otto giorni) e subito dopo deportato nel campo di internamento a Ferramonti di Tarsia (Cosenza).
Nei dieci mesi da internato – come testimoniano le Lettere a Dora amabilmente e intelligentemente curate e prefate da Luciana Marinangeli[5] - Bernhard visse con dignità ed umanità tra i suoi compagni di sventura, sostenendoli ed aiutandoli in vari modi e mantenendo fede al suo proposito di progredire nel processo autoanalitico di “individuazione” ed accettazione della sua intera personalità. Non trovo – per designare l’importanza del carteggio-immagine più chiara di quella espressa da Margherita Pieracci Harwell , che conobbe Bernhard: “Un epistolario è come un fiume, o piuttosto come un tratto di fiume: ci permette di accompagnare per un tratto il corso di una vita, di ripercorrere per un tratto il movimento di uno spirito intento a ritrovare se stesso”.

Le 140 Lettere di Ernst e un terzo delle 284 di Dora sono per noi, infatti, un preziosissimo documento storico: da esse apprendiamo notizie utili per cogliere il nesso tra microstoria e macrostoria, tra destino individuale destino karmico, tra ricerca del Senso e processo di individuazione. Sia pure in un italiano incerto e a volte criptico per motivi di censura il carteggio si configura come un lungo e tenero colloquio d’amore reso forte dall’abbandono fiducioso alla Provvidenza! Bernhard sa come rassicurare la fragile e devota Dora: le ripete costantemente “sto invariabilmente bene”, “sono sempre con te nei miei pensieri”, la sollecita a frequentare gli amici fedeli, le chiede libri (Ziegler, Splenger Tucci), oggetti di facile consumo da spartire con gli altri internati, le fa l’oroscopo… le dice dello scirocco che gli piace tanto e della “chiarezza autunnale delle linee dei monti”. Dal carteggio apprendiamo, inoltre, che Bernhard legge Shakespeare, Rilke[6] , Jung e Geremia; che studia canti italiani di primavera, inviando a Dora testi e indicazioni musicali per l’esecuzione; che accetta con gratitudine il posto di psicologo consigliere; che fa conferenze di Pedagogia, comunicando con gioia a Dora le attestazioni degli gli effetti benefici di tali “lezioni”; che costruisce il proprio letto e tavolo di lavoro; che calcola gli oroscopi di Jung, Hitler, Mussolini, Stalin, Churchill, Giorgio VI d’Inghilterra; che consulta l’I King. Dora affettuosamente gli scrive dei propri timori, dei rapporti con la padrona di casa circa le modifiche da apportare all’appartamento, degli amici che mostrano di interessarsi al suo “trasferimento” da Ferramonti…. Gli comunica di avergli inviato pacchetti di cioccolata, focaccine, carta da lettere, inchiostro pellican, esemplari delle conferenze eraniane di Jung sul Dio sconosciuto di Platone e sul Christo nella dottrina della Trinità[7]

Quella dell’epistolario è una lettura che richiede una attenzione particolare perché la écriture - tra incertezze linguistiche, bagliori di giocosità e complicità affettuosa - è tutta tramata di numerosi rimandi ad accadimenti chiariti altrove. In conversazioni e conferenze, per esempio, nonché negli appunti che sono “confluiti” nella redazione di Mitobiografia[8]
Dalla lettura “incrociata” delle Lettere a Dora e di Mitobiografia risulta più facile, pertanto, la comprensione di alcuni temi dellariflessione di Bernhard: Entelechia, Immagini, Destino, Abbandono alla Provvidenza, Sé, Sogni.. Come quelli alla cui interpretazione lavorò tanto e che da Ferramonti portò a Roma nell’aprile del 1941. Ernst Bernhard che amava definire il suo orientamento psicoanalitico con il termine di "psicologia del processo di individuazione", piuttosto che adottare la definizione dello stesso Jung di Psicologia Analitica, poco prima di morire, sentendo avvicinarsi il momento del "distacco" aveva scritto nella sua autobiografia ripensando alla mai dimenticata esperienza di sopravvissuto all'esperienza del lager: « .....penso che mi peserà molto il non avere nessuno di cui prendermi cura e da far progredire. Ma a mio conforto mi viene in mente che là ci sarà pure un corpo di guardia nazista. Potrei prendermi cura di questo. »
Morì a Roma il 29 giugno 1965.

A cura della Professoressa Teresina Ciliberti
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[1] Giovanni Sorge, Lettere tra Jung e Bernhard, Biblioteca di Vivarium, 2001.
[2]Adler, che aveva fatto parte del comitato del Ministero degli interni inglese e si era adoperato per far accettare la richiesta d’asilo, così racconta ad Aldo Carotenuto (1977).
[3]E’ dalla amichevole frequentazione dell’orientalista Giuseppe Tucci, in quegli anni Presidente dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente che vennero a Bernhard stimoli per approfondire i propri studi ed elaborare le teorie psicoanalitiche. Non solo. Sarà proprio per interessamento di Tucci che Bernhard potrà lasciare -libero- il campo di Ferramonti e tornare a Roma: avendo l’orientalista saputo (da Dora ed altri amici) che Bernhard stava per essere deportato in Polonia utilizzò la sua influenza personale su Mussolini, per farlo liberare.
[4]R. Madera, in Maestri scomodi: Ernst Bernhard, Buber e Jung “Rivista di psicologia analitica”, 64,1966,pp. 12-41.
[5]Luciana Marinangeli (a cura di), Lettere a Dora dal campo di internamento di Ferramonti (1940-1941). Aragno editore, 2011.
[6] Nella lettera del 10 ottobre ’40 Ernst scrive a Dora di aver completato la lettura-studio delle Elegie di Duino di Rilke e di sentirsi “familiare”con il profondo e geniale poeta a causa delle somiglianze oroscopiche,riscontrate nella sinastria(comparazione astrologica)da lui effettuata.
[7] Lettera di martedì 8 ottobre 1940.
[8]Bernhard non scrisse molto, tenne dei quaderni che, con l’aggiunta di alcuni brani di registrazione furono poi pubblicati dall’allieva Hélène Erba-Tissot col titolo significativo di Mitobiografia, designante, appunto, il venire alla luce del mitologema che sta alla base del destino del singolo.
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