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D'Annunzio e Anversa

Nato a Pescara nel 1863, compose il suo primo libro di versi "Primo Vere" a soli 16 anni. Non finì gli studi e si dedicò al giornalismo ed alla composizione di opere di varia natura e valore.Fu uno degli interpreti più abili delle correnti di pensiero e delle mode letterarie europee, tra le quali l'esasperato sensualismo, l'estetismo raffinato e paganeggiante ("Il Piacere", 1889), la tendenza ad ignorare la realtà sociale a favore di un mondo spirituale elevato ed esclusivo. Riuscì quindi a proporsi con successo sia nel mondo letterario che in quello mondano, mettendo in atto quell'estetismo (non privo di scandali e polemiche) che il Decadentismo europeo aveva da poco concepito. Terminata la I Guerra Mondiale (durante la quale aveva preso parte ad imprese eclatanti quali la beffa di Buccari ed il volo su Vienna), il suo gusto per i grandi gesti lo portò ad occupare Fiume insieme con un gruppo di volontari. La sua attività politica, quella mondana (tra cui spicca la relazione con Eleonora Duse), come quella letteraria, fecero di D'Annunzio una sorta di "maestro di costume", un atteggiamento che avrebbe spinto molti a confondere l'eroismo con la violenza e la prevaricazione. Morì nel 1938 nella sua villa di Gardone, sul lago di Garda. Note biografiche a cura di Maria Agostinelli

 

LA FIACCOLA SOTTO IL MOGGIO
L'incredibile successo della prima tragedia di argomento abruzzese, nel 1904, spinse d’Annunzio a riproporre sulla scena, l’anno seguente, un nuovo spaccato della sua terra d’origine, di un paese che ancoragli sembrava sopravvivere intatto.
La fiaccola sotto il moggio riportava l’Abruzzo ad una dimensione storica, per quanto al puntodi crisi del Regno e dell’aristocrazia che per secoli l’aveva dominato e drammaticamente viveva l’impatto con i ceti emergenti. Come sempre, d’Annunzio fece ricorso al suo poderoso archivio memoriale, consegnato anche alle brevi note degli inseparabili Taccuini, dando corpo fantastico alle remote impressioni di un’avventurosa cavalcata nella Valle del Sagittario che aveva compiuto diciottenne, nel 1881, in compagnia di Francesco Paolo Michetti, Costantino Barbella e Antonio De Nino; e certo, il più comodo viaggio in carrozza del 1896 insieme all’amante Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, si era aggiunto a rianimare la suggestione dei luoghi focalizzando l’attenzione su Anversa, grazie anche ai fotogrammi d’Olinto Cipollone e alla guida sapiente dello storico d’arte Emile Bertaux.

Ad Antonio De Nino, assente nell’escursione per motivi di salute, il Vate sarebbe comunque ricorso nelle fasi preparatorie del materiale erudito e in quelle più concitate dell’elaborazione creativa e della messa in scena, da caratterizzare con le peculiarità tutte abruzzesi di certi personaggi che al dramma davano tono e colore essenziali, calati nell'ambiente quali elementi portanti della sua ricostruzione.
Così la memoria privata s’innervava di quella storica e i feudatari de Sangro erano chiamati ad occupare la ribalta in un tempo non più remoto, attualizzato al declino irreversibile della dinastia borbonica, quando il “turbine abbatte una vecchia casa magnatizia”.

Era una formula già sperimentata, nella quale venivano però a smottarsi le braci residue di un Abruzzo barbarico e misterico, attizzate come sempre dalla terribilità pittorico-coloristica di Michetti e dalla saggezza esperita del cantafavole De Nino: chè senza il serparo Edia Fura, e la luce radente esacrale e sinistra che il suo avvento dà a paesaggio e personaggi, i tanti nomi di luoghi e persone tolti di peso dalla Guida dell’Abruzzo di Enrico Abbate non sarebbero comunque valsi a fare sulla carta quella parte di terra, chiusa o aperta che fosse, almeno nelle prime intenzioni d’autore, a “sogni di terre lontane”; resisterebbero invece solo in quanto orpelli, perle preziose colte abilmente e disposte in fastosa corona attorno a quello che, nel suo tragico spessore, è infine un dramma che subito s’intuisce quale consapevole tormento di una persona eroica e sola.

Mentre Gigliola, figlia non illegittima delle Elettre dei tre massimi tragediografi greci, replica a specchio la galleria delle superfemmine di cui si compone la parte migliore del teatro dannunziano, su tutto e su tutti, sulla “casa che crolla”, sta imponente solo il Sagittario che “si rompe e schiuma”; mentre in alto, magicamente arroccate e sospese, le case di Castrovalva continuano ad ardere sul “sasso rosso”.

La tragedia scritta nel 1904 , è ambientata tra le mura della "casa antica dei Sangro" ad Anversa degli Abruzzi. D'Annunzio, si era recato più volte da quelle parti sia per gite di piacere, sia per assistere alla famosa festa delle serpi di Cocullo, a pochi chilometri da Anversa. L’interesse per Anversa è poi confermato dal rinvenimento tra i suoi "Taccuini" di un appunto del 19 settembre 1896 durante una gita a Scanno: "Anversa: avanzi di un castello (..) il Sagittario, il fiume spumoso (...)". Al Museo Vittoriale, che conserva molte delle cose appartenute a d'Annunzio, è custodito anche il volume "Guida dell' Abruzzo" di E. Abbate che, dati gli eloquenti segni di lettura, dimostra quanto d'Annunzio fosse interessato all'esatta conoscenza e individuazione dei luoghi ove ambientare le sue opere "abruzzesi" (Il Notturno, il Libro segreto, La Vergine delle rocce, La figlia di Jorio, ecc.).

Un cartiglio autografo fra le pagg. 252-253 recita: "Dai Marsi ad Anversa" ripetendo l'intestazione di un capitolo tenuto presente nell'accompagnare Edia Fura (il serparo che compare nell'ultima parte della tragedia) da Luco alla dimora dei Sangro.

Ne La Fiaccola sotto il Moggio d'Annunzio sembra interessato, più ancora che nelle altre sue opere abruzzesi, a circoscrivere e a precisare, sia cronologicamente che geograficamente lo spazio del racconto.
L'azione si svolge nel Paese Peligno (cioè nel paese dei discendenti del popolo italico dei Peligni, che era in Abruzzo tra Corfinio e Sulmona e più precisamente viveva in Abruzzo tra Corfinio e Sulmona) dentro dal territorio di Anversa, presso le gole del Sagittario, la vigilia della Pentecoste, al tempo di Re Borbone Ferdinando I e quindi tra il 1814 e il 1825, anno della scomparsa del vecchio sovrano. Sono gli anni in cui viene demolito il potere dei feudatari del Mezzogiorno e, come loro, anche i personaggi della tragedia dannunziana, non sono soltanto decaduti dalla ricchezza, ma non costituiscono più un ordine privilegiato e separato: anche loro si sono dovuti "imborghesire" nella mentalità e nel costume. Quest'aristocrazia "squattrinata", vive in una "casa antica" di cui, già in una delle prime strofe di apertura, Annabella (una delle serve) evoca le "cento stanze". E’ ovviamente una connotazione fantastica, ma che serve a dare la dimensione della passata "grandiosità" della famiglia dei Sangro.

 

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